Era sembre del 1992, Alberto Silvestri, uno degli autori di Amici mi aveva invitato a vedere quel programma. All’epoca era un talk show, non la scuola di musica e danza che conosciamo oggi. I protagonisti erano ragazzi e ragazze che portavano davanti a un pubblico di loro coetanei le proprie storie di vita: scuola, genitori, amicizie, amori. Era una trasmissione formidabile perché sparigliava in continuazione, senza preavviso, il giudizio sui fatti in discussione: i ragazzi esprimevano i loro problemi in un groviglio di emozioni senza dover ascoltare il parere dei grandi e le loro soluzioni: soltanto un dibattito tra loro. Man mano che la discussione procedeva, la matassa delle questioni diventava sempre più ingarbugliata perché non c’era una verità da raggiungere, un risultato, una giusta misura da ottenere. C’era un’assoluta, continua libertà di parola. Ma una cosa è sviluppare una simile discussione al chiuso di una stanza di casa o nell’accogliente sala di un caffè non rumoroso, altra cosa è portare tutoo questo davanti alla telecamera e farsi vedere da chi sta guardando la televisione.
Dunque, c’era bisogno di una regia che sistemasse gli interventi dei ragazzi senza... sistemare niente, cioè lasciando fluidità e naturalezza ai dialoghi. Un risultato raggiungibile a un’unica condizione, e cioè che la regia - il conduttore - riuscisse a entrare in una sintonia empatica non semplicemente e genericamente con i giovani, ma con la profondità di quel disagio che essi cercavano di comunicare. Ho trascorso la vita insieme ai ragazzi, miei studenti, che, certo, mi mostravano una dimensione parziale della loro vita, ma, comunque, molto significativa per arrivare comprenderne le sofferenze, le gioie, le speranze. Così mi chiedevo come Maria Dei Filippi riuscisse con poche battute a dare ordine, ritmo, tempi corretti (doveroso in una trasmissione televisiva), pur lasciando la vitalità di un disordine comunicativo. Maria entrava con una impensabile naturalezza nell’anima di quei giovani senza che se ne accorgessero, spostando così leggermente la discussione, vuoi insistendo sul tema, vuoi facendolo sfumare, ma rimanendone al di fuori, senza dare la sensazione di una presenza decisionale, direttiva. Guardando la trasmissione da casa, mi trovavo a fare una gara ideale con Maria, dicendomi adesso chiuderei quel ragionamento, adesso entrerei su quell’altro, proprio fidandomi della conoscenza che avevo dei ragazzi, del loro linguaggio, del loro non-detto, della loro aggressività o timidezza. Maria mi superava di gran lunga, perché dominava il mezzo televisivo e lo spirito da cui nasceva la dialettica dei ragazzi. Sono convinto che questo bagaglio, questa dote che le consentiva di andare miracolosamente a toccare in profondità il cuore di un giovane, Maria nel corso della sua carriera non l’abbia mai abbandonata, l’abbia sempre portata con sé.
Il cuore di un giovane è la cosa più complicata - e forse impossibile - da comprendere, e Maria, in modo del tutto naturale, riesce a metterlo a nudo, senza violarlo, senza manipolarlo. Sono doti comunicative, introspettive di cui Maria sa ricorrere per affrontare gli argomenti più diversi. Per esempio, quando conduceva Amici di sera (versione serale di quel primo Amici in versione talk, ancora senza performance, ndr) pur senza nessuna presunzione, pur senza volerlo, dava lezione agli psicologi che pensano di poter disporre ordinatamente su un piano razionale le complessità conflittuali familiari: Maria non dà soluzioni, ma nel suo toccare in profondità l’essenza del problema doloroso che si stava trattando, quasi senza farsi accorgere del suo intervento, ridimensionava, nella sfera di un accettabile buon senso, tensioni, litigi, disperazione, aspettative. Il successo si ha quando si raggiunge il centro del problema rapidamente senza finzioni: il successo di Maria è questo, e penso che all’origine ci sia quell’allenamento dialettico, sviluppato in tutti questi anni in cui è stata coinvolta nelle questioni giovanili di Amici, con cui è maturata la sua capacità di toccare con grande sensibilità la difficile, spesso indecifrabile, anima delle persone quando decidono - nelle forme più diverse - di mettersi in gioco.