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Gianluca Grignani a MOW: "Non dirò mai grazie a Vasco, non sono un numero due!"

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

7 febbraio 2023

Gianluca Grignani a MOW: "Non dirò mai grazie a Vasco, non sono un numero due!"
A Sanremo Michele Monina incontra per MOW Gianluca Grignani. Con tanto di mazza da baseball. La chiacchierata si fa accesa e coinvolge anche lo staff dell'artista, reo di "stressarlo". Vasco Rossi l'ha definito "Il John Lennon italiano" ma il cantautore non ha alcuna intenzione di ringraziarlo per questo. Né per nient'altro. Eppure...

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

"La mazza la poso perché sei più nervoso tu di me". Così Gianluca Grignani, a poche ore dal ritorno sul palco dell'Ariston per il Festival di Sanremo 2023, punzecchia Michele Monina. E tra di loro c'è effettivamente la famigerata mazza da baseball che il giornalista e critico musicale ha scelto come proprio marchio di fabbrica e che lo accompagna anche nel Privè Monina, spazio fisico e digitale, nato dall'ex Club Medierranee - oggi Meditarranee Cucina & mare - e parte del Rumore BIM Festival Village e pericolosissima tana dove MOW sta attirando tutti i cantanti in gara di questa settantreesima edizione della kermesse. La chiacchierata con il Joker è stata intensa e ha coinvolto anche lo staff dell'artista, reo di mettergli fretta. Mentre su Vasco la penna nonché la voce di Destinazione Paradiso dice che... non potrà mai dirgli grazie. "All'inizio della mia carriera soffrivo per il fatto che venissimo sempre accomunati. Lui mi avrà pure definito il John Lennon italiano, ma io sono Gianluca Grignani. Non mi frega niente di essere il numero uno. Però nemmeno mi sento numero due già in partenza". Qui di seguito, un estratto dell'intervista dove il cantatuore tesse le lodi di Amadeus (in barba a Pippo Baudo)... Molta carne al fuoco, dopo il video, il testo integrale... 

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Come ti stai vivendo Sanremo quest’anno?

Per me questo è un Sanremo che rimarrà. Rimarrà nella storia. Ci sono artisti come gIANMARIA, come Madame e come anche Ultimo, già affermati. Per me Ultimo è un ragazzo che sa già nei prossimi 150 anni cosa fare. Mi piace molto come persona. Poi c’è Lazza… e tanti altri. Ma quelli che mi son venuti in mente subito sono quelli che mi piacciono di più.

Hai sentito le canzoni?

No no. Facciamo le nostre prove e andiamo via, non rimaniamo a sentire. Poi a me dà già fastidio sentire la mia di canzone, figurati quella degli altri.

Soddisfatto dalle prove?

No, non sono soddisfatto (si rivolge al suo management: "Cosa c’è Angela, perché mi guardi?"). Ieri ero un po’ distratto dal maestro Melozzi con cui ho firmato il brano. Perché è troppo incasinato lui. Però io sono fatto così, sono sempre da mettere in difficoltà. Perché se c’è la tv, se tutta l’Italia mi guarda, allora io do il massimo.

Sì beh, una prova è una prova...

Eh, non ero concentrato. Anzi, mi sono proprio annoiato. C’erano troppi giornalisti.

Io non c’ero...

Ah, non ti hanno fatto entrare con la mazza? Li capisco!

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A che punto sei della scaletta?

Non lo so, girava una lista ieri. Ma poi mi hanno detto che era un fake. A Sanremo Giovani, quando portai Destinazione Paradiso, io fui chiamato per ultimo. C’era Baudo che presentava e mentre diceva i nomi io pensavo: “Con la sfiga che c’ho, figurati se sono dentro!”. Poi invece quando ha fatto il mio nome io subito: “Cazzo, che culo! Ma veramente?!”.

Beh, comunque una canzone che ha avuto un discreto successo, possiamo dire…

Tra l’altro avevo venduto già 60mila copie prima che io andassi in televisione. Il che dimostra, nonostante allora dicessero che funzionavo perché ero bello, che non era quello il motivo. Comunque ero bello, eh? Sappiatelo. Comunque tanta gente aveva pensato fosse un pezzo di Ron. Ah, gli sarebbe piaciuto a Ron! No scherzo, a me sarebbe piaciuto duettare con lui!

Molti brani del tuo repertorio sono entrati nella memoria collettiva…

Ti ringrazio per averlo detto. Quando ho cominciato a scrivere, non ero ancora conosciuto. Quindi per me la musica aveva un senso illogico. Comunque c’era il grunge che voleva dire essere famoso e fuori moda. Cosa che mi capiterà a breve, credo. Anche voi siete una generazione straordinaria, con tutti i talenti che nascono dal web. Io dovevo essere preso a schiaffi, non andavo venerato. E lo sapevo. Questo nonostante la mia presunzione…

Comunque giustificata dall’età…

Sì, infatti. Anche quando i ragazzi di oggi tendono a presentarsi in modo un po’ presuntuoso, io li giustifico sempre perché a quell’età non hai la coscienza. E non sai che devi morire, ricordati che devi morire, come disse Massimo Troisi: “Mò me lo segno”. Questa frase qui è un po’ la sensazione della canzone che ho scritto e che porto quest’anno a Sanremo, Quando ti manca il fiato.

Di quale sensazione si tratta?

Della sensazione che uno prova nella vita quando si accorge che deve morire o, metaforicamente, che la vita gli ha dato uno schiaffo vero per la prima volta. Tipo Liam Gallagher, lui questo schiaffo l’ha preso una volta: quando suo fratello se ne è andato. Liam è veramente un miracolo che sia vivo. Quello schiaffo lì che ha preso, beh… poi a lui è andata di culo, ha avuto tutto. A me no, perché lo schiaffo è arrivato quando avevo cinque anni. Quello stesso schiaffo si ripropone più volte nel corso della vita, ma la prima è la più amara. Nonostante sia anche quella che ti alleggerisce. E questo credo sia il vero leit motiv della canzone. Anzi, ne sono abbastanza certo. Non ho scritto solo di mio padre nel brano, ho scritto anche di me.

Sì, è chiaro…

Non a tutti.

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Quando scrivi una canzone, parti da te. Parti dalla voglia di “sbrinare il freezer”.

Sì, ma magari non è il mio.

Poi tanto è la gente che la ascolta a stabilire se quella canzone arriva…

La prima volta che sono salito sul palco, la mia preoccupazione era solo quella: che la gente mi volesse. Allora, nel bene o nel male, mi volevano. Appena mi hanno visto poi, c’erano le ragazzine che impazzivano. E io le ho sempre odiate queste cose. Continuavo a dire: “Ma di ragazzi non ce ne sono?”. Però in realtà ai Rolling Stones era successo lo stesso, anche ai Beatles. Solo che a me lo facevano presente. Nonostante avessi tirato fuori un disco con dei brani che sono poi rimasti nella storia. Posso dirlo, oramai ho 50 anni. Adesso se mi dicono che sono bello, sono contento. Si è ribaltata la situazione.

Ho co-firmato con Vasco la sua autobiografia. Penso che tu sappia che lì lui dice che tu sei “Il John Lennon italiano”…

Allora, Vasco io non sono il John Lennon italiano: io sono Grignani. Ma Vasco è furbo, eh, io lo adoro. Non parlo mai di lui perché se no mi paragonano e…

Le sue parole su di te sono comunque un grande attestato di stima…

La mia paura era all’inizio che mi accomunassero a lui, ci soffrivo anche un po’ all’inizio. Non dirò mai “Grazie, Vasco”.

Potresti dire, per ricambiare, che lui è il Paul McCartney italiano…

Lucio Dalla mi diceva: “Tu non sei Lennon, sei McCartney”. Quindi tra Dalla e Vasco chi vince? Io! Ti ho fregato!

Ma certo tu sei Gianluca Grignani…

Ti darò una risposta più pragmatica: siamo quello che non esisteva, abbiamo costruito la nostra sedia”. Questo lo diceva Lennon e in realtà è la stessa sensazione che ho io. Quello che esiste si ripete e viene abbracciato subito, quello che non esiste non si ripete e spesso risulta incomprensibile. Io ero incomprensibile, ho creato la mia sedia. Credo di aver fatto qualcosa di diverso.

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Personalmente, ero rimasto colpito da Destinazione Paradiso ma quando hai fatto la Fabbrica di Plastica, ero andato in estasi. Io come molti. In Italia non l’aveva mai fatto nessuno…

Non solo non l’aveva fatto nessuno: in Italia non esisteva. E Poteva non esistere più. Sai come è nata la copertina di quel disco? Io all’epoca ne volevo una diversa dall’altra e andai dove le fabbricavano. Mi hanno detto subito: “Ma tu sei matto, non si può fare!”. E invece di poteva: le prime 50mila copie sono una diversa dall’altra. La grande genialità di quel disco, secondo me, è che sono stato un incosciente. Perché l’Italia non era pronta per quell’album. Però pensavo alla rivoluzione e come mi disse Vergassola: “Se questo disco avrà successo, sarà la rivoluzione”. La Fabbrica non ebbe successo immediatamente, ha più successo adesso. Perché la rivoluzione non si fa in un giorno.

L’idea di tornare a Sanremo ti è venuta dopo il duetto dell’anno scorso con Irama?

Sicuramente mi ha stupito che la gente mi accogliesse così. Però quest’anno ci sarei venuto comunque perché ho fatto proprio un buon lavoro. Amadeus poi non mi ha mai fatto sentire secondo a nessuno, mentre Sanremo mi ha sempre messo davanti dei paletti. A me non mi frega niente di essere numero uno, solo che non mi sento già numero due. E questo secondo me è impagabile. Amadeus meglio di Pippo Baudo… Ciao Pippo! Non ditelo a nessuno, sto scherzando! È solo una battuta per questo usiamo… la mazza da baseball!

 

(Rivolgendosi al suo management: “Dai ragazze, non mi mettete fretta! Sono un artista, giusto? Ecco, non mi dovete stressare! Sto facendo apposta a fare il figo, eh? Però devi aspettare!”)

 

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