“Il cielo stellato sopra di me”. Pare di sentire Kant a guardare la schiera di scienziati, intellettuali, opinionisti e chi più ne ha più ne metta, che in questi giorni stanno commentando le foto del telescopio James Webb. L’entusiasmo è grande, la gioia pure. Siamo pieni di pensieri positivi. Ma ogni scoperta dovrebbe stringere la cinghia intorno al collo delle nostre domande esistenziali, anche se questo termine sta iniziando a combaciare pericolosamente, tra gli esponenti della mid-cult (cioè permeati da un certo atteggiamento radical chic), con l’ammasso di interrogativi giovanilistici e adolescenziali che riempiono certi libri di terapeuti e psicoanalisti italiani di moda. Certo la bellezza, ma a che prezzo? Lo abbiamo chiesto allo scrittore Massimiliano Parente, autore della Trilogia dell’inumano (La macinatrice, Contronatura e L’inumano), pubblicata in un unico volume da La nave di Teseo nel 2017, e uno dei due interlocutori dell’epistolario Lettere dalla fine del mondo insieme al neuroscienziato Giorgio Vallortigara (sempre La nave di Teseo 2021).
“Webb’s First Deep Field”, il risultato di un giorno di attività del telescopio James Webb. È il ritratto del gruppo di galassie SMACS 0723 4,6 miliardi di anni fa. Quando ha visto la foto cosa ha pensato?
In realtà me la aspettavo da tempo, ma la cosa impressionante è che stiamo guardando nel passato profondo, le prime galassie. Se pensate che fino a meno di un secolo fa credevamo che l’universo fosse la sola Via Lattea, stiamo arrivando al limite del visibile. Inoltre, siccome l’universo si espande a una velocità superiore a quella della luce, perché è lo spazio a dilatarsi, le galassie che scompariranno dalla nostra vista non le vedremo più. Inoltre mentre la luce di quelle prime galassie ci ha messo tredici miliardi di anni per arrivare a noi, viaggiando a trecentomila chilometri al secondo, adesso sono molto più lontane. Il diametro reale dell’universo è di decine di miliardi di anni luce più grande. Il nostro sistema solare ha cinque miliardi di anni, stiamo vedendo un’immagine di quando non c’era neppure il Sole.
Nel suo articolo uscito su «Il Giornale» oggi (13 luglio), parla di “terrificante meraviglia del nulla”. Sembra che la meraviglia la provino in tanti ma forse non del nulla. Sicuramente, per molti non è terrificante. Cosa c’è in gioco, perché non possiamo limitarci all’euforia che giornali e divulgatori stanno manifestando?
È come quando la gente guarda il cielo stellato e lo trova bello. Io lo trovo terrificante. Ma succede anche con le nebulose, fotografate a migliaia o centinaia di milioni di anni luce, tutti a dire che belle. Ma nessuno lo fa con i tumori, ce ne sono di bellissimi, volendo, e tutto ciò che vediamo fuori da questo pianeta, piccola pallina blu, è cancerogeno e inospitale e senza alcun senso per noi. Lo spazio è attraversato da raggi X, raggi gamma, particelle di ogni tipo che ci ucciderebbero se non fossimo protetti dall’atmosfera e dal campo magnetico terrestre. Non è bello, è spaventoso. Viviamo dentro un immenso tumore.
Lei cita Leopardi, il campione dei pesi massimi dei letterati scienziati (o scienziati letterati). Lo tirano da tutte le parti, cattolici, materialisti, scrittori con velleità catechistiche che promuovono i buoni sentimenti e la resilienza (la ginestra e la parafrasi scolastica a cui siamo abituati). Lei va dritto al punto. Siamo di fronte a un nuovo importante risultato per la ricerca scientifica, ma quello che emerge è prima di tutto un “solido nulla”. Ce lo spieghi.
Siamo fatti di materia, siamo materia pensante, ma alla fine non siamo nulla. Viviamo in media settanta, ottanta anni, prima non c’eravamo, dopo non ci saremo più. Il nostro stesso pianeta tra un miliardo di anni sarà inglobato dal Sole. Le religioni sono servite per dare un senso a ciò che non si conosceva, ma oggi solo chi non conosce o non è abbastanza intelligente può credere. La teoria dell’evoluzione di Darwin è stata confermata dai fossili, dalla biologia molecolare, dal DNA. Sappiamo di cosa siamo fatti e come finiremo, è tutto ciò è avvenuto negli ultimi centocinquant’anni. Prima ignoravano tutto, ora non possiamo.
Nelle lettere a Giorgio Vallortigara, raccolte nel libro Lettere dalla fine del mondo (La nave di Teseo, 2021) scrive che preferisce la compagnia degli scienziati a quella dei letterati, che sembrano rimasti al Medioevo. Mettiamoci dentro pure molti filosofi. Con che occhi guarderanno queste foto?
Senza capirci un cazzo. Vedranno delle stelle e basta. Qualcuno dirà che sono bellissime ma per chi non si interessa di scienza non sono foto diverse da molte altre. I letterati, i filosofi, sono tutti preti, non possono fare a meno della metafisica, di dare un senso alle cose, ma in questo sono destinati a essere marginali. Come i nostri premi letterari, sempre libri provinciali, consolatori, sociali, potrebbero averli scritti due secoli fa.
Il dogma delle strategie di previsione: conosci le condizioni iniziali, puoi scommettere su come andranno le cose. Secondo lei a che punto siamo del percorso per arrivare a capirci davvero qualcosa? E che fine fa l’uomo in questa lunga, lunghissima storia?
C’è da capire cos’è la materia oscura, cosa l’energia oscura, e conciliare la relatività di Einstein con la meccanica quantistica. Ma nessuno si faccia illusioni: nella materia oscura non c’è il paradiso. L’uomo sparirà nel nulla, i dinosauri ci sono stati per 160 milioni di anni, noi ci siamo da appena duecentomila, dubito dureremo tanto. In ogni caso l’universo stesso si sta disintegrando, e tra decine di miliardi di anni non ci sarà più nulla, solo un infinito spazio freddo e nero. E sarà come se niente ci fosse mai stato.