C’è chi sostiene che i cartacei siano destinati a morire e c’è chi i giornali li chiude direttamente, puntando tutto sull’on-line, che di questi tempi, signora mia, è inutile insistere senza le edicole. C’è chi, al contrario, un cartaceo decide di produrselo in proprio, in sole mille copie, vendendole tutte on line nella sola fase di pre-ordine, nonostante un prezzo al pubblico di ben 24 euro.
Questo qualcuno si chiama Lorenzo Moro, ha 36 anni, vive a Bologna e qualche mese fa ha deciso di mettere in produzione il numero zero di Di Brutto, quella che, inizialmente, avrebbe dovuto essere soltanto la prima di una serie di raccolte dei migliori articoli apparsi su Rollingsteel, il web magazine fondato dallo stesso Moro nel 2016 e rivolto a tutti gli appassionati di auto, moto, aerei, tecnica motoristica e più in generale di ferri, come li chiamano lui e tutta la community che gli si è costruita attorno. Già perché a caratterizzare Rolling Steel è anche e soprattutto un nutritissimo gruppo di appassionati, a cui Lorenzo ha saputo dare casa con un gruppo Facebook particolarmente attivo: La Ferramenta di Rollingsteel.
Nata in piena pandemia, in risposta all’ennesima variazione degli algoritmi di Facebook, la Ferramenta conta oggi più di 20mila aderenti, con un engagement sconosciuto a qualsiasi rivista di settore - che per tutti quelli che non hanno ingoiato un milanese significa: gente presa bene, che propone argomenti, che commenta, che interagisce. Al suo interno, la crème de la crème del giornalismo di settore, ma in veste anonima, presente soltanto per il gusto di esserci, di condividere una passione. Ed è proprio la Ferramenta il segreto del successo di Di Brutto, un progetto nato come un divertissement rispetto al più istituzionale Rollingsteel e che, però, è letteralmente scoppiato tra le mani di Lorenzo, al punto da rendere già necessaria una prima ristampa. Come è stato possibile dare vita a una community tanto partecipe e, soprattutto, a un caso più unico che raro, nel panorama editoriale italiano? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.
Partiamo dall’inizio. Che cos’è Rollingsteel?
Fondamentalmente Rollingsteel è un mio viaggio mentale. Nel 2016 lavoravo per un’azienda, vendevo acciaio come impiegato ma ho sempre avuto questa enorme passione per i motori e per le auto. Una passione che, come sappiamo, richiede anche un certo tipo di supporto economico…
Com’eri finito a vendere acciaio?
Io ho sempre voluto fare il pilota d’aereo. Tutto il mio immaginario prende forma con Top Gun. Senza esagerare credo che i primi 4 minuti di Top Gun, quelli che finiscono in Danger Zone di Kenny Loggins, siano i 4 minuti che hanno cambiato la mia vita.
Aspetta, fammeli recuperare. Eccoli.
Dicevamo.
Finisco le medie e chiedo a mio padre di andare a fare l’istituto tecnico aeronautico a Forlì, perché a Bologna non c’era. In pratica l’aeronautico è un istituto tecnico normale ma quando esci hai il brevetto come pilota privato (un brevetto con cui tu puoi pilotare aerei privati ma con cui in realtà non lavori). Nel 2000, per trasformare quel brevetto in quello che serve per fare il pilota civile, servivano circa 70 milioni di lire. Mio padre mi dice: “con tutto il bene del mondo, viviamo in una casa pagata 35 milioni” - io sono figlio di due operai - “non è che non vogliamo, ma proprio non possiamo. Non è affar nostro”. E così decido di andare a fare il perito meccanico, come mio fratello.
Ok, lo dico per Giulia Toninelli, quota Gen Z della redazione di MOW: sono circa 35.000 e 17.500 euro. Tornando a noi: nonostante quello che ti hanno detto i tuoi genitori non ci hai rinunciato!
Arriva il 2005 e ci riprovo. Vado a Guidonia a fare i test per l’accademia aeronautica e passo le preselezioni. Mi ricordo ancora quando mio padre mi ha portato la lettera dell’Aeronautica. Era venuto a prendermi a scuola, di sabato, e mi fa: “Toh, è arrivata sta cosa per te”. Quando l’ho aperta ero già Top Gun, ero già Maverick.
E poi cos’è successo? Come mai non sei riuscito ad entrare?
Preselezioni significava che dovevo andare a Roma per i test fisici. Bisognava presentarsi con una serie di esami già fatti che, all’epoca, costavano circa duemila euro e che, con un po’ di sforzo, la mia famiglia mi ha fatto fare. Si fanno tutti all’ospedale militare che a Bologna è in Via San Felice.
Che esami sono?
Lastre su lastre, controllo dei denti, controllo dei piedi. E tra questi esami ce n’era anche uno che il dottore mi ha detto: “Guarda è un esamino stupido ma ti conviene farlo perché se non lo passi qua, non lo passi neanche là”. È un test con i colori: ti fanno vedere un libretto, con dei dischi colorati, e tu devi riconoscere i numeri che sono disegnati in contrasto al loro interno. Io quel giorno, con quel medico, quei numeri li ho visti tutti.
Ma a Roma…
Vado a Roma, tutto tranquillo… Siamo stati in caserma circa una settimana e ricordo che si era già creato un po’ di quello spirito… Avevamo già creato delle situazioni, si faceva balotta… È stato anche divertente, se non fosse che quando è arrivato il momento di rifare l’esame coi dischi colorati ne ho sbagliato uno. E quindi mi sono venuti a chiamare: “Signor Moro, guardi ci deve seguire un attimo”. Mi hanno portato su, dove c’era il Maresciallo Ciampone, che mi fa: “Guardi, qui c’è un problema, dobbiamo darle la non idoneità al volo”.
Per una cosa del genere?
Eh il Maresciallo mi ha detto: “Se lei a duemila all’ora non mi riconosce il mare dal cielo, è un problema”. E quindi me ne sono tornato a casa. Io do la colpa a un incidente sulle piste da sci. Ero andato in snowboard con degli amici qualche settimana prima ed ero caduto prendendo una forte botta alla testa.
E quindi?
E quindi me ne sono tornato a Bologna ma non sapevo più cosa fare della mia vita. Con il mio diploma di perito meccanico, tutto ciò che trovavo nei dintorni erano lavori che non mi piacevano e così ho deciso di fare l’università. Me la sono messa nel bisacchino e ho fatto Chimica. Chimica dei materiali, in particolare, già pensando di poter applicare questa laurea in ambito aeronautico o automobilistico.
L’hai finita?
Finito la triennale, specialistica in Chimica Organica e poi ho fatto un dottorato.
Ammazza.
Dottorato in Chimica Computazionale.
Figa ma i chimici non guadagnano un fracco di soldi?
Io so solo che quando mi sono laureato io, a Bologna c’era la Basf e la Basf ha chiuso.
Ma non c’è mica solo Bologna a questo mondo…
Lo so ma io non me la sono mai sentita di andare via. Non sono mai stato un giramondo… Forse, sai, è anche una questione di imprinting familiare. Io vengo da una realtà abbastanza proletaria in cui l’input è sempre stato: “Trovati un lavoro”. Non tanto: “Insegui il sogno della tua vita, diventa il re dei professionisti”. E quindi un giorno mi ha chiamato sta azienda di Calderara che vende acciaio… mi avevano fatto un po’ di promesse, di qua e di là, ma la verità è che mi hanno assunto solo perché potevano farlo con un contratto di apprendistato.
Non esattamente quello che sognavi.
Due anni d’inferno. Ero demansionato, mi mandavano a fare i corsi da apprendista agli Aldini, che era la scuola in cui mi ero diplomato, assieme a dei ragazzini usciti il giorno prima, mentre io ero lì con un dottorato in Chimica. Avevo un F104 e una Ferrari sulla scrivania e passavo le giornate a guardare le vite degli altri. Guardavo i servizi dei giornalisti, compravo i giornali, guardavo i video su YouTube e c’ho messo un po’ a capire che tutte queste persone che si occupavano di queste cose non erano venute giù dallo spazio, ma erano semplicemente persone che facevano il loro lavoro. Il caso ha voluto che in quel periodo io abbia conosciuto la mia attuale compagna, l’altro evento che mi ha cambiato la vita.
È lei che ti ha convinto a cambiare strada?
È stata la prima persona che, quando le ho parlato di quanto fossi infelice e di come stessi riflettendo sulla possibilità di cambiare lavoro, non mi ha detto di piantarla e di andare a lavorare.
Cosa ti ha detto?
Lei è figlia di un professionista bolognese. È cresciuta in un altro ambiente. Quando le ho parlato di queste mie difficoltà mi ha fatto capire che esiste un altro modo di vivere la vita, esiste la possibilità di credere in sé stessi. E mi ha regalato Due di due, di De Carlo (con il famoso vetro da rompere, nda). Fino a quel momento mi ero sentito sempre molto solo. Dicevo: “Ma Diobo’ ma sono solo io quello che non trova il proprio spazio nel mondo?”. Leggendo De Carlo mi sono sentito meno solo e ho capito che c’era tanta altra gente che viveva questa stessa difficoltà. E, così, un giorno mi sono alzato dalla scrivania, sono andato al piano di sopra e ho detto: “Ragazzi, io così non ce la faccio”. E mi sono dimesso.
È stato a quel punto che hai creato Rollingsteel?
All’epoca guardavo i video di Cironi, su YouTube, e dicevo: “Se ci è riuscito lui…”. Io non credo che Cironi abbia i superpoteri, che abbia bevuto la pozione magica da piccolo. È un ragazzo come me che ci ha provato. Una sera ero sotto la doccia, sono andato di là dalla mia fidanzata e le ho detto: “Credo di aver avuto un’idea: voglio aprire un sito con cui parlare di auto”. Il nome è un'idea di Isabella, la mia compagna. Non ricordo come le è uscito.
E in quel periodo come ti mantenevi?
Ho chiesto a lei di aiutarmi. Poi bene o male io non sono mai stato uno scialacquatore e un po’ di soldi me li ero messi via. Con il TFR mi sono comprato la macchina fotografica con cui ho iniziato a scattare foto per Rollingsteel.
Perché tutto è iniziato (anche) con le foto, in realtà, giusto?
Subito dopo aver deciso di aprire Rollingsteel ho messo una specie di annuncio, su Facebook, all’interno di un gruppo che frequentavo, chiedendo se a qualcuno andasse di mettere a disposizione la propria auto per un servizio fotografico gratuito. È così che ho realizzato il servizio sulla Honda S2000 che trovi anche dentro a Di Brutto. Ma la vera bomba è stata il servizio che ho fatto sullo Zip Malossi di Sanchini.
Come ti è venuto in mente di farlo?
Mio fratello lavora in Malossi da tanti anni. Un giorno - era il 2016 - gli ho mandato un messaggio chiedendogli se potesse farmi avere il permesso di scattarlo. Avuto l’ok ho realizzato questo servizio che, nel giro di poche ore, è diventato virale. Ricordo che ha avuto qualcosa come diecimila condivisioni su Facebook. La compagnia di hosting di Rollingsteel mi ha perfino chiamato per dirmi che il servizio per cui stavo pagando era fatto per utenti non professionali e che se il traffico era quello dovevo cambiare piano tariffario. Dopo quel servizio, Malossi mi ha chiesto di realizzare dei contenuti per i suoi canali, di fargli un po’ da ufficio stampa e di produrre qualche contenuto sponsorizzato su Rollingsteel.
È vero che alcuni giornalisti di altre testate scrivono per Rollingsteel con uno pseudonimo?
Sì, alcuni, ogni tanto, mi mandano dei contributi. Lo fanno per passione e perché su Rollingsteel trovano uno spazio libero, in cui poter pubblicare cose che altrove non avrebbero posto (per temi, espressioni, posizioni, lunghezza).
E alla Ferramenta come ci sei arrivato?
La Ferramenta è nata a metà del 2020. Io ero in cerca di nuove idee, dopo che Facebook aveva cambiato i suoi algoritmi. Quello che era successo - per chi non mastica quotidianamente di queste cose - è che da un giorno all’altro il buon Zuckerberg aveva deciso che i post pubblicati da una pagina dovessero raggiungere un numero infinitamente inferiore di persone. E così se un post di Rollingsteel prima faceva 1.500 like, da un giorno all’altro ha cominciato a farne 100. Morale della favola parlo con un mio amico e lui mi dice: “Prova ad aprire un gruppo privato”. E così ho fatto. In questo momento la Ferramenta ha 20mila iscritti e io ho tre persone che mi danno una mano a moderarlo.
Addirittura? È così impegnativo gestire un gruppo?
I primi tempi sono arrivato ad odiarlo. Mentre litighi con uno perché gli hai cancellato un post, devi stare dietro ad altri due che si prendono nei commenti di un altro. Facebook al giorno d’oggi è uno dei luoghi più inospitali della Terra. Detto questo, con il gruppo, in maniera del tutto involontaria, abbiamo fatto un lavoro della madonna. L’altro giorno si è iscritto uno che ha fatto il Camel Trophy e sta pubblicando tantissime foto delle sue gare. Ovviamente la gente è impazzita, tutti dietro! Tempo fa mi ha contattato in privato il figlio di Stankevičius, pilota russo collaudatore dell'equivalente sovietico dello Space Shuttle, nonché colui che, a bordo di un Sukhoi Su-27, si è schiantato a terra durante un air-show a Salgareda, in provincia di Treviso, pur di evitare di cadere sulla folla. Noi abbiamo scritto un articolo sulla sua storia e lui mi ha contattato. Nel gruppo abbiamo dei piloti di caccia! Tempo fa ho scritto per scherzare sul gruppo: “Per caso qui dentro c’è un pilota di Tornado, che mi serve un codice colore per un modellino che sto verniciando?”. Dopo un po’ mi è arrivata una notifica: messaggio privato, “ciao sono Mario Rossi, faccio il pilota, dimmi cosa ti serve e te lo mando”.
L’idea di ricavare un cartaceo da tutto questo, quando parte?
A Gennaio-Febbraio 2021. Mi ha contattato un ragazzo di Torino che segue vari progetti editoriali indipendenti e mi ha proposto di creare un volume che raccogliesse il best of di Rollingsteel. E io ho gli ho detto: “Di Brutto!”. E poi ho aggiunto: “E questo sarà il titolo”.
Tutto ciò senza alcuna esperienza di redazioni, di come si fanno i giornali di carta…
Zero, anche se mio padre mi ha sempre detto che l’edicola di Calderara l’ho tenuta aperta io.
Te lo chiedo perché nel mondo dell’editoria ci si interroga su quale sia il futuro dei cartacei e l’opinione predominante è che non ne abbiano uno. Ma tu dimostri il contrario. Prima di iniziare a lavorarci hai provato a sondare un po’ il terreno, all’interno della community, per capire se sarebbe stato apprezzato?
In realtà me lo sono tenuto per me. Ho creato soltanto dei teaser… Ho pubblicato un’immagine di un X15 (un aereo da guerra, nda), con scritto “Di brutto sta arrivando” e l’ho utilizzata come copertina della Ferramenta su Facebook. E poi ho scritto un post, una cosa del tipo: “A Natale arriverà una sorpresa, porteremo Rollingsteel ad un altro livello, preparate i polpastrelli”. Ma a quel punto il progetto era già in una fase avanzatissima.
Quante copie hai stampato del primo numero?
Mille e quando le ho stampate erano già tutte vendute.
E ora hai fatto uscire la prima ristampa.
Esatto, altre mille.
Peraltro, con un oggetto che viene venduto… a che prezzo?
24 euro, oltre alle spese di spedizione. Un oggetto che a me ne costa quasi 16, spedizione esclusa.
Ti costa tanto perché è molto bello. È molto curato, oltre che dal punto di vista dei contenuti, anche dal punto di vista dell’impaginazione, dei materiali, delle sensazioni tattili che è in grado di restituire. È questo l’unico sistema per vendere i cartacei? Realizzare dei prodotti di “lusso”?
Mah, sai, stiamo andando verso un mondo strano: chiudono i Blockbuster, chiudono i negozi di strumenti musicali, chiudono i negozi di modellismo, chiudono i negozi di giocattoli, tutto è polarizzato in maniera estrema. Un giorno tutti i computer saranno Mac, tutti i telefoni saranno iPhone, tutti avranno lo stesso orologio, ci stiamo tutti molto standardizzando. C’è una grande mancanza di diversità in giro. E il digitale è un pochino questo, no? Però poi vai in metro, trovi, un ragazzino che ti fa Let it be e ti commuovi, perché comunque la musica dal vivo è lei, no? In questo mondo qui io sono convinto che la scrittura, la buona scrittura, non passerà mai. E poter tenere in mano un libro, un volume, un oggetto che abbia un po’ di spessore, di valore, credo abbia ancora il suo perché. In un mondo di fast food continuano a rimanere aperti i ristorantini stellati che ti danno da mangiare un bigné che paghi come 50 McDonald's. Internet è un po’ il fast food, Di Brutto è il ristorantino che ti fa godere con qualcosa di diverso, per poi poter ritornare alla normalità.
Ogni quanto pensi che lo farai uscire?
Vorrei fosse un semestrale. In questo momento sto preparando la seconda uscita, che poi sarà il vero e proprio numero 1. Il primo volume è per me un numero zero, un condensato di quello che Rollingsteel è stato fino ad ora. Nel prossimo ci saranno articoli che non sono su internet. Quindi inediti, roba nata e cresciuta per la carta e per rimanere lì.
Scriverai tu tutti gli articoli del prossimo numero?
Tutti tranne uno che sarà a firma di Paolo Broccolino. Paolo è uno della Ferramenta e ha scritto un libro che si è autoprodotto. Si intitola: 121 anni all’estinzione. Quando l’ha fatto mi ha chiesto se potesse pubblicizzarlo dentro al gruppo e io naturalmente gli ho dato il permesso. Quello che è successo è, che nel giro di pochi giorni, è entrato nella Top 5 della classifica Fantascienza di Amazon e se vai a cercarlo ora ha più di 200 recensioni, tutte super positive. Il giorno in cui l’abbiamo pubblicato sulla Ferramenta, ha venduto più di 500 copie in poche ore.
Qual è il segreto di Rollingsteel?
Sono riuscito, dopo tutto, a rimanere libero. Ho sempre evitato di andarmi a impelagare, a meno di non essere sempre estremamente sicuro di quello che facevo. Io non so cosa sarà Di Brutto in futuro. Andiamo avanti giorno per giorno. Cercherò di adattarmi al mondo che ho attorno. A dicembre, per il mio compleanno, voglio andare a Londra a vedere un aereo. C’è il museo di Daxford, a nord. C’è un SR71 dentro. Non voglio legami, non voglio debiti, non voglio problemi. Voglio soltanto essere libero di andare a vederlo, senza rendere conto a nessuno.