Lasciate stare Michela Murgia o Susanna Tamaro. Questo non è un semplice romanzo. È un thriller à la Tarantino. Ovvero: un thriller che non è un thriller, ma che se lo fosse non andrebbe come pensiamo. Per questo motivo mi darò tre regole prima di spiegarvi perché dovreste leggere tutti Il distruttore di sogni di Maria Sole Abate. Prima regola. Non si parla della trama. La cosa più odiosa per chi vuole godersi una storia è sapere cosa aspettarsi. I trailer che funzionano meno sono i trailer in cui hai praticamente già visto tutto. Busi una volta, non ricordo dove e in che occasione, ringraziava per una recensione in cui non si parlava della trama. Diceva, parafrasando, che se ci metti la trama è perché non hai nulla da dire. Io qualcosa da dire, su Il distruttore di sogni (ma spero un po’ su tutto), ce l’ho, quindi evito. Seconda regola. Citare poco o niente. Precisamente, citare una frase all’inizio di questo articolo basta. Niente citazioni a metà paragrafo, parentesi quadre e collage di frasi. Il romanzo funziona come un flusso di coscienza; di più, come un flusso di incoscienza, un’autoanalisi che sgama l’io del protagonista, S., nel giro di 500 pagine. Pensate a qualcuno sul lettino di Freud che viene interrotto mentre torna all’infanzia. Non amo la violenza, quindi evito. Terza regola. Finire la recensione poco dopo aver finito di elencare queste regole. Chiamiamola la nostra “regola del Fight Club”, ma per Il distruttore dei sogni. Mai parlare de Il distruttore di sogni. Anche perché le regole mi son venute leggendo il libro, e dunque ciò che ho scritto finora – indirettamente – si riferisce alle pagine che ho divorato. Allora, la citazione. La usiamo come un esergo (ricordo il primo capitolo de I barbari di Baricco, tutto dedicato alla bellezza e al divertimento che si prova scegliendo un esergo). L’esergo è questo e parla di oggi. Cioè, non proprio di oggi, ma di una domenica, come quella in cui esce questa recensione: “E siamo a oggi. Oggi è domenica. La luce filtra dagli avvolgibili che lascio sempre un po’ aperti, come piaceva a Giulia le poche volte che dormivamo insieme, quando eravamo in vena di togliere ognuno spazio a se stesso per darlo all’altro. Lei col passare del tempo sempre più spesso. All’inizio mai. È questo che mi ha tanto attratto. Fuggiva essendoci.”
Quindi di che parliamo? Iniziamo con qualche ingrediente: c’è uno scrittore che non ci conosce manco un po’, un Grande Regista che somiglia pericolosamente a Sorrentino. Un po’ di falso intellettualismo e qualche topos letterario (la depressione, il disincanto, l’apatia). C’è qualcosa che non va. La scrittura, scorrevolissima, ottima, rende belle immagini, ti permette di gestire la storia e cinquecento pagine senza bloccarti dopo tre capitoli. Tuttavia, si sente un po’ la mancanza di coordinate e virgole in luogo dei punti, che spezzano il filo del discorso. Per intenderci. “Si sente la mancanza di coordinate. E virgole in luogo dei punti. Punti che spezzano il filo del discorso”. Questo modo di affettare la frase, però, è fatto con grande coscienza. Forse verso la fine, abbiamo qualche frase lunghina, davvero riuscita. Comunque, non è un salumiere alle prese con un insaccato ad andare di taglio, ma un chirurgo. Solo che non sempre sembrava necessario operare. Qualche volta una frase più lunga ci sta pure, senza scadere nel vizio preferito di Umberto Eco (chiudere un paragrafo quasi senza mai un punto) e che solo lui può rendere un pregio. Anzi, una chirurga. Maria Sole Abate, eccolo il nome dell’autrice (non l’ho scritto finora, lo so). È un particolare interessante, perché il protagonista è un uomo (non parla direttamente sempre l’uomo, ma si capisce che è lui che regge la storia, un canestro, un piattello, chiamatelo come vi pare), un uomo di cui vendicarsi anche. Ne parla una donna che sta dalla parte non del protagonista, ma dei fantasmi della storia. Ombre di luce violentissima, direbbe qualche poeta improvvisato. In altre parole, gente con delle ferite talmente grandi che a guardarci dentro dovrebbe far male pure a te. L’idea è che il signor S. del romanzo soffra delle ferite inferte quando capisce che sono loro, dietro le quinte, che hanno provocato la ferita che lui si porta dietro. Come se fosse antani? No. è solo la realtà. Non soffriamo mai delle nostre ferite, ma delle ferite che le nostre ferite hanno. E se non siamo muri di gesso, le ferite delle nostre ferite dovrebbero essere quelle inferte agli altri. Sto quasi per violare la terza regola, quindi mi fermo.
Dicevamo, una citazione non possiamo metterla alla fine, ma un consiglio sì. Andate in libreria, ci saranno due tre scaffali della casa editrice La Nave di Teseo. Ci troverete Massimiliano Parente, Andrew Sean Greer e Maria Sole Abate. Ora si va in ferie no? Ecco, andateci, passate con il dito sulle copertine lisce e lucide dei volumoni, pescate questo libro tra i tanti spettacolari, apritelo sotto a un ombrellone o in giardino, come ho fatto io martedì 26. Lo chiuderete due giorni dopo, sazi ed entusiasti che esistano autrici così in Italia. Fidatevi, ne sarà valsa la pena.