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Ghost Hotel su Sky con la Murgia: Michela, i telecomandi si vendicheranno

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

23 gennaio 2022

Ghost Hotel su Sky con la Murgia: Michela, i telecomandi si vendicheranno
Michela Murgia ha un programma tutto suo su Sky Arte, Ghost Hotel. Nei panni di una portiera di notte, va a indagare le vite di sette artisti, scrittori e intellettuali di fama mondiale, da Truman Capote a Mata Hari. Ne nasce un format di divulgazione a suo modo interessante. L'unico difetto? Conduce lei

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Michela Murgia ghostbuster! Quella che potrebbe sembrare una creativa imprecazione in questi tempi di asterischi e schwa rispecchia invece la sinossi del nuovo (e primo) format condotto dall’arcinota scrittrice sarda su SkyArte (e NowTv) ogni martedì alle 21.15: Ghost Hotel. La nostra, prima di arrivare alla fama della polemica nazionale, oltre a metter parole in fila, pubblicarle e ricevere premi (tra cui il Campiello, mica brugole, nel 2009) aveva lavorato come portiera di notte e, facendo tesoro di questa esperienza, ora la ripropone in tv andando a caccia di fantasmi: aggirandosi per le stanze di un oscuro albergo, va alla ricerca delle storie di sette personalità del ‘900 - scrittori, artisti e intellettuali vari - uno per puntata da mezz'oretta cad. Si parte da Truman Capote, passando poi per Mata Hari, Nikola Testa, Anaïs Nin, Palma Bucarelli e Man Ray. I primi due episodi sono già a piede libero. Val la pena di buttarci un occhio? Per rispondere, ricorriamo a un’analogia cinematografica: ricordate il grandioso successo e la pregevole fattura del famigerato Ghostbusters al femminile? Torcia alla mano - e badando bene a non incrociare i flussi - andiamo a scoprire cosa non funziona (e cosa, invece, sì) nell’ultima fatica televisiva di Michela “Matria” Murgia. 

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Impossibile non partire da un presupposto ovvio: le biografie (e le relative anime tormentate) dei grandi artisti sortiscono da sempre un fascino a cui è difficile resistere. Ghost Hotel è chiaramente un prodotto di nicchia, una creatura che si rivolge all’élite intellettuale che ci capita davanti, immaginiamo, con gusto Trivial: non per mettere alla prova la propria cultura ma per confermarne la granitica solidità. A livello di mere nozioni, dunque, non c’è niente che chi si dia arie da testa d’uovo non conosca già. Ma il percorso narrativo che porta Murgia a raccontare le vite di questi personaggi, regala a chi fosse a digiuno di curiosità e informazioni, gustose pillole di cultura pop da sfoggiare al primo aperitivo con la matricola di Lettere conosciuta su Tinder: Colazione da Tiffany? Lo adoro! Ma sapevi che l’autore del romanzo da cui è tratto, Truman Capote, avrebbe fortemente voluto Marilyn Monroe al posto della Hepburn nel ruolo della protagonista? Del resto, gli sceneggiatori hanno proprio stravolto la trama del libro, anzichenò. Ed è subito match. 

Se a livello nozionistico (e, andiamo pure di manica larga, anche registico e di costruzione narrativa) tutto, a suo modo, funziona, c’è un dettaglio che si impegna a rovinare questo Ghost Hotel, che ora come ora si può definire una produzione che stava per farcela a interessare i quattro gatti che l’avrebbero seguita con piacere. Questo “dettaglio”, dubitiamo sarà una sorpresa per i nostri lettori, ha un nome all’anagrafe: Michela Murgia. Scrittrice, critica letteraria, speaker radiofonica, podcaster e solerte attivista per la parità di genere, ora la nostra debutta come presentatrice tv. E checché si possa pensare di quanto finora detto, fatto e postato dall’eroina dell’asterisco, è difficile, vedendola in azione davanti alla telecamera, non rimanere folgorati da una cristallina evidenza: costei e la conduzione, in un mondo giusto  che - evidentemente e per tante ragioni - non è quello in cui abbiamo la sciagura di vivere, dovrebbero orbitare su due pianeti, galassie, differenti. Di più, almeno su due universi a forma di rette parallele, infinitamente impossibilitati a intersecarsi. Proprio come Fabio Volo e la scrittura. Eppure…

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Eppure le vite degli intellettuali raccontate in Ghost Hotel sono oltremodo interessanti (ma non mi dica, signora mia!) e riteniamo pressoché impossibile, considerando uno spettatore medio, arrivare alla fine di ogni episodio senza qualche informazione in più su di loro. Se la scrittura delle puntate (merito dello sforzo congiunto di Murgia, Donato Dallavalle e Valentina Pattavina) è pure appassionante e le immagini (come i video) d’archivio - fegatelli compresi - risultano davvero affascinanti, a rovinare questo piccolo ma bilanciato ecosistema arriva il tip tap della Murgia sulle orme di Capote (che presto si trasforma in passi di danza sarda), momenti di quasi recitazione (da far rimpiangere Alberto Tomba in Alex l’Ariete) che vorrebbero disperatamente conferire pathos alla faccenda ma che riescono solo a ridicolizzare l’argomento trattato, spostando la nostra immaginazione dalle mirabolanti avventure raccontate, all’espressione di un ipotetico Renè Ferretti di turno dietro alla macchina da presa costretto a registrare questi marchiani passaggi che non fanno altro che svilire ‘sto Medical Dimension della divulgazione intellettuale. 

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Dove sta, insomma, l’errore? Michela Murgia, di suo anche ottima autrice, si vieta di voler abbastanza bene alla propria creatura da poter fare un passo indietro (non quello richiesto da Amadeus nella famosa gaffe d’archivio sanremese) e decide di metterci la faccia auto-sabotando la bontà e i possibili risultati positivi della propria opera. Esistono cantautori dalla voce pirotecnica che per anni si sono limitati a scrivere testi per altri, pensando di non essere all’altezza di intonare ciò che scrivevano (due nomi su tutti, Mango e Zucchero). Oggi questo eccesso di umiltà e, se vogliamo, di rispetto per l’arte, com’è noto, non esiste più, visto che qualunque ego-sesquipedal moffetta appena si vede raggiungere qualche migliaio di follower sui social, s’appresta a dare alle stampe, almeno, il proprio esordio letterario (o una hit feat. Pamela Prati). 

Nell’era, dunque, del Chiunque può, stiamo messi così male che perfino uno sketch del 2012 di Pio e Amedeo risulta oggi profetico, tocca sorbirci pure Michela “Matria” Murgia conduttrice televisiva che fa sfoggio della propria trascinante simpatia. Trascinante simpatia che costei non ha mai posseduto, quantomeno non mediaticamente, ed era giusto, coerente, se avesse continuato così: vederla presentare e quasi recitare per dar pathos al copione da e per lei steso, ha lo stesso effetto che farebbe trovarsi davanti a Bud Spencer, estatico, nell’atto di ingollarsi un piatto di polpette vegane. 

Dopo Ghost Hotel, ne siamo certi, di Michela “Matria” Murgia continuerà a rimanere nella storia della tv l'intervento da Augias su Rai 3, ai primordi della propria luminescente carriera (aka l’epoca in cui - per fortuna? - ancora nessuno la conosceva a livello mainstream) quando nel giro di due minuti secchi, con la serietà e l’attitude da schiacciasassi senza cuore che contraddistinguono il suo personaggio mediatico, demolì l’ultimo romanzo di Volo con il fantasmagorico (e atono) epitaffio: “Fabio, gli alberi si vendicheranno”. Su tutto il resto, almeno a livello televisivo, un bel ghosting non fu mai visualizzato. 

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