Ci sono persone che lasciano un pezzetto di sé in tutto quello che fanno. Irene Saderini è una di queste. La cosa il più delle volte non è nemmeno una scelta, o almeno ad un certo punto smette di esserlo. Irene ha vinto regate in barca, crescendo ha fatto la reporter di guerra, più avanti la televisione. Oggi, in qualche modo, ha mescolato le tre cose raccontando la storia di Sea Shepherd con un documentario presentato a Venezia durante la Mostra del Cinema. L’ha fatto per il gusto di metterlo lì, sotto il sette per chi segue il pallone, a Venezia79 per chi ama il cinema. Eppure la distanza tra i due mondi è grande, grandissima: i Guardiani del Mare, in streaming su Amazon Prime Video, è un racconto che spinge su consapevolezza, coscienza ambientale, amore, volontariato. Il cinema no, è sfarzo e jet privati, il volontariato spesso sono costretti a farlo i ragazzi che ci lavorano. Irene racconta che l’idea del documentario è nata in Sardegna, davanti a un gin tonic. E di averci lavorato a lungo senza sapere come sarebbe finita.
Sea Shepherd si traduce in pastore del mare, il simbolo è un jolly roger rivisto: bandiera nera col teschio, perché rischiamo l'estinzione. Yin e Yang all’interno, a forma di delfino e balena, per l’equilibrio. Sotto, al posto delle ossa, tridente e bastone pastorale. Da lontano te li immagini come i pirati al servizio della natura, quelli che salvano le balene dai cacciatori giapponesi a cui manca tutta la dignità del Capitano Achab. In Italia di balene non ce ne sono, ma la pesca di frodo sì ed è terribilmente difficile da arginare. Chi la pratica sulle nostre coste, spesso, esce in mare cercando pesci da cambiare in euro per pagare le rate della barca, non per costruirsi la villa. Fa una vita faticosa a prescindere dai guadagni. Così, mentre scorre il minutaggio, ti rendi conto che sia gli uomini di Sea Shepherd che i pescatori di frodo hanno scelto di rischiare vita e affetti perché è quello che dà un senso alla loro esistenza. Sea Shepherd lo fa per la comunità ed il pianeta, i pescatori più ingordi per loro stessi: puoi portare a casa del pesce anche senza le trappole Fad (fishing aggregating devices), senza reti ormai fuorilegge, senza fare pesca a strascico distruggendo la biodiversità marina. Qualcuno lo fa, nel documentario si parla anche di questo. Nel frattempo però c'è chi lavora per fermare quelli che non hanno l'intelligenza per riuscirci.
I Guardiani del Mare racconta questo, non è un blockbuster sulla caccia ai fuorilegge o su di una nave che si perde nell’oceano. Non è, insomma, recitato. È quasi un diario di viaggio fatto di incontri e momenti. I Guardiani del Mare è la vita di persone, diversissime tra loro, che decidono di imbarcarsi per migliorare il mondo in cui viviamo. Ha un grande pregio, un po' come i romanzi di formazione: al momento giusto può cambiare la vita di chi guarda. Magari lo metti in play dalla tua cameretta, negli anni del liceo, e finisci per arruolarti. Oppure hai già i capelli bianchi, sei seduto in business con un tablet in mano e scopri di volerci provare. A Sea Shepherd non importa della tua estrazione sociale. Il documentario, di 72 minuti, scorre via veloce e poco filtrato, con Irene Saderini che sacrifica un filo d'intrattenimento per lasciarti addosso un'idea semplice: a cambiare il mondo sono persone normali.
Dopo la proiezione ci spostiamo sulla riva affacciata verso la laguna in un momento che gli americani chiamerebbero con grande soddisfazione golden hour. Per noi, più che altro, è il momento dell’aperitivo. A guardare Venezia c’è una barca a vela di Sea Shepherd, una tra le poche: per fare questo lavoro, spiega il presidente Andrea Morello, occorre essere tempestivi. Irene abbraccia i volontari, scherza, alleggerisce la tensione perché molti di loro il suo film non l’avevano mai visto. Poi, più tardi, viene a parlarci del film: “Lo so, i Guardiani del Mare sono solo una goccia nell’oceano di problemi e disgrazie che abbiamo, ma sono qualcosa. Sono persone che fanno del loro meglio”, spiega.
Le chiediamo cosa le rimane di quest’esperienza, lunga e diversa da tutto il resto. Lei ci pensa e poi risponde: “L’idea che finalmente posso fare del mio meglio, per il mare, per le persone che amo e che amerò, per chi ci sarà dopo. Può darsi che non salveremo gli Oceani, ma avremo provato a salvare noi stessi. Mi ha dato e tolto molto questo progetto, forse a questo documentario ho permesso di allontanare un pezzo di me stessa, le mie passioni, anche una persona che amo, come spesso accade a molte donne che mettono anima e corpo un un lavoro importante, e chi è a casa fatica a comprenderlo. È che certi treni passano una volta sola, vanno ad alta velocità e si tirano dietro tanti pensieri, qualche spavento. So che ho passato quasi metà della mia vita in Mare, e che per il futuro non voglio allontanarmi più tanto da questa massa d’acqua che ha la peculiarità bellissima e fastidiosa di essere immenso e senza barriere”.
Guardatelo, questo film. Perché magari non cambierà nulla e difficilmente cambierà voi, ma vi farà vedere il mare con gli occhi di chi lo ama. Un mare che diventa grande, profondo e un po' più vivo di prima.