Da fuori sembra Hogwarts. Dentro, un palazzo aristocratico, antico ma perfettamente adatto alle esigenze contemporanee, la location ideale per un Ballo delle Debuttanti. Però con pop corn e partecipazioni da prenotare online. Ma anche con quella scalinata laterale gigantesca, i lampadari enormi, di cristallo. Il cinema Odeon di via Santa Radegonda 4, di fianco al Duomo di Milano, ha chiuso i battenti per sempre il 31 luglio 2023. Una notizia che la città aveva avuto il tempo di metabolizzare ma a cui è comunque difficile rassegnarsi. Inaugurato nel 1929, nei decenni è stato sede di anteprime e grandi eventi tutti legati allo spettacolo della settima arte. Poi, c'era la programmazione settimanale con titoli blockbuster ma pure d'autore (fino agli ultimi tempi, almeno). Se ne va un importante ventricolo del cuore meneghino. Cuore culturale ma non solo. MOW è andato a portare l'ultimo saluto al leggendario multisala (termine incredibilmente riduttivo, in questo caso) e ha parlato con il suo pubblico, con chi in quel cinema andava per bigiare dall'ITIS di Corvetto, ma anche con coppie che stanno insieme da 20 anni o da due mesi e si sono scambiate il primo bacio proprio in quelle sale. Tra ricordi e nostalgia, emerge netta anche la furia dei lavoratori che si dicono abbandonati a loro stessi, senza alcuna garanzia di un domani. La chiusura dell'Odeon non è una storia solo nostalgico-sentimentale. Nonostante vari tentativi di scacciarci dalla struttura, abbiamo provato a raccontarvela per intero.
"Devi uscire, non puoi stare all'interno del cinema per fare video alle persone", così veniamo scacciati dall'Odeon in chiusura da un uomo in camicia e cravatta. Poco male, qualche ripresa la abbiamo comunque. Da fuori, con Caronte a portarci via, vediamo le piuttosto nutrite file di spettatori che si riversano alla casa per le ultime proiezioni, praticamente a ogni ora. Comunque, l'impressione è che ci siano più giornalisti che pubblico pagante. Dal Tg Regionale della Rai in giù. Del resto, la chiusura di un cinema fa colore, ma soprattutto click. E diamone il triste annuncio, allora.
"Noi non ne sapevamo niente", ci dicono due ragazzine di rosa vestite, prontissime per Barbie. A non saperne niente, o quasi, è anche il bigliettaio all'ultimo turno di lavoro. Comprensibilmente, di umore un filo meno giulivo. Inizialmente afferma di non poter parlare, ma poi la bile può più dell'opportunità di esporsi o meno: "Lavoro nei cinema da 20 anni, qui all'Odeon dal 2008. Ci hanno lasciati a piedi così, senza dire niente. Non ho parole, solo parolacce. Ora come ora, io non ho idea di cosa farò da domani. So che vogliono farne un centro commerciale, ma non ho sentito parlare di nessuna riconversione delle risorse, per il momento. Come campo? Qualcuno me lo può spiegare?". Spegne la sigaretta, si scusa per i toni accesi e rientra per quelle che saranno le sue ultime ore di impiego. In effetti, si parla molto della grande perdita culturale per la città, ma googlando non escono grandissimi risultati riguardo agli impiegati del "multisala" e al loro destino. Poco male di nuovo, l'Odeon Retail ha già aperto il proprio brioso profilo Instagram. Con tanto di influencer très chic che, da brave brand ambassador del lusso, cominciano a smarchettare sopra al "cadavere" ancora caldissimo. Anzi, già assai prima dell'effettivo "decesso".
Nel 1977 a Milano c'erano 147 sale cinematografiche. Oggi ne restano 28. Un ragazzo ci dice che è inutile indignarsi se tanto poi la gente accorre davanti al grande schermo solo quando il biglietto, d'estate, costa 3 euro e 50. E ha ragione, da vendere. Non esistono maxi-concerti a dieci euro. Le persone, se vogliono, per l'arte i soldi li trovano pure da spendere. Per l'arte, sì, ma non per la settima. Forse anche perché, almeno in Italia, non c'è mai (?) stata la capacità di creare l'atmosfera del "grande evento" intorno all'uscita di un titolo in sala. Salvo Barbie di Greta Gerwig, ovvio. Ma un'eccezione, purtroppo, non fa la regola. Triste, comunque, assistere al trapasso dell'Odeon quando in cartellone ci sono blockbuster come, appunto, il film sulla bambola Mattel, ma anche l'ultimo Indiana Jones e Mission Impossible. O anche i cartonati di lungometraggi che usciranno in pieno agosto e che, di certo, non potranno essere proiettati lì.
L'indignazione, però, è retorica. Buona solo ad alzare due like in più sui social. Se la gente non ha più interesse per il cinema (e i dati dicono proprio questo), forse dovremmo arrenderci al fatto di aver vissuto una meravigliosa epoca, oramai al tramonto. Magari la racconteremo ai nipoti che con ogni probabilità non avremo. E si annoieranno a morte, come da tradizione. In un domani più vicino, chissà, avremo già fatto l'abitudine a "goderci" film come l'imminente Oppenheimer di Nolan dallo schermo dello smartphone. Con l'atomica delle dimensioni di un Tamagotchi. Come ripeteva Black Mirror ai tempi in cui ancora poteva chiamarsi tale senza vergognarsene: "The Future is Bright".