“Quando lo Stato ti chiama a uccidere si fa chiamare Patria”. Questa frase campeggiava in lettere in grassetto rosso su sfondo bianco sulla mia chitarra classica, la prima che io abbia mai posseduto, in precedenza chitarra di mio fratello Marco. Era un adesivo che il Circolo Anarchico Errico Malatesta di Ancona aveva stampato per la ricorrenza del ottantennale della Settimana Rossa, unica rivoluzione avvenuta nel nostro paese, partendo proprio dalla mia città, da sempre sotto lo Stato Pontificio. Era il 1994, ero anarchico, la Destra era da poco andata al governo per la prima volta dai tempi di Mussolini, con le facce di Berlusconi, Bossi e Fini, mi sembrava coerente appiccicare lì quelle parole.
Sono ancora anarchico, e quella frase la trovo ancora piuttosto pertinente. La chitarra in questione, per altro, finita chissà dove, passata dalle mie mani a quelle di mio nipote Davide quando poco dopo lasciai Ancona per Milano, avevo provato a trasformarla in acustica cambiando la muta di corde, passando cioè dal nylon all’acciaio, complice un buco nella cassa che rendeva il suono particolarmente cavernoso. Un buco che aveva fatto il mio amico fraterno Simone, una sera che avevamo bevuto troppo, indossando indebitamente i panni del rocker e usandola come fosse una clava, andando a urtare il mio ginocchio alzato in difesa. Potrebbe sembrare fuori luogo parlarne qui, ma vedrete che tutto poi andrà al proprio posto.
“Quando lo Stato ti chiama a uccidere si fa chiamare Patria”. Non penso che tutti convengano con questo assunto, ma direi che visto il tema che andrò a affrontare una frase del genere fugherà ogni dubbio rispetto la mia posizione a riguardo, no, non voglio parlare della Nazionale di Mancini. Ho provato a farlo sui social, giocando su rivalità di bandiera, Genoa vs Samp, su campanilismi locali, Ancona vs Jesi, ma è andata a finire che mi hanno accusato di non capirne di calcio, e dire che non era quello il punto.
Pur ritenendo dannosa la retorica che ruota intorno alla Nazionale, quella della “favola”, del “gruppo”, della “ripartenza”, immagino che lo spirito patrio in quel caso giochi il ruolo proprio di chi segue lo sport in competizioni nelle quali sono le Nazioni a essere rappresentate. Come diceva Ferrini, “non capisco ma mi adeguo”.
Ho vissuto in passato alcune fasi nelle quali ho tifato Italia, del resto avevo tredici anni appena compiuti quando Dino Zoff alzò la coppa a Madrid, come ho vissuto le fasi intellettualoidi nelle quali mi rifiutavo addirittura di seguire il calcio, ho già raccontato della finale dei Mondiali USA, quelli del 1994, passata a vedere il Film Rosso di Kieslowski alla Fortezza di Falconara Alta, direi che posso sopportare anche Mario Sconcerti che seriamente paragona Mancini a Federico II, complice la nascita di entrambi a Jesi. Certo, provo disagio, ma ci sono tante cose che mi mettono a disagio nel mondo.
Preferisco parlare di musica, e anche qui, confesso, oltre a un grande disagio vedo che negli ultimi tempi c’è uno spirito patrio che, onestamente, fatico a capire.
Faccio un piccolo passo a lato, ne ho già fatti a sufficienza, direi che uno più uno meno poco influirà sulla vostra comprensione del testo.
L’altro giorno mio figlio Tommaso, sedici anni, mentre lo accompagnavo a casa degli zii coi quali sarebbe poi partito per Ancona, l’inizio delle sue agognate vacanze, se ne è uscito con questa frase: “Certo che questo è proprio l’anno dell’Italia, eh!”.
Mio figlio ha sedici anni, ripeto, e soprattutto è mio figlio, quindi è facilmente comprensibile che, nel suo costante tentativo di mettere in discussione l’uomo di casa, di dare cioè un senso al concetto di “uccidi il padre”, giochi costantemente su quegli argomenti che sa mi danno sui nervi. Sa che sono anarchico, spesso si esprime come fosse una sorta di piccolo Crosetto, a tratti anche come un piccolo Fiore. Lo so, ci sono preparato, ma non di meno mi inalbero in dieci secondi. Stavolta, però, è mio figlio, lo conosco bene, ho capito che non lo diceva per provocarmi, ma proprio perché lo pensava. Ha infatti proseguito: “Prima i Maneskin a Eurovision, poi Khaby Lame che diventa il secondo tiktoker al mondo, adesso la Nazionale. È proprio l’anno dell’Italia.”
Essendo la scena avvenuta alle sette e poco più di un sabato mattina, mi sono guardato bene da affrontare una qualsiasi diatriba, e ho semplicemente alzato il volume della radio, lasciando che la musica e i pochi minuti che ci dividevano dalla casa degli zii occupassero spazi e tempi.
Ci ho però riflettuto.
Non parlo di Khaby Lame, se non sottolineando debitamente come l’Italiano più famoso del mondo, per una legge che meriterebbe ovviamente di essere cambiata perché, sì, mi spiace per voi benaltristi, ma è qualcosa di aberrante e tutto ciò che è aberrante è fondamentale, vedi anche il DDL Zan, non è italiano, non avendo ancora ottenuto la cittadinanza nonostante viva qui da una vita, so chi è, vivo in questo mondo e in questa epoca, e al terzo video visto mi ha già annoiato, ma capisco che oggi le cose girino così. Mi chiedo, piuttosto, in cosa evolverà il suo modo di raccontare le cose, perché dubito possa andare avanti per anni, ma onestamente sono felice se la cosa gli giova. Parlo invece dei Maneskin, e anche qui, felice per questi quattro ragazzi che stanno ottenendo consensi incredibili. Il fatto è che credo siano appunto incredibili, e non perché non gli credo, non voglio neanche ipotizzare siano numeri finti, non lo credo, ma incredibili perché sulla carta sono inspiegabili, apparentemente.
Mi spiego.
Abbiamo letto praticamente tutti i giorni notizie strabilianti che riguardano i quattro giovani romani. Una ascesa verticale che li ha portati nel giro di poche settimane dalla vittoria del Festival di Sanremo a quella di Eurovision, arrivando poi, notizia di poche ore fa, a conquistare la Global Charts di Spotify, superando i colossi del mondo. Abbiamo letto anche come ciò è stato raccontato, anzi, abbiamo letto proprio come ciò è stato raccontato. I Maneskin che vengono riconosciuti come rock perché arrivano primi nella Hard Rock Charts di Spotify, i Maneskin che superano i Beatles, sempre su Spotify, i Maneskin che conquistano Times Square, le loro facce lì sui videowall, insomma, avete presente.
Il tutto ammantato di uno spirito patrio inedito, lo stesso che sta accompagnando la Nazionale di Mancini, ma il calcio è sempre stato oggetto di questa retorica, e lo stesso che aveva fatto seguire Eurovision come se di colpo non fosse più il programma trash che tanto ci ha fatto sorridere quanto una competizione seria, credibile. Al punto che, lo dico da loro detrattore della prima ora, neanche troppo radicale, non perché non li considerassi e li continuo a considerare dozzinali e irrilevanti, artisticamente, ma proprio perché, considerandoli dozzinali e irrilevanti, artisticamente, non è che perda poi tutto questo tempo dietro a loro, a fianco di questa propaganda di matrice sovietica ante-caduta del muro che li accompagna da subito sui media tradizionali, sui social è tutto un rivendicare i loro successi, specie da parte di miei coetanei, evidentemente spinti dalla volontà di non sentirsi boomer, al grido di “e adesso rosiconi, come la mettiamo?”.
La notizia che siano primi su Spotify, nella Global Charts, va detto, ancora più potente dell’aver, su Spotify, e adesso, superato i Beatles (fa sorridere molto questa cosa, perché forse sarebbe il caso di considerare quanta gente ascolta in generale la musica su Spotify, a fasce di età, e quanti dischi dei Beatles siano nelle case del mondo, ma io non ho Spotify sui miei device, non lo uso, non faccio testo).
I Maneskin sono primi nella Global Charts di Spotify, e molti la stanno vivendo come un successo italiano, nel senso di tutta la Nazione.
Provo a dire la mia a riguardo.
I Maneskin sono primi in quella classifica, che ovviamente cambia quotidianamente, lì contano gli stream giornalieri, con una cover che avevano inciso ai tempi di X Factor, quattro anni fa, Beggin. Una cover incisa al volo, quindi, sotto la cura di Brun e Ferraguzzo, e dire cura nella stessa frase dove c’è il nome di Ferraguzzo fa abbastanza ridere, dai, una versione molto più vicina alla cover che del brano avevano fatto i Madcon che all’originale. Una cover, questo il dettaglio su cui mi soffermerei, di una bruttezza quasi sconcertante, suoni tirati via, produzione sciatta, non a caso buttata sul mercato al volo, senza un video ufficiale, perché non era un singolo. Di più, il cantato è a tratti imbarazzante, con quel “ratatata” che, a sentirlo oggi, fa quasi sorridere, vedi tu che cagate uno può tirare fuori da giovane, ma che stando ai commenti che si trovano in rete, sembra invece essere proprio l’aspetto più apprezzato da chi la ascolta a ripetizione.
Ecco, chi la ascolta a ripetizione.
Parliamo di questo. Non sto su Tik Tok, ho cinquantadue anni, non so quanti anni mi aspettano, vorrei viverli bene, ma ho quattro figli, quindi so bene cosa succede da quelle parti. I Maneskin sono la colonna sonora di un florilegio di video, video che rimandano tutti a Spotify. Chi segue Tik Tok è piuttosto giovane, i commenti che si trovano anche sotto il video non ufficiale su Youtube sembrano scritti tutti da bambini, così non fosse sarebbero adulti cui la vita non ha concesso l’agio di maturare e crescere. Tutto quadra, del resto. Tik Tok ha un pubblico giovane. Spotify pure, anche se a differenza di Tik Tok non solo giovane. I Maneskin dominano lì, buon per loro, normale siano molto apprezzati dai più giovani.
Torniamo a quanto detto prima. Chi segue i Maneskin li segue per motivi che ignoro e che trovo onestamente poco interessanti, per quel che riguarda me. Però ci sono alcuni aspetti che andrebbero chiariti, per onestà intellettuale, aspetti che nulla tolgono ai risultati raggiunti e che se qualcuno, volendo anche tutti vogliono usare per una questione di tifo nazionale, amen.
Primo, essere diventati primi nella Charts Hard Rock di Spotify è stato sì un passaggio importante, per arrivare poi primi nella Global Charts, ma nulla ha a che fare col rock o l’hard rock. Anche volendo bypassare la questione di Tik Tok cui facevo cenno prima, e ditemi voi se ai bambini frega qualcosa del rock, resta che primi in quella classifica, negli anni, ci sono stati artisti anche importanti, ripeto, complimenti, che col rock, tanto più con l’hard rock nulla hanno a che fare, da Taylor Swift a Tove Lo, passando per Gotye, sì, quel Gotye lì. Non trovo rilevante stabilire se i Maneskin siano o meno rock, ma non è sicuramente lo stare in quella classifica che attesta alcunché.
Secondo, paragonare una band contemporanea, figlia di questa epoca, con i Beatles, diciamolo, è non tanto ridicolo quanto folle. Non voglio neanche stare a spiegare perché.
Terzo, essere primi con quella cover di Beggin, oggettivamente una fetenzia, non è fatto che, immagino, i Maneskin di oggi avrebbero perseguito. La narrazione intorno a loro, narrazione che in parte loro stessi stanno costruendo, li vuole costantemente in studio, a suonare e provare, anche quando è arrivata la notizia del primo posto erano lì, sapere di essere primi con poco più di un provinaccio, per di più di una cover, che notoriamente non frutta diritti d’autore, credo non sia proprio il top.
Me ne fregasse qualcosa dell’Italia, magari, gioirei per degli artisti italiani in vetta, ma siccome mi occupo di musica, direi che avrei preferito che prima ci finisse altra musica, anche italiana, anche dei Maneskin, volendo.
Ultima notazione, la famosa foto di Times Square con la loro foto nel videowall. Molti hanno parlato di Maneksin alla conquista di Times Square, di New York, dell’America. Molti hanno traslato il discorso sull’Italia che conquista etc etc.
Mhmmm. Quello è uno spazio pubblicitario, in capo a Spotify, si evince dalla foto. Non si conquista, purtroppo, lo si compra. Uno dirà, “beh, ma se sono lì significa che Spotify ritiene meritino di stare lì”. Vero, ma è sempre uno spazio pubblicitario, lo volesse comprare ci potrebbe finire anche Al Bano. Del resto Spotify ci ha fatto passare anche artisti italiani, penso a Madame, a Levante, e a suo tempo, sempre comprandolo, ci è passata Laura Pausini. È come uno di quegli spazi nei quali si vedono le pubblicità in giro per le città, solo che è uno spazio digitale e sta a Times Square.
Questo toglie qualcosa al successo dei Maneskin?
No, affatto, ma raccontarlo come realmente è, credo, serva proprio a sottolineare come sia un successo vero, raccontarlo in quel modo enfatico e falso non aiuta affatto.
La spiego meglio, approfittando di una distrazione dei censori del politicamente corretto, se hai venti centimetri di cazzo e tutti dicono che ne hai quaranta, continui a avere venti centimetri di cazzo, decisamente sopra la media, e chi dice che ne hai quaranta dice una cosa cui solo un pirla potrebbe credere.
I Maneskin sono un fenomeno su Spotify. Non sono i nuovi Black Sabbath. Non sono i nuovi Beatles. Non conquistano altro che le classifiche di streaming. Evviva. Beggin fatta in quel modo, ascoltata da milioni di persone nel mondo, continua a essere una cagata immonda, il che non dimostra che è bello ciò che piace, quanto piuttosto che spesso la massa ha gusti di merda, o più semplicemente guarda video su Tik Tok e della musica gli intessa poco.
Questo è un successo dell’Italia, destinata dopo aver conquistato l’Europa con Eurovision a conquistare il mondo su Spotify, coi Maneskin, e i social, con Khaby Lame, e presto l’Universo, anche con la Nazionale di Mancini?
Ho già espresso chiaramente come la penso a riguardo: “Quando lo Stato ti chiama a uccidere si fa chiamare Patria”, sventolate le vostre bandiere, io vado a mettere su qualche vinile.