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Droghe, alcol, promiscuità sessuale.
Il genio della moda Halston
rivive grazie a Ewan McGregor

  • di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

15 maggio 2021

Droghe, alcol, promiscuità sessuale. Il genio della moda Halston rivive grazie a Ewan McGregor
Da Liza Minelli allo Studio 54, dal paradiso all'inferno: Ryan Murphy e Sharr White raccontano in sei episodi (targati Netflix) uno dei più grandi stilisti americani del Novecento

di Damiano Panattoni Damiano Panattoni

Halston - la nuova serie Netflix con un super Ewan McGregor - è una bomba. Perché? Perché finalmente si parla di Roy Halston Frowick, che ha portato alla ribalta la moda Americana negli Anni Settanta. Halston, appunto, è stato un innovatore e un visionario. Oltre che essere stato un mito assoluto nella New York City dello Studio 54 e della Factory di Andy Warhol. Droghe, alcol, promiscuità sessuale. E tanta, tanta genialità. In sei puntate, prodotte da Ryan Murphy (e chi sennò?), basate sul libro Simply Halston di Steven Gaines e ideate da Sharr White (tra i grandi playwright di Broadway), assistiamo appassionati alla formazione, all'ascesa e alla caduta dell'irresistibile Halston. 

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I passaggi importanti ci sono più o meno tutti: l'istrionica boutique su Madison Avenue, che faceva da contraltare alla classicità di Brooks Brothers; la Battaglia di Versailles, dove si scontrò con altri esponenti della moda statunitense, e con esponenti della moda francese; le linee minimali e l'innovazione arrivata dal cashmere e dall'ultrasuede; c'è il cappello da lui disegnato per Jacqueline Kennedy e c'è il rapporto profondo che aveva con le sue muse: da una parte Elsa Peretti (sì, quella che ha riscritto il design dei gioielli per Tiffany), interpretata da Rebecca Dayan, e dall'altra Liza Minnelli (che crediamo non debba essere presentata...), con il volto della bravissima Krysta Rodriguez.

E poi lui, Ewan McGregor, che più invecchia e più diventa bravo e bello: qui, l'Obi-Wan di Star Wars, veste i panni di un Halston perfetto, incarnandone lo spirito e l'intuito, ma anche quel tono malinconico tipico delle leggende. Così, la serie, si rifà alla storia con un approccio tipico di Broadway (e ritorniamo a Sharr White) e delle produzioni targate Ryan Murphy. C'è lo sfarzo, c'è bellezza visiva, ci sono le scene d'acchiappo e una narrazione che coinvolge le corde emotive del pubblico: amiamo immediatamente Halston, lo comprendiamo e lo ammiriamo. Lui, che da bambino sviluppò precocemente una predisposizione al cucito, tramandato da sua nonna, mentre si tappava le orecchie, vessato dai continui litigi dei genitori. Quei litigi che – in un modo o nell'altro – l'hanno spinto a diventare Roy Halston Frowick. O più semplicemente, il più grande di tutti.

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