Giulio Mosca, classe 1991, genovese. Rarissimo esemplare di "artista che vive della sua arte", content creator poliedrico con una conclamata passione per "pizza e bacini" e sopratutto padre del "Baffo" noto personaggio a fumetti che, ormai dal lontano 2017, è segretamente condiviso, ammirato e desiderato (almeno come amico) da tutti i mammiferi umani di sesso femminile tra 18 e i 95 anni. Il "Baffo" è tornato di recente in libreria con Feltrinelli. Un'occasione per fare quattro chiacchiere con questo talento tutto italiano che ha fatto della sua passione un vero e proprio lavoro.
Partiamo dall’inizio. Com’è iniziato il tuo percorso?
Sono nato e cresciuto a Genova, nasco grafico pubblicitario. Mi sono trasferito a Torino per studiare allo IED dopo aver vinto una borsa di studio. E lì ho cominciato ad appassionarmi all’illustrazione e al mondo dell’arte in generale. Mi sono trasferito poi a Londra dove ho fondato insieme ad altri una start-up, di cui sono sono stato il direttore creativo e che poi è stata assorbita da Just Eat. Mi mancava la creatività e così ho deciso di aprire una pagina su Facebook dove caricare almeno un disegno al giorno e sfogare quel mio lato artistico a cui stavo dedicando poca attenzione. È così che è nata la pagina del Baffo.
Il Baffo è un personaggio che abbraccia sia la sensibilità maschile che quella femminile ed è sempre in coppia. Solo romanticismo?
No, non è solo romanticismo o un mezzo per far sì che le coppiette condividano i miei contenuti; uso spesso la coppia perché è un archetipo che può raccontare molto sia la sfera femminile che quella maschile. È un modo per essere più universale, per creare un ponte tra uomo e donna ed esprime i concetti e i pensieri di tutti.
Tu mi parli di archetipi, io rilancio con “stereotipi”. Ce ne sono di maschili che non ti piacciono?
Non ce n’è uno in particolare, ma 'sta storia ad esempio che “gli uomini sono tutti uguali” o che le donne si comportano tutte alla stessa maniera mi sta sulle balle. Non mi piacciono in generale perché secondo me sono l’anticamera della discriminazione. Un modo per combatterli è farci della comicità sopra, a volte sottolineandoli magari con una vena critica.
Mi parli di “Clorofilla”, il tuo ultimo libro, edito da Feltrinelli?
Ho iniziato a lavorarci a Gennaio 2020 e sarebbe dovuto uscire in concomitanza con “Lucca 2020” ma ovviamente è slittato tutto. È una commedia con la struttura del thriller: Il fulcro della storia è una coppia ed è la prima volta che la uso in un fumetto, avvicinandomi a quello che il lettore può avere visto sui social. Inizia con un incidente, con una macchina che sbanda e finisce fuori strada in un dirupo. Durante la caduta il tempo rallenta e loro vedono come dei flashback della loro storia, rivivendo anche i momenti belli e non solo quelli brutti. E il lettore è portato a chiedersi fino alla fine come sono finiti fuori strada, anche metaforicamente.
Cos’è che le donne non capiranno mai degli uomini?
Finché gli uomini non vorranno essere più umani, voi non capirete che noi siamo insicuri tanto quanto voi, se non di più.
Tu riesci a vivere di arte, cosa piuttosto difficile. Com’è la vita dell’artista?
A volte si percepisce il lavoro dell’artista come un qualcosa di etereo, poco tangibile. Come se non fossero più i tempi per farlo. Ora, grazie a internet, davvero è possibile lavorare grazie a una “nicchia” di follower e grazie alla possibilità di commercializzare le opere tramite gli shop on line, come nel mio caso.
L’Italia è un Paese per giovani e creativi?
L’Italia è un Paese in cui, in generale, lavorare con dignità è difficile. In quasi tutti gli ambienti si ha la sensazione che tu debba quasi ringraziare perché stai lavorando e se ti azzardi a chiedere il pagamento degli straordinari vieni percepito male. Odio parlare di stereotipi, ma in effetti, in altri Paesi, il rispetto per il lavoro è molto diverso. Un conto è la gavetta un altro prendersi pesci in faccia gratuitamente. Internet dà sempre grandi possibilità.
Dai l’impressione di essere percepito come un personaggio positivo in tutto e per tutto. Ti è mai capitato di ricevere messaggi di odio sul web?
Mi tocca contraddirti! Mi è capitato, soprattutto all’inizio da parte della comunità del fumetto, che, mi spiace dirlo, è piuttosto tossica. Quando dal nulla ho fatto il boom, nel 2017, sono stato davvero preso di mira. È stato orribile, fatichi a farti scivolare tutto addosso, colpisce profondamente l’autostima. In qualche modo mi ha formato, un battesimo del fuoco che mi ha fortificato, anche se per fortuna sul piatto della bilancia i messaggi positivi sono sempre stati nettamente più numerosi di quelli negativi.
Come si sviluppa la tua giornata tipo?
Da settembre ho preso uno studio per evitare di continuare a lavorare in casa in pigiama e per non rischiare di essere meno creativo. Sai, stando con le persone magari hai quel guizzo in più che ti ispira. Punto ad avere un atelier prima o poi.
Tu sei un essere quasi unico e in via di estinzione: un uomo sensibile. Come si maneggia un esemplare del genere?
Niente panico dai, so che sembrerà incredibile, ma esattamente come tutti gli altri: chi è sensibile riuscirà a intuire il vostro stato d’animo e quindi alla fine ci saranno meno discussioni su tutto.
Mezzo milione di follower sui social. Una cosa negativa e una positiva?
Una cosa positiva è che permette all’artista di avere la consapevolezza che quello che fa è apprezzato, fruito dalle persone. Il fatto di avere così tante persone che possono farlo è un privilegio, una cosa bellissima. Una cosa negativa è che quando sbagli fa molto più rumore.
Cosa vuol dire pervertito ma romantico?
È un ossimoro che mi rappresenta al meglio. Vivo di tante contraddizioni, non negative. Cerco di non precludermi mai nulla e talvolta sono tutto e il contrario di tutto.
Il Baffo sei tu?
In un certo qual modo sì ma non è la mia trasposizione in fumetti. Dico che in un certo qual modo lo sono perché quel che ho cercato di fare è stato ed è tuttora creare un simbolo. Una figura nella quale chiunque possa rivedersi. Poi, è vero che mi somiglia, ma questa è un’altra storia.