Gigi Proietti è tante cose. Edoardo Leo ha provato a restituircene una parte con il suo documentario Luigi Proietti detto Gigi presentato nuovamente al pubblico in occasione della mostra su Proietti e Ettore Petrolini alla Casa del Cinema di Roma. Nel film girato qualche anno prima che Gigi morisse, compare anche lui, e poi sua sorella Anna Maria, Renzo Arbore, Alessandro Gassmann, le sue figlie, gli amici di una vita intera. Con le braccia infinitamente aperte verso il pubblico fedele e devoto del Brancaccio e poi del Globe Theatre a Villa Borghese (che oggi porta il suo nome), Gigi Proietti, oltre al teatro, ha fatto doppiaggio (è lui la voce di Gatto Silvestro e di Aladdin), musica (suonava chitarra, contrabbasso, fisarmonica… ), serie TV e cinema. Federico Fellini quando lo vedeva recitare diceva che era come "vedere una fiamma che bruciava". E aveva ragione, perché Proietti ardeva di vita e d’amore per il suo mestiere. Parliamo di un signor attore, forse il più grande di tutti che ha fatto tanta, tantissima gavetta, lavorò persino nei night club durante i suoi anni di teatro al Centro Teatro Ateneo. Rispolverare la sua storia e con essa quella del mondo dello spettacolo italiano è sempre interessante, ma è decisamente più appagante per uno spettatore in sala assistere al disvelamento degli aneddoti, ricchissimi, alle trame celate, le “chicche” sulla sua carriera. Grazie a “Luigi Proietti detto Gigi” e alla testimonianza della cara sorella del Maestro (che odiava farsi chiamare in questo modo) veniamo a conoscenza dell'infanzia di un bimbo che già piccolissimo era capace di conquistare tutti, persino i cuori dei soldati tedeschi, così tanto che questi stregati dall'estro del piccolo genio lo rimpinzavano di dolci e cioccolata. Pochi sanno anche che nel 1964 nel Gruppo Sperimentale 101 sotto la direzione di Antonio Calenda, c’era anche Andrea Camilleri al suo fianco. Ancora meno probabilmente conosceranno l'aneddoto "dell'abbastanza" che lo lega alla sua mamma. Di quella volta in cui Gigi, oramai divenuto una grande star, chiese a sua madre se il suo spettacolo le fosse piaciuto, lei rispose: “Abbastanza”. E proprio quell’abbastanza sembra aver sempre respirato al fianco di Proietti in tutta la sua carriera cinematografica. Si ha l’impressione, oggi a distanza di più di tre anni dalla sua scomparsa, che il cinema non lo abbia mai ritenuto così, "abbastanza", per il grande schermo. Ma come è possibile? Ricordiamoci che anche la critica teatrale all'epoca non è stata sempre gentile con i suoi spettacoli e interpretazioni, specie quando collaborò con Carmelo Bene al Teatro Stabile dell’Aquila. Qualcuno osò dire che il teatro alto e colto di Bene si stava avvicinando a uno basso e popolare. Sì, Proietti era un uomo del popolo, capace di portare a teatro spettatori "ignoranti" che poco o nulla avevano a che fare con la cultura e personaggi del calibro di Eduardo De Filippo (dopo uno spettacolo di Proietti il grande drammaturgo si avvicinò al palco e gli disse profeticamente: "Finalmente, qualcuno continuerà"). Questo perché le sue performances arrivavano a tutti, erano semplici. Se non è la fusione di opposti e di classi l’espressione massima (e democratica) della cultura, cosa lo è?
È una relazione strana quella tra il cinema e Proietti che nel 1970 recita in Febbre da Cavallo, bollato dal critico Paolo Mereghetti come una “commedia sbrigativa”. Il film non aveva convinto quasi nessuno appena uscì nelle sale ma a un certo punto, venduto alle televisioni private, ricevette una fama incredibile. Ma neppure questo bastò allo showman per fare finalmente un salto di qualità e incominciare una florida carriera cinematografica nel mondo della commedia all'italiana. Tolto Sergio Citti e il suo Casotto con Ugo Tognazzi, Mariangela Melato, Michele Placido e Jodie Foster del 1977, Proietti ha recitato in pellicole minori, partecipando spesso solo con brevi cameo. Uomo di cinema forse ancora no, ma uomo di spettacolo lo era già, siamo negli anni di A me gli occhi, please scritto da Roberto Lerici, uno spettacolo “complicatamente semplice”, sul palco: un uomo, Proietti, e un baule dal quale estrarre qualche oggetto di scena. Stop. Ma come è possibile che il mattatore d'Italia non sia mai riuscito a sfondare al cinema? Considerando chi per una serie tv oggi si sente padrone del mondo ma è solo giovane e inesperto, e poi pensare a lui, Proietti, "scartato" per chissà quale ragione, fa una certa impressione. Vittorio Feltri questa domanda un paio d'anni fa se l’era fatta e per lui la colpa del mancato successo di Gigi sul grande schermo andava ricercato nel suo tremendo perfezionismo, considerato un problema per i registi ma sopratutto per i produttori dell'epoca. Sempre Feltri aveva aggiunto che persino la sua libertà e (intelligenza creativa?) rispetto a un mondo che non era libero ma che si muoveva in gregge, era da considerarsi un limite. Ma non sarà invece che la "qualità" anche nel mondo del cinema di tanti anni fa aveva iniziato a stufare? Per non dire "a rompere qualcos'altro", come direbbe Renè Ferretti? Il punto è che forse noi Gigi non ce lo meritavamo...