I capelli scuri, venati di blu, di quel blu profondo che assomiglia al mare che l’ha vista nascere e crescere a Napoli. Marisa Laurito non è solo un personaggio, è la radice dello spettacolo italiano. La volevano tutti, in tv, a teatro, al cinema e ancora oggi la vogliono tutti in tv, al teatro, al cinema. Perché essere Marisa Laurito significa portare con sé un cono di luce, di ironia, di quella teatralità spontanea che sa essere insieme popolare e ricercata. C’è il suo nome inciso a lettere profonde nella storia dell’intrattenimento italiano, tra le risate intelligenti e il luccichio delle scene. Lei, Arbore, Quelli della notte, l’aria elettrica delle dirette notturne, il sogno lungo di Marisa la nuit, Serata d’onore. E ancora, altri titoli, altri spettacoli, altri applausi di ieri e di oggi. Da Celebrity Chef con Alessandro Borghese, il successo di Mina Settembre, la radio e la conduzione teatrale, c’è il suo nome tra le cose, tra i ricordi di Eduardo De Filippo, le parole di Gigi Proietti e il simbolo di un femminismo (quello vero, sudato e voluto) degli anni Settanta... Ecco cosa ci ha raccontato in questa intervista.
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Ho letto che, da giovanissima, fu sorpresa a spiare De Filippo di nascosto al San Ferdinando, è vero?
Io non spiavo… Io adoravo Eduardo. Ero entrata nella sua compagnia e facevo l’attrice. C’erano regole ferree, e una di queste era che gli attori dovevano arrivare in palcoscenico solo 3-4 minuti prima del loro ingresso, per evitare chiacchiere dietro le quinte. Dato che a me piaceva tantissimo vederlo recitare, mi avvolgevo nel sipario e lo osservavo di lato, perché non potevo stare sulla scena. Un giorno, naturalmente, il direttore di scena se ne accorse. Ma non accadde nulla di grave, perché fu carino e non mi multò. All’epoca, se si trasgrediva una regola, si riceveva una multa e si veniva segnati sull’ordine del giorno. Però, dato che io ero stata in rigoroso silenzio e non avevo disturbato nessuno, non mi multò.
Se De Filippo fosse qui oggi, cosa pensa che direbbe del teatro contemporaneo e del ruolo che occupa nella società?
Credo che, riguardo al teatro, avrebbe avuto da ridire solo sul fatto che oggi si prendono attori noti della televisione, che non hanno mai fatto teatro, solo per riempire il botteghino. Per quanto riguarda il ruolo del teatro nella società, oggi è simile a quello di tanti anni fa. Per fortuna, i teatri sono ancora molto pieni e il pubblico ci va. L’unico problema, che secondo me è reale, è che oggi la gente va a vedere i nomi famosi e non dà spazio ai giovani. Negli anni Settanta non era così: c’era una grande curiosità teatrale e il pubblico era più aperto alle novità. Oggi, invece, se ci sono i nomi, la gente viene. Senza nomi, anche con attori bravissimi, facciamo fatica.
Nel 2018, sul palco con Gigi Proietti, lei disse: “Non siamo più abituati a vedere artisti che sanno fare qualcosa sul palco”. A distanza di anni, si è mai data una risposta?
Perché oggi non esiste più la gavetta. La gavetta è fondamentale in ogni mestiere. Quello che ho fatto io, che ha fatto Gigi, che hanno fatto tanti artisti, oggi non si fa più. Mancando la gavetta, manca l’esperienza, la possibilità di crescere e di formarsi nel tempo. Oggi i ragazzi partecipano ai talent show: cantano, hanno successo, poi in pochi mesi arrivano sul palco di Sanremo. Ma dietro non hanno la struttura, la caratura, la forza necessaria per restare. Dopo un anno, molti si bruciano. Questo vale per la musica, per l’arte, per la politica… persino per la medicina! Il problema è tutto qui: manca la gavetta, il tempo per sbagliare, per imparare un mestiere.
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A proposito di gavetta, pensa che i social abbiano un ruolo in questa accelerazione verso la notorietà?
I social potrebbero essere meravigliosi, ma sono diventati terribili. Oggi insegnano ai ragazzi che apparire è più importante di essere. Per un attore, invece, la cosa più importante è essere bravo, avere qualcosa di personale da dire. Inoltre, i social danno un’illusione di connessione. L’artista ha bisogno di confrontarsi con altri artisti, di parlare, di scambiarsi idee. Ma sui social si parla con uno schermo, con gente che non si conosce, e si perde la profondità del rapporto umano.
È vero che De Filippo diceva ai suoi attori di osservare la gente?
Sì, ci diceva: "Ogni giorno dovete passare due ore a guardare e a parlare con gli altri". Non con gli amici, ma con gli sconosciuti. Prendere un pullman, andare in un bar, osservare la gente. Perché è dalla gente comune che un attore trae ispirazione per i personaggi. Io lo facevo davvero e ancora oggi mi capita di farlo. Se sono in un bar, mi fermo a guardare la gente.
Chi la colpisce di solito?
Le persone con atteggiamenti particolari. Per esempio, una volta ero in macchina e ho notato una signora ferma a un semaforo. Aspettava il verde, ma nel frattempo batteva il piede ripetutamente a terra. Quel gesto, quel tic nervoso, era chiaramente un segno di irritabilità, di tensione. Guardandola, ho pensato che fosse un comportamento molto significativo, un modo di scaricare il nervosismo. Se dovessi interpretare un personaggio con i nervi a fior di pelle, quel battito del piede sarebbe un dettaglio perfetto da inserire. Osservare gli altri è fondamentale perché il corpo ha un linguaggio proprio. Eduardo aveva ragione: studiare il comportamento umano è una forma di studio preziosa per chi fa il mio mestiere. Purtroppo, oggi i ragazzi sono distratti, spesso assorbiti dal telefono, e questo li porta ad avere difficoltà nelle relazioni.
A proposito di disturbi psicologici. Quanto è importante che una serie come Mina Settembre - in cui lei interpreta Zia Rosa - che affronta tematiche legate al disagio psicologico, venga vista oggi in Italia, specialmente dai giovani?
È molto importante. Ogni spettacolo porta con sé piccoli insegnamenti. In questo Mina Settembre ha una base di valori forti: la solidarietà, l’empatia verso gli altri. Il personaggio di Mina è straordinario perché si dedica agli altri per passione, non per lo stipendio. Anche Zia Rosa è un personaggio caldo, accogliente, che rappresenta il valore della famiglia, un valore che purtroppo oggi manca in molte case. Lo spettacolo ha una responsabilità: trasmettere messaggi importanti. Per questo, anche a teatro, cerco di portare valori forti. Ad esempio, con Enzo Gragnaniello stiamo portando in scena Vasame – L’amore è Rivoluzionario, uno spettacolo che ho scritto per lanciare un messaggio chiaro: l’amore è l’unica vera rivoluzione possibile.
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Nel 1992, a Serata d'onore condotto da lei, il padre di Mia Martini in studio la descrisse come una donna con una forte spinta alla ribellione e un desiderio di rigenerazione per la figura femminile. Crede che oggi Mia Martini possa essere un simbolo per il femminismo?
Assolutamente sì, un simbolo. Bisogna capire come viene visto il femminismo oggi. Io ho partecipato alle manifestazioni negli anni Settanta, quando il femminismo era una lotta per i diritti, per la libertà individuale e lavorativa delle donne. Oggi mi chiedo se le ragazze di oggi stiano davvero portando avanti quella battaglia. Parlo sempre naturalmente della massa. Abbiamo conquistato tante libertà, ma vedo comportamenti che mi fanno riflettere. Penso anche al ruolo delle vallette ancora in tv. Poi aggiungo una cosa. In treno, recentemente, ho sentito un gruppo di ragazze adolescenti parlare degli uomini con una superficialità disarmante, riducendo tutto a misure e numeri. Parlavano come alcuni uomini degli anni Sessanta parlavano delle donne. È terribile. Ci vorrebbe una rivoluzione sentimentale, un’educazione all’affettività, ma nessuno la inserisce nelle scuole. Oggi il sesso è diventato un atto privo di significato, come bere un bicchiere d’acqua.
Oggi abbiamo due donne in ruoli di potere, Giorgia Meloni ed Elly Schlein. È un segno di cambiamento per la società?
Sicuramente è un cambiamento, anni fa sarebbe stato impensabile avere due donne al potere. Ma bisogna chiedersi: queste donne al potere stanno portando un vero cambiamento o stanno solo replicando i modelli maschili? Avere due donne al potere, ben venga, sono felice, ma non significa automaticamente che tutte le donne siano più libere. La Meloni aveva promesso di aiutare le donne, ma non è successo. La Schlein la prima cosa che ha fatto è stato risolvere i diritti Lgbt+, che sono importanti, ma aiutare le donne a essere libere vuol dire: lavoro, economia... Servono stipendi equi, uguali agli uomini, asili nido gratuiti, queste sono vere misure per l’indipendenza femminile. Questo significa aiutare le donne.
È vero che le attrici sopra i 50 anni faticano a trovare ruoli rispetto agli uomini della stessa età?
Non solo le cinquantenni. I testi sono quasi sempre scritti per gli uomini. Mina Settembre è un miracolo. Se guardiamo la tv, i protagonisti sono quasi sempre uomini, dai 30 anni in su. Le donne sopra i 50 anni raramente hanno ruoli di primo piano. Ancora oggi le storie femminili sono poche e spesso marginali.
Lei ha detto che Renzo Arbore è stato un personaggio inimitabile. Ma tra le nuove leve c’è qualcuno che potrebbe essere il suo erede?
Più facile parlare di lui che di me. L'erede è qualcuno che inventa qualcosa di nuovo, che ha una scintilla. Arbore ha fatto di tutto: televisione, cinema, teatro, ha creato un’orchestra durata trent'anni che ha girato il mondo. Tra i giovani, uno che ha davvero la scintilla è Fiorello. Anche agli inizi si capiva che aveva qualcosa di speciale. Gli eredi non si copiano, si riconoscono perché portano qualcosa di nuovo.
Luciano De Crescenzo diceva che il tempo si può vivere in lunghezza o in larghezza. Lei come lo vive?
Io lo vivo in larghezza. Il mio tempo è pieno di cose: il mio lavoro, la mia famiglia, l’arte. Dipingo, scolpisco, faccio mostre. Il tempo dipende da come lo riempi. Se lo vivi intensamente, diventa prezioso.
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