Sean Connery, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e infine Daniel Craig: questi gli interpreti di James Bond negli ultimi sessant’anni di cinema. Craig ha deciso che non vestirà più i panni dell’agente segreto. Tocca trovare un sostituto, quindi. Si è parlato di Henry Cavill, Josh O’Connor, Aaron Tylor-Johnson, ma spunteranno altri candidati. La Verità ha scritto del conflitto che è alla base di questa incertezza: quello tra Barbara Dana Broccoli, figlia di Albert R. Broccoli, storico produttore dei film di James Bond con la società Eon Productions, e Amazon, che dal 2021 possiede la Mgm, distributrice internazionale delle pellicole. Le tensioni cominciano presto, quando Amazon decide di utilizzare 007 per promuovere le offerte del Black Friday. Ora, però, la distanza tra le parti sembra essere aumentata. Infatti, la società di Jeff Bezos, come riporta il Wall Street Journal, sembra che possa affidare il ruolo di Bond a un attore nero o appartenente alla comunità lgbtq. Al Festival di Venezia, durante la conferenza stampa di Queer, Luca Guadagnino aveva risposto infastidito a una domanda simile: “007 potrà mai essere gay?”. “Guys, let’s be serious”, fu la risposta del regista: “Ciò che definisce il personaggio dell’agente segreto è la sua capacità di completare le missioni, non la sua sessualità”. Broccoli non sembra però intenzionata a scostarsi dalle caratteristiche originali di James Bond. La produttrice, ricorda ancora La Verità, avrebbe rifiutato l’offerta per un film su Miss Moneypenny, l’assistente di M., il capo dei servizi della MI6, l’intelligence britannica. A peggiorare le cose ci sarebbe anche un’uscita di Jennifer Salke, responsabile dei rapporti tra la Amazon Mgm Studios e la famiglia Broccoli, che avrebbe definito “contenuti” quelli relativi all’immaginario di 007, una parola inadeguata al prestigio del personaggio. Barbara Broccoli, stando ancora al Wall Street Journal, avrebe chiamato “fot*uti idioti” i dirigenti di Amazon. Entra quindi in scena il ricco immobiliarista Josef Kleindienst: “James Bond non morirà sotto i nostri occhi! Noi e molti altri fan siamo delusi nel vedere come viene trattato l'Agente 007 e la nostra preoccupazione è garantire che Bond, come tutti lo conosciamo, rimanga vivo. Abbiamo scelto di offrire il nostro supporto affinché gli appassionati di oggi e le generazioni future possano godersi James Bond”. Insomma, Kleindienst si è candidato a prendere in mano l’universo narrativo creato da Ian Fleming. Ma la presunta “svolta woke” potrebbe realmente avere degli effetti così catastrofici?
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Il timore di molti è basato soprattutto sui recenti flop dei film Disney, The Marvels su tutti, e alle dichiarazioni di qualche anno fa di Bob Iger, Ceo di Disney: “Gli autori hanno perso di vista quello che dovrebbe essere il loro obiettivo principale, ossia per prima cosa intrattenere, non di veicolare dei messaggi. Mi piace intrattenere e se si riesce a trasmettere anche dei messaggi positivi e avere un impatto nel mondo, è fantastico. Ma non dovrebbe essere questo l’obiettivo. Quando ho ripreso il posto di Ceo, ho cercato di tornare alle nostre radici”. Ma né i successi né i fallimenti al botteghino dipendono per forza dalla scelta del cast. Robert Bernocchi su Cineguru passa in rassegna diversi film che, nonostante scelte di maggiore inclusività, hanno comunque dimostrato di potersela giocare anche in termini di risultati economici: Wakanda Forever, che vede protagoniste guerriere femminili, per dire, ha guadagnato più di Ant Man (859 milioni contro 476). Ma ci sono anche gli esempi di Wandavision, che al tempo dell’uscita era è la seconda serie Marvel per ascolti su Disney+, e del primo capitolo di Wonder Woman che aveva superato 800 milioni di dollari di incasso. Ovviamente non si possono prendere casi particolari e farne degli universali. È altrettanto vero, però, che non si può dedurre da alcuni flop il fallimento di una strategia (perché di questo si tratta - le produzioni vogliono fare più soldi, non portare avanti battaglie per i diritti) appena cominciata. In questi giorni c’è un ulteriore dato che può servire alla riflessione: Captain America: Brave New World, in cui il protagonista è l’attore nero Anthony Mackie, ha finito il primo weekend in sala con un +4% rispetto a quanto ottenuto da Captain America – The Winter Soldier, quando il soldato era interpretato ancora dal "caucasicissimo" Chris Evans.
Sarà un fallimento, dunque, l’eventuale (e per il momento del tutto ipotetica) scelta woke per il prossimo James Bond? Non è detto. Così come non è certo che sarà un successo. Chi si occupa delle strategie dei franchise non possiede la formula del successo. Può “solo” provare a intercettare dei cambiamenti nelle abitudini di fruizione, di pubblico, di interessi. Ma tra la riuscita di un’opera e il suo tracollo c’è qualcosa di fondamentale nel mezzo: la qualità del film. Perché nonostante il tempo che passa bisogna rimanere attaccati all’opera in ogni aspetto della sua originalità? Peraltro, nei romanzi di Fleming non ci risulta che James Bond utilizzi l’iPhone: vogliamo negare al nostro anche l’aria condizionata, forse? In più: non è forse interessante che i film, pur dialogando con le opere, ottengano una loro autonomia? Per fare un esempio celebre: Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke hanno sempre rivendicato le differenze tra il romanzo e la pellicola di 2001: Odissea nello spazio. Erano forse pazzi o nemici del rigore? O peggio: erano quelli i prodromi alla svolta woke?
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