Spoiler: questo disco è un capolavoro. Da ascoltare e riascoltare lungo i mesi, e gli anni, oggi che la discografia crea e disfa talenti nell’arco di pochi giorni Niccolò Fabi ci regala orizzonti che si moltiplicano ad ogni audizione, muovendosi tra un intimismo disarmante e platealmente sincero e “riassunti dell’Universo” (la vertiginosa – umilmente vertiginosa – Acqua che scorre). L’attacco, con Alba, mi evoca le distanze dei Sigur Rós, dei Mùm e comunque delle distese soniche islandesi, in un gioco di caldo/freddo iperboreo: lontano, lontano, come di chi volesse davvero capirci qualcosa di questo mondo, e dei suoi misteri al limite: limite della pelle, limite dell’universo...

E così l’intero disco si snoda come un fiume tra ghiacciai e accensioni imprevedibili di giubilo montano, squarci di luce nell’essenza di uno scavo interiore che è difficile rendere a parole: già sono bastanti quelli di ogni traccia di questo diario di un artista che ha raggiunto la piena maturità e ce la dona con l’ossimoro di una leggerezza che è potente e quasi trascendente e senza disperdere mai, tra il suo sinuoso e mordente procedere delle tracce, la quotidianità che ci assilla e tormenta.

Direi che ogni frase di ogni traccia è fortemente espressiva della condizione umana nel 2025, il che è davvero, come si dice, tanta, ma tanta roba. Saudade e sguardo fisso a un presente che ci sfugge. Libertà negli occhi è fin imbarazzante nella sua sdrucciola armonia, nella sua immensa, precaria ed esondante, umanità. Potrebbe anche essere un disco “rieducativo” per tanti giovani di nessuna speranza oggi promossi in serie (Z). Personalmente, prenderei uno dei tanti Tony Effe e gli imporrei una settimana di ascolto ininterrotto di questo album, chissà mai… Grazie di cuore, Niccolò.
