Zlatan, ma non te l’hanno detto che Dio è morto? Ibrahimovic è passato di nuovo sul palco dell’Ariston dopo l’edizione di Sanremo 2021 quando, in piena crisi Covid, affiancò Amadeus nella conduzione. Ora Ibra è tornato e sembra non essersene mai andato. Ed è proprio questo il problema: anni di repliche di se stesso, tra autocelebrazione, faccia da duro e teologie personali. Tornato al Milan, ha vinto uno scudetto da calciatore, non perdendo mai occasione di ricordare al mondo che: “Io sono Dio, con me la musica cambia”. Ora, però, gli anni sono 42, non è più un calciatore e la maglia non la indosserà più. Zlatan ha preso posto alla scrivania. Le cose vanno avanti, ma Ibra sembra non essersene reso conto. Davvero può continuare a giocare a fare Dio senza che nessuno possa fiatare? Lo sappiamo, le orde di rossoneri sono pronte, armi in mano, a lottare per il loro idolo. “Quanti anni hai?”, chiede Zlatan ad Amadeus. E tu, Ibra, quanti anni hai? Con le scarpe lucide, invece che con gli scarpini ai piedi, la musica cambia anche per te. Inutili le sopracciglia contorte, la voce bassa e le spalline ad Amadeus: se da attaccante Ibra ha scolpito la sua leggenda, ora quella statua rischia di rovinarsi con il passare del tempo. Un monumento che si è ridotto a qualche santino da distribuire al pubblico dell'Ariston. È una debolezza quella di essere tornato a Sanremo? Si torna sempre dove siamo stati bene, ma Dio dovrebbe stare bene in tutti i posti. Ora, tra l'altro, nella sua squadra ha un ruolo di dirigente, ma per ora non sembra molto di più di una figurina scelta dalla proprietà americana per dare una parvenza di competitività. Non ha niente di meglio da fare, Zlatan, con il Milan a 9 punti dall’Inter prima in classifica, una Champions League che sta per tornare e una mentalità da infondere nei giovani della sua squadra? La mentalità: i nostri sono tempi in cui questa parola è al centro di tutto. La salute mentale, il mindset per il trading o la Mamba-mentality, se ti chiami Kobe Bryant. La Zlatan-mentality ha dei tratti chiarissimi: fiducia in se stesso e ossessione per la vittoria. Ma una delle poche certezze che abbiamo è che l’ossessione ha rotto il caz*o. Specialmente quando a stancarti con la loro personalità sono quelli che lo fanno da 20 anni. A un certo punto arriva il momento di dire basta.
Poi le battutine sul suo posto in platea: “Quel palco è di Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica”, “perché, quanti gol ha fatto?”. No, non fa più ridere. Sul campo era divino, fuori dal campo valletto di Amadeus: Zlatan, non te l’hanno detto che Dio è morto? E quel carisma e quell’ego smisurato hanno ancora una giustificazione? Se persino Amadeus trova il coraggio di farti una battuta fuori copione, qualche domanda dovrebbe sorgerti spontanea. Già la vediamo l’indignazione dei milanisti: come osiamo, noi mortali, dubitare di Dio. Già li vediamo mentre ghignano di fronte a chi, come noi, ha il coraggio di dire che no, Ibra non è più lo stesso e che sì, Zlatan ha rotto il caz*o. I vincenti a tutti i costi sono in ritardo rispetto all’orologio del mondo. Sono pochi quelli che vivono di ossessioni e durano poco. A 42 anni, dopo una carriera in cui ha ripetuto le stesse identiche cose, la vita di Ibra è cambiata. Lui sembra l’unico a non essersene accorto. “Piove, anche Dio piange”, diceva Zlatan. Quelle lacrime, però, non sono più le sue. Te lo diciamo noi quindi: fattene una ragione, perché ormai Dio è morto. E quello che è rimasto è solo l’odore del suo cadavere. Ma soprattutto: come ha intenzione di farci vedere che Ibra è ancora Ibra anche fuori dal campo? Comincerà a recitare le barzellette come Francesco Totti o aggiungerà qualche contenuto in più?