Il primo impatto con l’ascolto di Locura, l’album di Lazza uscito venerdì scorso e già destinato a dominare tutte le classifiche di questo autunno-inverno 2024, è piuttosto sorprendente. Il periodo d’oro che il rapper/pianista/produttore milanese sta attraversando è evidente e innegabile agli occhi di chiunque: la consacrazione con il secondo posto di Cenere a Sanremo, l’album Sirio che è il più venduto del 2022 e il secondo più venduto del 2023, un figlio in arrivo dalla compagna Greta Orsingher… Cosa si può volere di più dalla vita? Perfino i desideri e gli sfizi che sognava di togliersi da ragazzino – quando era ancora un anonimo studente del Conservatorio Giuseppe Verdi di giorno, e un freestyler di belle speranze di notte – ora sono a portata di mano. L’anteprima del disco si è svolta a San Siro sotto la curva del Milan, di cui è tifosissimo, accompagnato da un’intera orchestra sinfonica. E la presentazione per la stampa si svolge all’interno di AP House, il palazzo in via Bagutta di proprietà della casa produttrice di orologi di lusso Audemars Piguet, che da giovane sognava di indossare e che oggi colleziona. Insomma, la sua vita sembra una favola a lieto fine, sia in termini di soddisfazioni umane e artistiche che di slanci puramente capitalistici.
Eppure, mettendo in play Locura, emerge un Lazza molto diverso: malinconico, dark, a tratti insoddisfatto. Un Lazza che si sente un animale in gabbia: “Ti assicuro che te lo direi se sapessi che cosa non va/Non sarò uno dei deboli mai, ma se lo vuoi sapere/Forse ti dirò che è probabile che morirei solo per un po' di libertà” dice in Abitudine. A volte fatica a prendere le misure della popolarità che lo ha investito: “Credono sia il messia con delle nuove Nike/Spesso non sono in me, sono un po' borderline” sottolinea in Verdi nei viola. La sua nuova condizione di vita, a ben guardare, è proprio il leit motiv di tutto il disco: “Vorrei sapere se ti chiedi come ci si sente/Quando puoi avere tutto, ma preferiresti niente” ribadisce in Giorno da cani. Insomma, l’autocelebrazione ha lasciato il posto a una presa di coscienza: a volte viene da pensare che si stava meglio quando si stava peggio. È lui stesso, durante la conversazione con i giornalisti, a spiegare che molte delle tracce sono una sorta di conversazione epistolare con la fama. Per lui è un’entità ben poco astratta: gli ha cambiato la vita in maniera drastica, soprattutto perché si è reso conto che in pochi sono disposti a perdonargliela. Ne esplora i lati più oscuri, pur consapevole di essere un privilegiato: “Mi fa piacere incontrare la gente, ma è come se tutti si sentissero artefici del tuo successo e pretendessero qualcosa da te” spiega. “Io sono felice di fare le foto coi fan, ma magari ti beccano in un giorno in cui hai litigato con tua mamma o con la tua ragazza, e hai altro per la testa. Oppure, e mi è successo davvero, ti fermano in Autogrill mentre stai facendo pipì”.
Quella che evidenzia è una problematica che negli ultimi anni ha colpito molti artisti, obbligati a mostrarsi sempre nel loro profilo migliore (letteralmente e in senso figurato) perché i fan sono perennemente in agguato e, soprattutto, la shitstorm è sempre dietro l’angolo. Non parliamo ovviamente dei massimi sistemi – se uno ha posizioni razziste, maltratta la fidanzata o si comporta in maniera palesemente sgradevole o illegale, la shitstorm prima o poi se la deve aspettare – ma delle piccole cose: quei malumori quotidiani che a fasi alterne caratterizzano tutti noi, ma che i personaggi pubblici non possono più permettersi. Negli anni, Lazza si è fatto la fama di persona talmente sincera e senza filtri da risultare quasi scostante, il che è particolarmente complicato in un periodo storico come questo, dominato dai social network e dai buoni sentimenti a tutti i costi. Ad esempio, non si è mai fatto problemi a replicare a tono a quei fan che lo accusano in maniera polemica di essersi venduto al pop dopo il successo di Cenere: lo ha fatto alla presentazione dell’album a San Siro (“Nei miei dischi ci saranno sempre pezzi rap che spaccano, mettetevelo in testa”) e lo ha fatto anche in conferenza stampa (“Capisco che c’è chi mi conosce per Cenere, ma io non abbandono il mio lato più rap: magari saranno solo pochi episodi all’interno della tracklist, ma è proprio questo a renderli più preziosi”). Anche in questo, i suoi malumori sono assolutamente umani e genuini: a chi non girano le balle quando mettiamo tutti noi stessi in qualcosa, e ciononostante ci sentiamo comunque incompresi?
Il punto è che nel mondo di Lazza non c’è spazio per la finta umiltà: sa di avere tutte le carte in regola per essere il numero uno, e giustamente ne va fiero. E questo può dare fastidio, come può dare fastidio scoprire che anche i rapper ricchi e famosi soffrono, piangono, e magari preferiscono scrivere di quello, piuttosto che dei loro trionfi e dei lussi che li circondano. D’altronde le canzoni migliori nascono proprio quando un artista si trova a dover fare i conti con i propri limiti, i propri demoni e le proprie difficoltà. O per mutuare le parole del diretto interessato in Dolcevita, la traccia che chiude Locura e una delle più belle dell’album: “Chiedi: ‘Perché scrivi quando sei triste?’ Da felice ho ben altro da fare”.