Supreme. Non Tha. "C'è un attore morto che si chiamava così, no?", no venticinquenne che vive su Instagram di hashtag e politicamente corretto. Al netto di quanto una domanda del genere possa far sentire drammaticamente anziana (lo siamo) la sciagurata generazione nata negli anni Ottanta, essi vivono: giovani da far schifo ma con l'età che permette loro di fare cose da adulti tipo avere la patente nonché il diritto di voto. E che non hanno idea di chi sia Robbie Williams. Gravissimo. Nell'anno del venticiquesimo di carriera di questo brit "signorino nessuno", è stato annunciato l'arrivo di un biopic per il cinema e di una docu-serie Netflix su di lui (arriveranno nel 2023). Un Gianluca Grignani che ce l'ha fatta, ha scritto canzoni d'amore grazie a cui molti di voi senza rispetto sono stati concepiti. Magari mentre andavano in onda in sottofondo a uno spot di biscottini. Salvo poi scatarrarci sopra nel singolone dopo. Un'anomalia del sistema squisitamente pop-rock che mostra come si fotte, davvero, la fabbrica di plastica. No regrets.
Ognuno ha gli idoli che si merita. E nel giro di una ventina d'anni sarà pronto a vergognarsene. Oppure no. Williams nasce artisticamente come burattino da boyband: membro dei Take That, odiava tutto di quel gruppo dalle canzoni melense, al nome, "Robbie" che il manager gli aveva imposto: "Mi suonava rassicurante, da fantoccio", racconta oggi dopo 80 milioni di dischi in carriera (solista) venduti in tutto il mondo. Nessuno sfancula una boyband e poi ce la fa davvero. Se ne facevi parte, negli anni Novanta, eri inevitabilmente amato e chiacchierato in tutto il globo terracqueo. E perfetto per sorridere appoggiato di fianco a un deodorante teen su enormi "Advertising Spaces". Non che ci fosse qualcosa di male, i milioni si fanno così tuttora. Però che palle.
Poteva fare da solo e l'ha fatto: Life thru a lens, il primo disco solista, esce nel 1997 (ed è da lì che, ancora oggi, Robbie fa partire - a ragione - il conteggio per l'anniversario di carriera che si celebra quest'anno) con delle mine inarrivabili tra cui Angel e Let me entertain you. In prospettiva, fa quasi ridere pensare a come il mondo intero si sia bagnato quando Harry Styles fuoriuscito dai One Direction tirò fuori Sign of the Times, vero? Sì. Roba da solletico (la trasmissione tv, quella lì per bambini di tanto tempo fa, la mandava la Rai).
Del resto, però, è così che va: ogni volta che emerge qualcosa appena al di sopra dell'ascoltabile, è subito trionfo ormonale ai vertici delle classifiche mondiali. Come se i nostri timpani si fossero totalmente disabituati alla provocazione del bello, al carisma che fa di un artista qualcosa di più di una marionetta mirabilmente pettinata. Però Life thru a lens, per Williams, fu solo l'inizio.
La cronistoria precisa la trovate su Wikipedia ma negli anni (che ancora non sono finiti) in cui Noel e Liam Gallagher schifavano tutti con dichiarazioni fratricida salvo poi cantare Wonderwall, Robbie il disgusto per l'umanità tutta lo metteva direttamente nelle canzoni arrivando a dissacrare puntualmente le sue stesse - bellissime - ballad d'amore (She's the one, Eternity, Feel ecc). Come? Nei singoloni successivi o pure contingenti inseriva barre da rapper che quegli stessi pezzi li schifavano visceralmente. Il manifesto è Come Undone: "Scrivi un'altra ballad, mercoledì la mixi, giovedì la vendi, poi ti compri uno yacht ed entro sabato tutti cantano una canzone d'amore così sincera". Mentre vai in pezzi.
I video pieni di fagiane d'altissimo livello, il suo sbatterci in faccia come e quanto perfino scopare gli fosse venuto a noia (Sexed Up), il tutto su basi così catchy che pure le nonne di tutto il mondo si sarebbero ritrovate a canticchiare dal prestinaio. E che i brand avrebbero vampirizzato dal giorno 0 del rilascio. Tour con milioni di fan che gli cantavano sopra parole di fulgido sprezzo per se stesso, per loro, per il fatto che sulle strade si vendessero rasoi e specchi e fosse così facile farla finita. Soprattutto quando il mondo ti interpreta Robbie Williams anche se tu gli vendi che fai schifo, sei feccia e che t'importa 'na sega di essere migliore. Sei milionario. Nel modo più personale e irriverente possibile. "So unimpressed".
Così nudo da levarsi letteralmente la carne di dosso nel celeberrimo (e censuratissimo) video della super hit Rock Dj, Robbie Williams manda tutti a fanculo da ventincinque anni. Sì, anche quando si dà allo swing. Con buona pace del natalizio Michael Bublè. E con la medesima buona pace anche del fatto che a una certa si sia sposato e oggi campi di rendita e royalties, quel carisma che non suona quasi mai da poser è precisamente ciò che il mondo delle sempre innocenti e buoniste sette note avrebbe damigiane di disperato bisogno pure oggi. Oggi ossia quando i sedicenti artisti che imbrattano le classifiche solo perché nessuno ha ancora trovato il modo di spegnerli come un livello di Photoshop d'intralcio, si sperticano per cercare di raccontare quanto sia epico fare schifo. Prendessero appunti, allora. Zitti e buoni.