E se la più importante voce della poesia in musica degli ultimi cinquant’anni fosse stata dimenticata? Del resto è il destino della poesia quello di scomparire e poi riemergere, fiume carsico delle emozioni in versi, al contempo delicatissimo e potente, capace di influenzare generazioni sottovoce, con una discrezione che diventa urto e a volte sussurra giustizia… Renato Abate (in arte Garbo, come lo chiameremo da qui in poi) è il più potente poeta che la musica infelicemente definita “leggera” ci abbia donato. E immagino che i fan di Fabrizio De André (sempre sia lodato) smettano di leggere queste parole. Così per svariati altri adepti a diversi culti nostrani della parola in musica: quelli di Francesco De Gregori, quelli di Franco Battiato (sempre sia lodato), financo quelli di Francesco Guccini e Roberto Vecchioni (andate avanti voi, a me viene da ridere).

Pure, dall’esordio al cardiopalma nel lontano 1981 con l’album A Berlino… va bene, con l’unico singolo oggi considerabile un evergreen, per quanto dimesso o a intermittenza, il brano omonimo e una manciata di canzoni stranianti e così lontane dalla musica italiana di quei giorni (soli compagni, forse, Fausto Rossi in arte Faust’O, i Diaframma, Enrico Ruggeri dei Decibel, Alberto Camerini e, in qualche modo, i CCCP). Pure, dicevamo, nelle sue fugaci apparizioni a Sanremo o al Festivalbar, anno dopo anno Garbo ha sfornato canzoni di un’eleganza, di una bellezza così sottile e rarefatta da stupire forse troppo, perché troppo lontane da noi vascorossizzati e Ligabue (immediatamente, e per sempre) dipendenti…

Sue effettive anime gemelle erano (e sono) David Bowie, David Sylvian, gli Ultravox, Ryūichi Sakamoto degli Yellow Magic Orchestra. Ecco: tentando ora di terminare una frase, è proprio nel 2025 che i tempi sono maturi per ascoltare o riascoltare le pietre miliari e segrete di Garbo: Scortati, Il fiume, Manifesti, Macchine nei fiori, Fuori per sempre, Up the Line (a cui chi scrive ha avuto la fortuna di partecipare: un progetto folle di rigenerazione a cavallo tra musica e letteratura, con l’intero gruppo degli scrittori della Gioventù cannibale schierato al suo fianco) e poi avanti, nei decenni (neanche qua ho chiuso la frase, ma ci riuscirò)… Ogni canzone un viaggio. Romantico fino a tracimare nel barocco, eppure cinico. Sognatore e nichilista. La sua discografia è un viaggio oltre le Colonne d’Ercole del già sentito, lo è ancora oggi e forse di più, ed è peccato mortale rimandarlo (questo periodo l’ho concluso; spero ciò sia apprezzato). Buoni cinquant’anni di carriera, Renato. E buon ascolto a tutte le anime prave che fino ad oggi non l’hanno fatto.
