La linea sottile tra writing e street art, la critica dell’estetica e della scelta del luogo ma anche di ogni ipocrisia benpensante, una riflessione sul futuro delle espressioni artistiche più underground: partendo dal caso dei graffiti apparsi sulla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, Pietro Rivasi, modenese classe 1978, ideatore del festival Icone e dal 2008 curatore di eventi e mostre dedicate alla street art, parla con MOW di come questo fenomeno vada interpretato a tutto campo. Partendo con la smentita di una voce girata sui social in giornata: quella che parlerebbe di una “legge non scritta” tra i writer che vieta di colpire luoghi sensibili sul piano culturale.
Il gesto del writer di Milano che ha colpito la Galleria ha fatto scalpore. Come lo giudica sul piano estetico e morale?
Dal punto di vista strettamente personale, non ho apprezzato né l’estetica, né il luogo che è stato dipinto. In generale, invece, mi fa un po’ strano leggere tanti commenti indignati da parte dei writer che sanno, o dovrebbero sapere, che le “leggi non scritte” secondo le quali monumenti chiese ed opere d’arte non vengono “colpite”, nella pratica non esistono, è tutto lasciato alla sensibilità dei singoli. Ci sono credo una infinità di esempi di pezzi realizzati su supporti di interesse storico-artistico, che spesso anzi suscitano grande entusiasmo da parte della scena.
Interessante prospettiva, quali sono i casi più significativi?
Penso al Brooklin Bridge che per gli Stati Uniti rappresenta un landmark, che è stato più volte preso di mira da mostri sacri del writing. Se volessimo fare un esempio che tutti conoscono ed apprezzano, anche se non si tratta di writing, il celeberrimo Banksy nel 2003 fece uno stencil sulla statua di Nelson a Trafalgar Square. Sono chiaramente casi diversi per tanti motivi, mi rendo conto, ma credo che questo caso specifico stia suscitando tanto clamore anche tra gli addetti ai lavori perché l’azione è stata clamorosa, kamikaze per certi aspetti, a fronte di un risultato estetico che anche i più aperti al cosiddetto “anti style” non sembrano apprezzare.
Come giudica la reazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni al gesto?
Col rischio di passare per benaltrista aggiungo che mi fa anche sorridere l’indignazione delle persone comuni, che pure comprendo, pensando al trattamento che riserviamo da decine di anni a Venezia per esempio, letteralmente sacrificata sull’altare del turismo di massa e degli 'sghei' nelle tasche di alcuni. Non mi auguro certo l’assuefazione, al contrario sarei felice se si sviluppasse una coscienza collettiva capace di discutere di questi temi, troppe volte con una scusa si abbattono edifici di valore storico culturale per fare spazio a speculazioni edilizie nel totale disinteresse - o addirittura connivenza - di cittadini ed istituzioni. Il senso che oggi si dà a parole come “vandalismo”, “decoro”, “riqualificazione urbana” e “conservazione” è frutto di interessi che spesso poco hanno a che fare con la cultura, la storia e la morale condivisa. Seguo con interesse gli sviluppi e vedremo le reazioni a breve, medio e lungo termine delle istituzioni dopo un caso così eclatante. Sono felice comunque che nessuno si sia fatto male, credo neppure la galleria che se la caverà con un buon restauro che non ho dubbi verrà eseguito in tempi brevi.
Ritiene che ci possa essere un contraccolpo nella percezione della street art per gesti del genere?
Non credo siamo di fronte a cosiddetti “street artist” ma a dei writer, anche se sinceramente non li avevo mai sentiti nominare prima. I writer sono più o meno sempre e da sempre odiati dall’opinione pubblica e dalle istituzioni: lo vediamo quando Welcome to favelas pubblica un video di un backjump sulla metro di Roma, quando l’azienda dei trasporti rivela che “i treni nuovi sono stati presi di mira dai vandali prima dell’entrata in funzione”, quando un negoziante si trova la vetrina marchiata con l’acido, quando prendiamo il treno e non vediamo fuori dai finestrini colorati. A molti credo faccia davvero comodo avere un “nemico” così perfetto contro il quale puntare il dito e contro il quale evocare le peggiori punizioni.
La vicinanza temporale tra l'attacco alla statua di Vittorio Emanuele in Duomo da parte di Ultima Generazione ha già avviato il parallelismo graffitari-ecovandali…
Il paragone con Ultima Generazione penso sia assolutamente improprio visto che sono dei ragazzi che per quanto ne so non usano vernice indelebile ed anzi, si preoccupano di non danneggiare in modo “permanente” i monumenti che prendono di mira. Inoltre le loro azioni sono rivendicate, pubbliche e pensate per sollevare temi di interesse molto ampio. I writer cercano di mantenere l’anonimato, e per la maggior parte dipingono per l’adrenalina e la fama all’interno della loro cerchia. Sanno che i loro lavori verranno cancellati, ma fanno di tutto perché durino il più possibile. Sono due azioni che davvero non hanno niente in comune se non la piazza dove si sono svolte, forse, e chi si occupa di informazione credo non dovrebbe prestarsi a questo tipo di strumentalizzazioni che secondo me sono mirate a delegittimare i cosiddetti “ambientalisti” - che altro non sono che persone che si preoccupano ed agiscono tra mille difficoltà in merito a temi estremamente concreti come la salute pubblica.
A Milano, in generale, come sono gli spazi espressivi per i writer? Sufficienti o sarebbe necessario esplorarne di nuovi?
Il writing è una pratica storicamente illegale, dunque che ci siano o meno spazi per la libera espressione, non credo che sia possibile far scomparire un fenomeno che vive ed evolve da 50 anni in osservanza delle sue radici. Gli spazi per la libera espressione sono comunque una ottima cosa e credo non siano mai abbastanza, siano essi muri liberi sui quali dipingere, sale polivalenti dove suonare uno strumento o imparare a usare i computer.
Sul piano artistico, che fase vive questa corrente? Come è cambiata dal boom degli Anni Novanta a oggi?
Come dicevo, in questo caso specifico si tratta di writer; il writing che nasce negli USA nella seconda metà degli anni '60 ed arriva ad esprimersi a pieno già nella prima metà degli anni ‘70, gode di ottima salute ed è in costante evoluzione, per quanto probabilmente ai non appassionati sembreranno sempre i soliti scarabocchi fatti da codardi che non hanno di meglio da fare.
Infine, quali giudica possano essere le priorità per rafforzare l'attenzione del pubblico sulla forma espressiva di cui si occupa?
Non credo ci sia necessità di rafforzare nulla: se parliamo di graffiti, di writing, una consistente fetta di creativi continua a sfruttarli per promuovere i più svariati prodotti, dalle auto all’abbigliamento, sono ancora oggi un linguaggio potentissimo ed evocativo a quanto pare; contemporaneamente però, e questo per me è affascinante, si continua a reprimere, seppure con altalenante impegno a seconda dei soldi a disposizione e della necessità di propagandare politiche securitarie e di decoro urbano da parte della politica. Se invece parliamo di muralismo contemporaneo, a giudicare dal numero sempre maggiore di pareti dipinte in città e piccoli paesi, direi che ancora la bolla di entusiasmo per questa corrente pittorica non si sia sgonfiata. Se parliamo di “street art”, a giudicare dai servizi realizzati dai telegiornali nazionali quando viene piazzato anche un singolo poster fatto ad hoc per monetizzare il trend topic del momento (pochi giorni fa ad esempio in occasione della giornata mondiale della gioventù a Lisbona), direi che l’attenzione sia sempre altissima.