Nel 2023 esce Il giorno dell’ape di Paul Murray (in Italia esce nel 2025). Vince il Premio Strega Europeo a ridosso di questa estate, nel frattempo colleziona recensioni a cinque stelle da tutte le maggiori testate internazionali – dal Guardian al New York Times – e pure i complimenti di scrittori enormi come Bret Easton Ellis, che lo definisce il “libero migliore letto quest’anno” (nel 2023 o nel 2025?). Insomma, successo assicurato. Era scritto avrebbe vinto. Ha vinto. Lo paragonano a Il cardellino di Donna Tartt (premio Pulitzer 2014) e a Le correzioni di Jonathan Franzen (National Book Award 2001). È la storia non di una famiglia che si disgrega dopo una crisi economica, ma di una famiglia che non è mai stata tale, in cui nessuno crede ai legami costruiti con gli altri. Una famiglia di monadi, ansie e isolamento, un po’ come il nostro tempo, caratterizzato, secondo Murray, da un’imminente catastrofe ambientale dovuta al cambiamento climatico. In linea con un altro romanzo, che però rende protagonista proprio la crisi climatica, Diluvio di Stephen Markley (Einaudi, 2024), un’epopea enorme. Qualcosa che potrebbe avere a che fare anche con il più complesso (e più complesso di entrambi i titoli già citati) Smarrimento di Richard Powers (La Nave di Teseo, 2021). Insomma, lo standard di qualità viene rispettato (dire che lo abbia superato, rispetto a Markley e Powers, è più difficile). Ma davvero è il più bel libro dell’anno (e cioè del 2023)? Probabilmente no.

I grandi meriti sono due: la semplicità stilistica, molto lontana dalla raffinatezza di Tartt e dall’intelligenza esibita di Franzen; la coerenza narrativa. Parliamo infatti di un romanzo che, dall’inizio alla fine, si presenta come tale, non un saggio, non un libro a metà fra i generi, non un testo didattico, né un pamphlet. Un romanzo che racconta la vita decostruita che caratterizza la nostra epoca, forse con qualche decennio di ritardo sui primi grandi tentativi (uno su tutti proprio Franzen). Il problema è che forse manca, come si direbbe, quel tono oscuro, uggioso, piovoso che pure i grandi scrittori irlandesi riescono a dare. Manca l’ombra. Intanto diciamo questo: nel 2023 esce Le schegge di Bret Easton Ellis (Einaudi, 2023), davvero il romanzo più bello dell’anno. Un romanzo definitivo, che chiude e riassume e migliora il lavoro di Ellis da Meno di zero (il suo romanzo giovanile e di esordio) a oggi. Un libro che funziona come un’opera senza salvezza ma aperta, infinita, perfettamente moderna (tanto moderna da sembrare un film; più film dei film e delle serie che trarranno dalla storia).

Ma c’è anche un altro romanzo che, passato in secondo piano, dovrebbe essere preso sul serio come potenziale “miglior libro dell’anno” e sicuramente come miglior libro dell’anno di un autore irlandese. E non faremo un torto a Einaudi, visto che lo han tradotto e pubblicato loro a ottobre del 2024, pochi mesi prima di Murray. Sto parlando di Ai tempi del vecchio Dio di Sebastian Barry. Al di là del titolo, tra i migliori usciti in Italia l’anno scorso e quest’anno, parliamo di un noir esistenziale, che tiene insieme il thriller, il costume, il presente e Kierkegaard, Dostoevsky, il teatro. Un libro che è la metà, che sceglie un tema, quello degli abusi, e chiude intorno a un uomo consumato il dramma di una comunità. Un libro che non vuole essere una metafora ma lo diventa. Un libro scritto con un’eleganza e un senso del dramma che sfocia nel sentimento. D’altronde parliamo dell’autore di Giorni senza fine (Walter Scott Prize nel 2017 e Costa Book Award nel 2016; per altro Berry è l’unico ad aver vinto due volte, il Costa Book Award, mica male). Leggete Il giorno dell’ape, un gran libro, ma poi leggete Ai tempi del vecchio Dio. Una pièce che funziona come un puntuerolo nell’anima.
