Mattia Torre è un vuoto. A due anni dalla sua morte, perché è considerato un genio? Cosa aveva di speciale? In qualche modo ce lo ha detto Greta Scarano nella cover story di MOW, ma forse è il caso di chiedercelo ancora e di risponderci, perché sia mai che nelle risposte troviamo degli insegnamenti per questi tempi dove l'omologazione ci sta uccidendo. L’uscita di Figli, il film che ha scritto a partire da un suo monologo e che avrebbe dovuto dirigere; la notizia che Boris, la grandiosa serie televisiva cult che aveva contribuito a diffondere il suo nome ben al di fuori del giro di autori e sceneggiatori capitolini, avrebbe finalmente avuto una quarta stagione dopo 13 anni di attesa (e in tutti i luoghi e in tutti i laghi era echeggiata la domanda “ma ce la faranno senza di lui?”); infine il meritato David di Donatello assegnato a Figli per la miglior sceneggiatura originale e ritirato da Emma, la primogenita, che ha fatto un discorso talmente spontaneo e ottimista da aver commosso mezza Italia. Poi l’intervista al Corriere alla moglie Francesca, che ha detto: “Emma toglie il fiato quando parla, l’ha ereditato da Mattia”. Infine l'omaggio di ieri sera a Propaganda Live, dove Valeria Aprea ha letto un suo testo.
Ricordo che il giorno in cui appresi della sua morte ne fui particolarmente triste (io, che praticamente non l’avevo mai visto). In quella giornata raccolsi tanti altri commenti di amici (miei, non di Mattia) che non lo avevano mai conosciuto ma ne parlavano come di un fratello. Credo che il merito sia ovviamente del suo talento cristallino e inarrivabile nel descrivere i problemi, le nevrosi, i momenti più assurdi della vita trasformandoli in commedia e mantenendo sempre un equilibrio sovrannaturale tra grottesco e umanità in cui è sinceramente impossibile non ritrovarsi. La risata che suscita un suo scritto è come un boccone di una pietanza agrodolce e dalle varie consistenze: battute feroci e fulminanti, fragilità dal retrogusto amaro che però alla fine lasciano un persistente gusto di ottimismo, di serenità. E proprio di ottimismo e serenità sembra fatta l’eredità che ci ha lasciato. Ovviamente però queste sono solo mie supposizioni. Per capire meglio perché Mattia Torre sia così amato e così compianto in questo modo così speciale e universale ho chiesto di spiegarmelo a due suoi grandi amici, che con lui hanno trascorso tantissimi irripetibili momenti lavorativi e privati.
Caterina Guzzanti: "Di fronte a una battuta, come di fronte alla malattia, Mattia rilanciava"
La prima, la mitica Caterina Guzzanti, con cui ho lavorato a stretto contatto per il programma LOL, l’ho sentita ieri mattina e tra una chiacchiera e l’altra mi ha ribadito quanto detto al Messaggero un anno fa:
“Con Mattia si rideva tanto. Si parlava del paese, della società, appassionandosi alle imprese quotidiane delle persone. Di fronte a una battuta, come di fronte alla malattia, Mattia rilanciava. Lo ha fatto appena si è ammalato, riuscendo a scrivere cose ancora più belle di quelle che aveva prodotto fino a quel momento. Ci eravamo conosciuti nel 2006. Avevo saputo che all’Ambra Jovinelli c'era un autore eccezionale: lo fermai, gli chiesi un monologo e poco tempo dopo mi chiamò per un provino. Era la puntata pilota di una serie, si chiamava Sampras e sarebbe diventata Boris. Da lì in poi, non abbiamo smesso di frequentarci”.
Valerio Aprea: "Mattia è la persona più intelligente, raffinata, comica e affascinante che io abbia conosciuto"
Il nome di Torre compare sulla mappa di chiunque ami la comicità in Italia soprattutto dopo il successo di Boris, ma io ne avevo sentito parlare già nel 2005. Allora ero un imberbe e magro sfigato (oggi è rimasto solo lo sfigato) che per la prima volta lavorava su un set romano sulla Salaria (esperienza che mi permise di conoscere in anteprima gli archetipi caratteriali che sarebbero comparsi in Boris). La produzione era una sitcom monocamera per Sky sul modello di Camera Cafè, allora dominante. Holly & Wood era la storia di Sergio e Mimmo, due strani amici, quasi incompatibili, costretti a gestire insieme una videoteca. Mimmo era interpretato da Valerio Aprea, con cui legai subito. Era più vecchio di me ma non lo sembrava, con quella faccia che pareva scolpita rozzamente nel frassino, quell’aria piratesca rafforzata dal suo outfit (la prima volta che lo vidi indossava t-shirt e blazer blu scuro, pantaloni neri e ciabatte a fascia anch’esse nere). Io ero giovane ma non così tanto da non capire che lui fosse già un grande attore. Tra i vari progetti a cui lavorava mi disse che un suo caro amico, uno sceneggiatore geniale, aveva scritto dei monologhi per lui. Sarei andato a Milano a vederlo metterli in scena in più occasioni. Lo chiamo dopo aver parlato con Caterina. Mi dice che è su un set, ma che mi avrebbe richiamato non appena finito. Il mio telefono vibra alle 3.40 di notte (ovviamente sono sveglio).
“Artisticamente il motivo per cui Mattia ha lasciato un grande vuoto non c’è nemmeno bisogno di spiegarlo. Umanamente magari si: lui ha avuto il dono quasi soprannaturale di emanare, a partire già dall’eco della sua opera, ma poi da quella della sua stessa personalità, una sorta di flusso metafisico, che a mo' di wifi si è irradiato a 360° anche fino a coloro che ne avessero sentito solo parlare. Il suo lavoro era reso speciale da una capacità di analisi, un livello intellettivo e una forma lessicale e sintattica di un’eleganza e originalità senza pari. L’intera esperienza della sua scomparsa improvvisa, che Mattia descriverebbe come 'non raccontabile', per noi si è manifestata anche attraverso il suo contrario, come dimostra, ad esempio, un lavoro come 'La Linea Verticale' (stupenda serie di Torre che racconta la vita quotidiana del reparto di urologia oncologica di un ospedale italiano attraverso il punto di vista dei pazienti, in particolare attraverso quello di Luigi, quarantenne con un tumore al rene, circondato da improbabili compagni di viaggio, nda) che tutto comunica tranne che disperazione, autocommiserazione o una qualche forma di retorica. Il perché è nella natura stessa di Mattia, di cui è infusa l’intera sua opera ma anche la sua vita e la sua morte, la cui 'scrittura' e regia sono state evidentemente pensate e decise in questo modo. Il suo. Mattia è la persona più intelligente, raffinata, comica e affascinante che io abbia conosciuto”.