Il clown era sempre stato innamorato di lei, la donna volante, la trapezista più abile che un circo potesse desiderare. Al tempo stesso era la donna più fredda, inaccessibile e crudele che il clown avesse mai conosciuto. Ma era bella. Bella davvero. Con il suo corpo asciutto e forte, i suoi lunghi capelli scuri, che brillavano anche nell'oscurità.
Ogni volta che si esibiva, il clown, da uno spiraglio nascosto, la guardava estasiato e sospirava, d'amore e di dolore.
Sapeva bene che il suo sentimento non era ricambiato e mai avrebbe potuto esserlo. La donna ogni volta che lo incrociava, non solo non lo degnava di uno sguardo, ma sul suo volto appariva un sorriso maligno e beffardo.
Quando il clown si esibiva ed inciampava in qualche pallone o nelle sue grosse scarpe, sentiva da dietro le quinte le risa burlesche della donna. E lui si sentiva morire. Soffriva, dietro la maschera sorridente e il suo cuore di uomo ferito nell'orgoglio piangeva. Avrebbe voluto lasciare tutto, terminare il suo numero, ma lui era il clown, quello era il suo ruolo, far ridere la gente.
Non aveva pace. La sognava di notte, la pensava in ogni istante, fremeva quando la incontrava, sperando che quel giorno le rivolgesse almeno un cenno di saluto.
Era diventata un'ossessione e il clown decise. Decise che le avrebbe parlato. E non solo, decise che le avrebbe dichiarato ciò che provava. La sera stessa bussò piano al camerino della donna e quando lei aprì la porta, le mostrò una rosa. Non proferì parola, non ci riuscì vista la risata con cui la trapezista accolse il suo gesto. "Cos'è questa, una dichiarazione? Sei forse invaghito di me, pagliaccio?" Il clown chinò triste la testa. "Ti amo dacchè ti conosco". Disse piano. La risata della trapezista questa volta quasi spezzò il cuore del povero pagliaccio.
"Ah sì?" gli chiese sogghignando. "Allora, se quello che dici è vero, dimostramelo. Domani durante il tuo sciocco numero, voglio che passi in mezzo al cerchio di fuoco." "Lo farò". Sussurrò il pagliaccio e, mentre gli scendeva una lacrima, tornò verso il suo camerino.
L'indomani arrivò, e con lui, il momento del suo numero.
"Signori e signore" urlò il presentatore "il nostro amato pagliaccio ci ha riservato una sorpresa quest'oggi!" Il pubblico sussurrò vedendo portare all'interno della pista un cerchio di fuoco con un diametro di non più di due metri. "Ecco gentile pubblico, ecco attraverso cosa passerà il nostro clown".
Silenzio. Poi i tamburi cominciarono a rullare. Il clown, con uno sguardo triste, guardò verso il punto dove sapeva che la donna lo stava osservando, dopo di che cominciò goffamente a correre verso il cerchio. Le scarpe enormi e il vestito rendevano la sua corsa ridicola, ma il pubblico era muto, cosciente anch'esso della pericolosità del numero. Non appena il pagliaccio saltò, i vestiti svolazzanti si incendiarono e ben presto il clown si ritrovò circondato dalle fiamme.
Il pubblico urlò.
Da dietro le quinte si sentivano grida e ordini di portare dell'acqua.
In pochi secondi portarono una grossa pompa. Il pagliaccio, nonostante le fiamme, restava in piedi, immobile a fissare in direzione della donna.
Le fiamme furono presto spente e il clown portato dietro le quinte.
Il fuoco aveva del tutto bruciato i suoi abiti e una grossa ustione gli copriva una parte del volto, dalla fronte al mento.
Il medico disse che quella bruciatura sarebbe diventata una cicatrice, purtroppo indelebile. Sarebbe rimasta per sempre.
E da quel giorno e per sempre quando il clown guardava la donna, essa non rideva più, abbassava lo sguardo e lo salutava sussurrando il suo nome, Fabio. E, ogni volta che il pagliaccio si esibiva, non sentiva più la crudele risata.