Passare dallo stadio Marassi a Genova, con il "funerale" alla Sampdoria organizzato dai tifosi del Genoa, al Salone del libro a Torino è un'operazione che richiede pazienza, soprattutto se con poche ore di sonno. Fino all'ultimo sono indecisa: vado o non vado? Alla fine in qualche modo mi convinco, spinta anche dal desiderio di spendere un po' di soldi in libri, che non fa mai male. Maledetto consumismo. Arrivo a Torino Lingotto (a due minuti a piedi da uno dei tanti ingressi del Salone) a ora di pranzo. C'è caldo, ma mai quanto dentro i vari padiglioni. Sembra di stare in una serra, tanto che mentre pago due libri allo stand di Minimum Fax chiedo se sia normale che la temperatura sia così alta. Mi rispondono di sì, senza particolare convinzione. Sarà a causa delle tantissime persone che affollano la penultima giornata della trentasettesima edizione del Salone del libro di Torino? Ci credo pochissimo. Le certezze durante la manifestazione sono poche, ma su due non ci saranno mai dubbi: per mangiare si spende troppo e partecipare agli incontri sarà sempre eccessivamente difficile. Un esempio della prima certezza: una poké e una Coca Cola mi vengono a costare 16 euro. Un po' eccessivo, no? Uno potrebbe dire: ma ci sarà qualcosa che costa meno? Sì, ma con 30 gradi all'ombra (o al sole, visto che i posti per sedersi a mangiare sono pochissimi e le poche zone all'ombra dove sedersi, ovviamente per terra, sono prese d'assalto) vi voglio vedere a gustare un fantastico hamburger o un bel kebab. La seconda, invece, è un po' come gli Hunger Games (per fare una citazione letteraria, non particolarmente di alto livello): per accaparrarsi un posto bisogna rimanere svegli di notte e aspettare che aprano le prenotazioni. E quelle aperte al pubblico, senza prenotazione, sono sempre prese d'assalto, ma nella migliore delle ipotesi almeno si riesce a sentire qualcosa.
Non è la prima volta che vengo al Salone e girando tra i padiglioni c'è sempre una cosa che mi lascia perplessa: l'Oval, dove si trovano soprattutto le grandi case editrici come Mondadori, Feltrinelli e Adelphi, è sempre preso d'assalto. Mi chiedo quindi: ma le persone in libreria non ci vanno mai? Perché onestamente, al di là delle firme (comprensibili) per i firmacopie, i libri che si trovano durante il Salone sono gli stessi che vediamo ogni giorno nelle grandi librerie italiane. Inoltre, a differenza di tante altre case editrici più piccole, non è che Mondadori, Feltrinelli e compagnia bella facciano chissà quali sconti, regalino tote bag o facciano in generale promozioni particolari. L'unica che vedo, e penso sia un miracolo che l'abbia notata perché stampata su un foglio A4 e posizionata su una parete minuscola, è quella che riguarda i cofanetti realizzati per i 60 anni degli Oscar Mondadori. In regalo, con l'acquisto, un poster realizzato in collaborazione con Ciao Discoteca Italiana con una citazione da "Addio alle armi" di Ernest Hemingway. Ora, tutto bellissimo e i poster di Ciao Discoteca Italiana sono sempre fantastici, ma questo (a mio parere) è veramente brutto. Più surreale del delirio tra i libri delle grandi case editrici è la presenza degli stand di Poste Italiane, Inps e forze dell'ordine varie ed eventuali. Per carità, non è che ci siano solo al Salone del libro di Torino, li troviamo in qualunque fiera, ma è sempre buffo (e un po' grottesco) vederli. Soprattutto perché, mentre cammino cercando l'uscita per andare a prendere la metro, vedo parecchie persone disposte disordinatamente intorno a qualcosa di non meglio identificato. Avvicinandomi, mi trovo davanti un cane robot con tanto di mitragliatrice (o qualcosa che ci assomiglia molto) che si muove avanti e indietro tra le persone, ipnotizzate da questo cucciolotto inquietante fatto di metallo. Praticamente mi ritrovo senza volerlo in una puntata di Black Mirror. Faccio anch'io un paio di video, guardandomi intorno e chiedendomi come sia possibile che le persone siano più interessate a questa arma da guerra (perché, di fatto, questo è) più che ai libri.
Alla fine di questa giornata al Salone del libro di Torino mi rimangono soprattutto meno soldi sulla carta e l'incontro con Chiara Galeazzi, che ha presentato qui il suo nuovo libro "Merdoni", pubblicato da Blackie Edizioni. Scambiamo due chiacchiere, complice Filippo Ferrari che entrambe conosciamo, e quando le chiedo di autografare il libro mi lascia una dedica che per nessuno avrà senso, ma a me fa molto ridere: "A Benedetta, salutami Silvia. Grazie". Silvia è il mio ex direttore, un'altra persona che abbiamo in comune. Ecco, il Salone del libro di Torino è fatto anche di incontri, organizzati e casuali, che raccontano un mondo dell'editoria in continuo movimento. Forse non sanissimo, visto i titoli che ci ritroviamo a vedere nelle vetrine delle librerie, ma vibrante e in costante movimento. E diciamocelo: non facciamo i sommelier della letteratura. Leggere è bello, spesso a prescindere da cosa leggiamo. E ne sono assolutamente convinta e lo dico mentre, da lontano, mi guardano da un ripiano le raccolte dei fumetti delle Witch che ho comprato al Salone, anche se ho 32 anni, anche se quando sono in autobus leggo i saggi e i libri "impegnati".

