Nell’estate dei tanti artisti di nome, più o meno meritatamente, e di chiunque che prova a sfornare tormentoni, che per dirsi tali dovrebbero tormentarci, quindi verrebbe da dire “wannabe tormentoni”, c’è un artista che ha sfornato una hit da Disco di Platino, senza featuring, senza multinazionali dietro, senza contare su altro che sulla canzone in se stessa. Provo a raccontarvi perché, partendo da lontano, dall’Africa. Confesso di aver conosciuto i lemuri, oggi sono che dire una cosa del genere è come dire “ho conosciuto i cani”, ne esistono oltre cento specie diverse di lemuri, comunque confesso di aver conosciuto i lemuri, di averli cioè distinti dagli altri primati tipo le scimmie quando, ormai un sacco di anni fa, ho portato mia figlia Lucia, ai tempi di quattro anni neanche compiuti, oggi ventunenne, a vedere il film di animazione Madagascar. In quel film, che in teoria aveva per protagonista un gruppetto di animali di grandi dimensioni che si ritrovavano loro malgrado a scappare dallo zoo di Central Park di New York per tornare alla natura più selvaggia in Madagascar, appunto, Alex il leone, Marty la zebra, Melman la giraffa maschio e Gloria l’ippopotamo femmina, ma che nei fatti ci regalava dei comprimari di primissima grandezza, da una parte i Pinguini, poi giustamente titolare di uno spin off, capitanati dal cattivissimo Skipper, l’ideatore del motto “carini e coccolosi”, in inglese “smile and wait”, fondamentali per il piano di fuga, dall’altra Re Julien, Maurice, Mortino e tutto il gruppo di lemuri, appunto, pronti a accoglierli una volta arrivati nell’isola africana. Re Julien, un tipico lemure con la coda a anello è una sorta di re folle e divertentissimo, uno che si aggira in sella a dei fenicotteri rosa, vive nel culto di se stesso e danza dimenando il didietro come non ci fosse un domani. Al suo fianco il ciambellano Maurice, un Aye-Aye sempre in imbarazzo per i comportamenti bizzarri del suo sovrano. Poi c’è Mortino, piccolo e con gli occhi dolcissimi e enormi, ossessionato, questo non ho mai capito perché, dai piedi (in pratica, la Pixar, ci ha propinato una versione addolcita dell’Ashikoki dell’Hentai, senza la malizia dei manga), e assolutamente votato al culto di Re Julien. Ecco, Mortino. Se è chiaro che tipo di animale sia Re Julien, ripeto, ora faccio lo splendido, ma fino a Madagascar lo avrei probabilmente chiamato semplicemente scimmia, e su chi sia Maurice, la tipologia di animale che Mortino ha portato sullo schermo appare ambigua. La produzione di Madagascar, infatti, lo indica come un Microcebo Pigmeo, cioè un lemure nano, uno dei più piccoli primati al mondo, ma a vederlo potrebbe essere tranquillamente un Galagide, meglio noto come Galagone, che sarebbe non un lemure nano ma un lamure topo, piccole sfumature ovviamente fondamentali. Entrambi sono molto ma molto piccoli, quanto la mano di un umano, per intendersi, muniti di una coda allungata, come quella di un topo, appunto, occhi e orecchie gigantesche, zampe inferiori retrattili, e entrambe sono capaci di qualcosa di sorprendente, ma ora ci arrivo.
Sono un uomo di parole. Credo di essere anche un uomo di parola, certo, ma soprattutto di parole. Certo, vivo nel 2023, quindi non posso fare i conti col fatto che la nostra società sta involvendo verso una china fatta di immagini, statiche o in movimento, forse a causa di quella distrazione vaporizzata che ha abbassato col tempo la soglia di attenzione sotto il mezzo minuto, le didascalie sempre meno centrali a beneficio dei disegnini, il successo di social quali Instagram e Tik Tok lo attesta. Frequento quindi questi luoghi virtuali, anche se rigetto l’idea che siano appunto differenti da quelli reali, credo semplicemente che oggi la realtà sia fatta anche di social, esattamente come ieri era fatta anche di televisione, di telefono, e via discorrendo, frequento questi luoghi virtuali e mi ritrovo spesso a interrogarmi sulle sorti del pianeta che ci troviamo, immeritatamente, a abitare. Siccome però io non credo di avere una soglia di attenzione particolarmente bassa, e pretendo che chi mi legge sia fatto della stessa sostanza di cui sono fatto io, fanculo il bardo e i sogni, ma ho una soglia della noia praticamente rasoterra, mi ritrovo quasi sempre a vedere due, tre tipologie di storie, reels o video, fossi più giovane saprei quali di questi termini usare con competenza. La prima tipologia, benedetto algoritmo, è prevalentemente frequentato da signorine che alzano le mani a precisa intimazione “Hey mom”, si tirano gli striminziti vestiti al ritmo del caricatore di un mistra, salvo poi rimanere in striminziti bikini, chiamarli così sembra già gesto di immensa generosità, o più in generale mette in mostra più carne di quanta immaginavo si potesse mettere in mostra su un social ideato per gli adolescenti. La seconda tipologia, la più amata, è fatta di tizi particolarmente muscolosi e dai volti non eccessivamente svegli che si prendono a schiaffoni, non prima di aver passato le mani nel talco e aver a più riprese preso la mira sulla faccia di chi gli è di fronte. Sono capace di vederne anche decine di fila, di questi video. L’ultima, e arriviamo a noi, è fatta di video di gufi dagli occhi arancioni e le piume bianche e soprattutto di piccoli lemurini dolcissimi, a volte vestiti con gilet e borsette fatte all’uncinetto. Qua e là video di personaggi come due gemelli dall’aspetto particolarmente buffo che si esprimono tra loro facendo gorgheggi idioti o giocano con coperchi di pentole intonando I feel Good di James Brown. Tornando ai piccoli lemuri, non si capisce se siano appunto microcebi pigmei o galagoni, di fatto sono identici a Mortino, riguardo a questi piccoli lemuri nani o topi, quindi, e poi, giuro, passo a parlare di musica, ovviamente è strepitoso passare ore a guardare come muovano le orecchie, un po’ come quei cappelli buffi che si comprano negli empori inglesi, di quelli che hanno inclusa una specie di lunga sciarpa che finisce con due guanti, dentro i quali ci sono dei pulsanti, li premi e le orecchie poste sul cappello si muovono, idem per gli occhi, ovviamente è strepitoso guardare come mangiano, questa microscopica linguetta, ma la cosa più incantevole è vederli saltare per le stanze di coloro che fanno questi video, compiendo veri e propri voli di svariati metri, con una precisione incredibile, saltano da un angolo a una mano neanche avessero un mirino, prodigiosi nel loro essere, in fondo, dei pucciosi animaletti (e per la cronaca non ho visto un solo video in cui questi animaletti abbiano a che fare coi piedi, anche se immagino che, mashuppandoli con quelli delle tizie di cui sopra, le moms, quelle col mitra, le altre, potrebbero tirar fuori una nuova categoria di Pornhub.
Dovendo pensare a Alfa, è di Alfa che stavo parlando, so che la cosa potrebbe non essere credibile, giovanissimo cantautore genovese (e genoano, come me, sia detto en passant) che da qualche anno a questa parte si è fatto molto notare sui social, prima, e nel mondo della musica, poi, è a uno di questi simpatici animali che ho pensato, siamo pur sempre a Bestiario Pop, perché Alfa è un ragazzo che in apparenza sembra normale, si pone in maniera molto easy (potrei usare l’avverbio scialla se non avessi un senso della dignità piuttosto elevato e una età anagrafica che coincide con l’età mentale), anche se poi fa numeri pazzeschi, scrive canzoni altrettanto semplici, in apparenza, squisitamente pop come il pop d’autore sa essere, e soprattutto ha un modo di raccontare la vita degli zoomers, la sua generazione, assolutamente non spigoloso, da occhioni sgranati, orecchie semoventi, i balzi prodigiosi quelli ottenuti su Spotify, Youtube e soprattutto Tik Tok. In perfetta sintonia con quel che succede intorno a lui, alla faccia della distrazione evaporata di cui sopra, Alfa, che inspiegabilmente si è ritrovato a partecipare a Sanremo Giovani pur avendo numeri e statura non inferiore a un Rosa Chemical, per dire, o un Mr Rain, e di averli poi stracciati in questa estate 2023, entrambi titolari di due flop, Mr Rain in compagnia di Sangiovanni, per dire, ecco, Alfa, in perfetta sintonia con quel che succede intorno a lui, forse dovrei dire intorno a noi, Alfa propone un pop leggero, a base di melodie orecchiabili, suoni che guardano all’indie, sempre che oggi si possa ancora parlare di indie senza risultare come quei boomer che usano termini quali “matusa”, con venature rap che arrivano a fiotti, senza alcun riferimento all’hip-hop, come ormai è dato acquisito, quanto piuttosto come un linguaggio ormai entrato nel nostro paniere, qualcosa tipo quello che l’Istat fa ogni anno con i prodotti che ogni anno si assommano ai prodotti di uso comune, loro li chiamano beni durevoli e di consumo, beni durevoli e di consumo che poi pesano in base alla frequenza di acquisto, al fine di andare a calcolare i relativi indici per misurare l’inflazione. Il rap, quindi, come nel tempo lo smartphone o gli integratori multivitaminici, qualcosa che sta lì, basta solo decidere con che frequenta utilizzarlo.
Il risultato di tutto questo, lui che nel tempo, nel poco tempo che nel quale ha frequentato discografia, prima, e classifiche, poi, è stato definito come “il cantautore che suona l’ukulele e voleva studiare medicina”, capite bene perché io ne abbia parlato in termini di normalità, come uno di famiglia o un vicino di casa che di colpo si trova a avere milioni di stream (100 con la sua megahit Cin Cin, quasi venti con la hit estiva Bellissimissima, al momento quinta in classifica fimi, quindi sopra Mon Amour o le fragole di Achille Lauro, ma anche sopra Rkomi e Irama, sopra i Boombdabash, sopra quasi tutti, unica indipendente in mezzo alle corazzate major, ancora milioni di stream da macinare in futuro, è scritto), il risultato di tutto questo è un repertorio ancora in evoluzione, sì, ma fresco, pop come può esserlo la musica che prova a sconfinare dalla fortezza della generazionalità, capace di tenere insieme le fragilità della giovane età e la curiosità di chi ancora deve conoscere la vita e il mondo. Pop, appunto, capaci di balzare da un angolo all’altro delle camerette di tutta Italia, pronte a atterrare esattamente nel posto giusto, manco ci fosse un mirino a orientarne le parabole, poco conta che a compiere quel balzo sia stato un Microcebo Pigmeo, alias un lemure nano, o un Galagone, alias un lemure topo.