Dopo aver visto in sala Rapito di Marco Bellocchio, il primo pensiero è stato: “Date un premio a quest’uomo!”. E finalmente, dopo quasi un anno le preghiere sono state esaudite, perché il regista che ha tentato la Nouvelle Vague italiana ha ricevuto il premio Miglior Film Italiano dell’anno da parte del Sindacato Nazionale dei Critici. Ma che cos’ha di così speciale questo film? Secondo lo scrittore Albert Camus: “Ovunque andiamo ci portiamo avanti quel fardello di passato e di futuro” e la grandezza del film di Marco Bellocchio consta proprio in questo, aver preso quella sfida sul serio, portando sul grande schermo dopo più di un secolo i fatti di casa Mortara (i genitori sono dei sublimi Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi) e dell’Italia di metà Ottocento. È la storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara (Enea Sala, Leonardo Maltese), sequestrato dalla polizia pontificia con l'aiuto dell'inquisitore domenicano Padre Feletti (Fabrizio Gifuni) e portato a Roma, per essere ri-educato ai dettami della fede cattolica da Papa Pio IX (Paolo Pierobon). Ma che è tutta 'sta caciara? Il motivo di questo rapimento va ricercato nel passato. Perchè l’hanno strappato dalla sua famiglia? Chi sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere? La colpa è delle domestica cristiana. Sì perché per quanto assurdo e impensabile il piccolo era stato battezzato amatorialmente proprio dalla governante, che preoccupatasi delle precarie condizioni di salute del bimbo anziché somministrargli una qualche medicina miracolosa decise di impugnare quello che di più forte per lei c’era al mondo: la religione. La sua però. Dopo quel segno battesimale improvvisato, Edgardo è destinato a una educazione secondo i precetti cristiano cattolici, bisogna portarlo via da quella casa, che non è più la sua. (Del resto, chi è che è stato battezzato alla nascita secondo il suo volere?) In Rapito si parla ancora di religione, letta da un uomo, Bellocchio, che ha definito il suo ateismo "un rifiuto della dimensione metafisica". Un autore che preferisce essere chiamato un “non credente”, in un'intervista ha detto: "Non si dice ateo, perché nell’ateo c’è sempre una militanza contro la Chiesa". (Ricordiamoci che lui ha chiesto al Papa di vedere questo film). In Bellocchio c'è volonta di riconoscere quella libertà di non credere e di trovare possibilmente un dialogo, un terreno comune, anche di lavoro, insieme con chi invece crede.
Anche in quest'ultimo film oltre alla fede torna prepotentemente il mondo onirico e visionario che colpisce Edgardo tanto quanto lo stesso Papa. Entrambi devono fare i conti con i propri sensi di colpa e persecuzione che risolvono soltanto nei loro sogni: il bimbo si immagina di togliere i chiodi alla statua di Gesù Crocifisso, Pio IX di essere circoinciso dagli ebrei. Tutto questo avviene con gli occhi chiusi. Guarda caso Bellocchio ha deciso di portare in vita questo fatto di cronaca proprio nel 2023, in un’epoca in cui si cerca ancora di fare chiarezza su uno dei casi che ha tenuto davanti ai televisori (e ora ai telefoni) il migliaia di spettatori: la sparizione di Emanuela Orlandi. Grazie alla docuserie Netflix Vatican Girl: La scomparsa di Emanuela Orlandi è stato possibile per i millenials conoscere uno degli scandali che dopo quarant'anni ancora resta irrisolto. Questa è la potenza del cinema, specie quello di Bellocchio a cui piace tanto modellare le sue storie attraverso il sacro e il profano da un lato e il potere della storia e della cronaca dall'altro. In un compendio perfetto, la storia di un Papa (e non un orco) che rapiva i bambini in nome di un Dio e l'Odissea vissuta dai Mortara avrebbe meritato molti più consensi e visibilità anche a Cannes. Rapito è esattamente l’espressione non tanto del Cinema di Bellocchio, ma della potenza del Cinema in generale.