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Gli Stati Uniti sono
un paese di m***a

  • di Redazione MOW Redazione MOW

6 ottobre 2020

Gli Stati Uniti sono un paese di m***a
Cattelan ci aveva visto giusto, nel 2016, quando realizzò un water in oro 18 carati pienamente funzionante, lo chiamò America, e lo fece esporre a New York. Perché gli Stati Uniti sono oggi sommersi dal loro stesso grande sogno americano, incapaci di cambiare pur cambiando così velocemente. E mentre la criminalità aumenta e le città si popolano di senza tetto, le proteste sociali dividono il paese. A meno di un mese dalle elezioni presidenziali non c’è nessuno che convinca davvero, in un baratro tra ignoranza ed establishment sempre più divisivo

di Redazione MOW Redazione MOW

Il sogno americano non esiste. Però gli americani di sogni ne hanno parecchi. Un’assistenza sanitaria decente, nel terrore che la già discussa Obamacare venga abolita piuttosto che migliorata, una politica in cui il presidente uscente non candidi il nuovo giudice della Corte Suprema andando contro al buon senso dei suoi predecessori e magari anche una società in cui i genitori di bambini neri, afroamericani, non siano costretti a spiegare ai figli dove mettere le mani quando verranno fermati - e succederà - dalla polizia.

A Brooklyn c’è un muro chiamato Wall of Lies in cui sono raccolte le oltre 20mila bugie che Trump ha detto dall’inizio della sua presidenza. Non mezze verità, non magheggi politici: bugie vere. E mentre esplodono i gruppi radicali, di estrema destra, e quelli complottisti come i sempre più internazionali QAnon, a Trump di quel muro di bugie non importa. Aggiunge i mattoncini della sua nuova campagna elettorale, in cui lo spauracchio di una Cina invasiva a livello economico è utile per trasformare Biden, il suo avversario, in una specie di sovversivo comunista.

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Il campione è un assurdo mix di tutto quello che non capiamo degli Stati Uniti, mentre lo sfidante è la vecchia scuola di un paese che non assomiglia più a se stesso

E Biden che fa? Fa quello che farebbe un membro dell’establishment americano, democratico e in politica da 50 anni, contro un potentissimo imprenditore, ignorante e infantile nei modi di comunicare e porsi: sta calmo. Ci prova almeno, a non mandarlo a quel paese, ma non ha l’appiglio dei democratici del passato. Non è Obama, che con quel sorriso e i modi studiati, avrebbe convinto il più incallito conservatore a votare dem. È un signore dal passato difficile, assurdo, stanco e provato dagli ultimi anni della sua vita e della sua carriera. Inciampa sulle parole, da sempre, e una leggera balbuzie non lo aiuta a contrapporsi a una bestia televisiva come Trump.

Il campione è un personaggio che sembra uscito dai Simpson, un assurdo mix di tutto quello che non capiamo degli Stati Uniti, mentre lo sfidante è la vecchia scuola di un paese che non assomiglia più a se stesso.

Chi vincerà? Il baratro. Un’America strana, in cui succede ogni giorno qualcosa e quel qualcosa è sempre più assurdo del giorno prima. In cui la spinta sociale più estrema è arrivata in modo indipendente, in un paese in cui fare politica senza fondi e campagne è quasi impossibile. E in quel nome c’è tutta l’America che non assomiglia più a nessuna, non a quella dell’establishment di Biden (che per farsi amici gli ispanici ha fatto partire Despacito sul suo cellulare) e non a quella del qualunquismo di un Trump ormai ripetitivo. Il nome è quello di Alexandria Ocasio-Cortez, la più giovane candidata eletta al congresso nella storia degli Stati Uniti. Nella sua ideologia, tanto diversa da quella dei dem oggi dominanti, nel suo passato dfifficile, povero e normale, nella sua vittoria così inattesa, in lei c’è tutto il senso di un paese che deve trovare il coraggio di cambiare.

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E se la politica è lo specchio della società, gli Stati Uniti oggi ne sono rappresentativi più che mai. Con un presidente che nega tutto, dai problemi dei lavoratori indipendenti-sottopagati-non tutelati, alla perdita economica post coronavirus. Con il mondo intero che non guarda più l’America nello stesso modo, che non vede più il sogno, perché in quel sogno non sembrano crederci più nemmeno loro, gli americani.

Con i giovani costretti a indebitarsi fino ai capelli per studiare, per colpa di debiti studenteschi che non estingueranno mai. Con una sanità precaria e un enorme problema di tossicodipendenza derivante da oppiacei di cui nessuno fuori dall’America parla. Un dramma che colpisce ragazzini che passano all’eroina per colpa di un dolore al ginocchio curato con antidolorifici troppo forti e padri di famiglia stroncati da una dipendenza che neanche sapevano di avere.

Con affitti assurdi, in città non più sicure come un tempo, e con il mito della Grande Mela che si sta dissolvendo sui marciapiedi di una metropoli sempre più grigia. Cara, pericolosa, piena di barboni per strada. Persone abbandonate a loro stesse che si uniscono a gruppi sociali inferociti, che da problemi reali sfociano poi nell’insubordinazione con atti vandalici, violenza, delirio condiviso. 

Il baratro. Quello del malcontento sociale, economico, politico. Unito all’ignoranza di un popolo che non si è mai distinto per la propria consapevolezza storica e identitaria, ma che in qualche modo non riesce a liberarsi dell’establishment di cui è ricoperto, come cera su una statua. Così mentre gli statunitensi si preparano a votare, svogliati e insoddisfatti, in pochi occidentali vorrebbero essere oggi al loro posto. Nell'incertezza del lavoro, della salute, del futuro. E il sogno americano non ci è mai sembrato più lontano.

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