“C’erano 51 gradi, mi sono fatto una buca sotto il paramotore e ci ho messo la testa. Lì l’ansia ti prende, ma sei in un posto magico e alla fine non ti incazzi neanche”. Se dovessimo riassumere in una frase quello che c’è dietro ad un rally nel deserto sceglieremmo questa. A pronunciarla consacrato accento bresciano è Alessandro Botturi, protagonista assieme a Pol Tarreés del documentario The Great Adventure: A journey inside Africa Eco Race 2022 disponibile da settembre su Prime Video Italia e presto negli Stati Uniti, Regno Unito e Giappone.
La frase è perfetta perché in otto secondi netti mette assieme tanti concetti giganteschi. Il deserto per esempio, che è caldo davvero e faticoso ogni giorno. Poi gli imprevisti, quelli veri, che ti costringono a sviluppare una tua creatività e a ridimensionare le aspettative, perché il primo risultato utile è la sopravvivenza. Botturi, Il Bottu, dice che non ti incazzi neanche, perché sei in un posto magico. Dice che la paura quella vera la provano i genitori dei bambini ricoverati in oncologia. Pol Tarrés aggiunge che il giorno in cui avrà davvero paura resterà a casa. Alla fine chiude con un quinto posto assoluto, un risultato impensabile per lui che viene da specialità completamente diverse.
Il teatro del documentario The Great Adventure, diretto da Francesco Teo e scritto da Alessandro Squizzato, è l’Africa Eco Race, una corsa voluta da Hubert Auriol per ripercorrere le tappe della prima Dakar mentre la competizione pensata da Thierry Sabine si spostava lontano dal continente. Gli attori sono i due piloti del Team Yamaha ufficiale, Alessandro Botturi e Pol Tarrés per l’appunto, che hanno affrontato il raid con la Yamaha Ténéré 700, portando una bicilindrica presa dal concessionario in questa follia tra le dune. L’itinerario: Marocco, Mauritania, Senegal, poi finalmente il lago rosa di Dakar. È un documentario di un’ora, ma ne vorresti un’altra subito dopo. È per chi ha il mal d’Africa, ma anche nostalgia degli ultimi vent’anni dello scorso millennio, quando la Dakar produceva eroi invece di celebrare atleti e le moto che riuscivano a vincere il deserto finivano nei garage degli appassionati. È per chi ama lo sport del motore, ma soprattutto per chi ha capito che il valore umano è gigantesco anche quando viene mescolato con la meccanica.
Normalmente di questi piloti puoi vedere qualche foto, qualche dichiarazione o una ripresa dall’elicottero tanto bella quanto decontestualizzata dall’immensità del deserto: il soggetto è lontano, sembra si stia semplicemente divertendo su di un terreno accogliente. Se va bene, di loro si parla durante le corse in qualche trafiletto scritto per dovere di cronaca. I più appassionati hanno consumato i brevi video sparsi in rete, ma immergersi così dentro alla gara è praticamente impossibile.
Questo lavoro lo puoi apprezzare in un gran numero di maniere diverse: puoi goderti il girato e quelle immagini da un mondo più acerbo del nostro. Puoi ascoltare e ricevere la fatica che c’è dietro all’impresa di arrivare in fondo, il lavoro di una squadra e le dinamiche tra due uomini a cui è stato chiesto di competere tra loro e di aiutarsi ogni volta che possono. Poi, con un po’ di attenzione, tutto questo puoi sentirlo e farlo tuo: capisci in un attimo che nascondere la testa sotto la sabbia può essere una buona idea se ne hai bisogno, oppure che tutto è sempre relativo, a partire dai nostri problemi. È un bel viaggio, uno di quelli che puoi fare dal divano di casa.