Quando Alessandro Perugini (meglio noto come PeraToons) mi risponde al telefono sta guardando degli spezzoni online di Una pezza di Lundini. Mi cita un paio di battute e io faccio altrettanto. Discutiamo di quanto sia bello e al tempo stesso strano vedere un certo tipo di comicità sulla Rai e mi confessa che la prima volta non riusciva a capire se fosse qualcosa di vero e cringe o di ironico e geniale. Senza accorgercene siamo già entrati nei principali temi dell’intervista: la comicità, l’umorismo, il politicamente scorretto e la potenza dell’arrivare a così tante persone. Ma andiamo con ordine.
Partiamo da un ragionamento sui numeri. Che significa ogni mattina alzarsi e sapere che qualsiasi cosa tu faccia e dica, online hai circa tre milioni di persone pronte a leggerti e ascoltarti?
La vivo come una responsabilità, ma non mi sento solo e soprattutto non sento pressione. Se guardi con attenzione troverai tanti influencer o content creator che hanno un seguito simile al mio.
Definisci tanti perché forse non ti seguo…
Saremo cento, forse duecento.
Ma ti condiziona sapere che quello che disegnerai o dirai lo vedranno potenzialmente tre milioni di persone?
Direi di no. È una condizione a cui sono arrivato giorno dopo giorno e adesso non me ne rendo più conto. In ogni caso non penso mai al numero di follower per decidere se fare o non fare una cosa e come farla. La faccio e basta. Credo che una certa spontaneità sia anche quello che si aspetta chi mi segue.
Cioè, non ci pensi mai?
No ci penso, ogni tanto ci ragiono e dico Wow, con un fumetto animato ho raggiunto mezzo milione di persone in un giorno, ma non mi condiziona. Provo più difficoltà davanti a una diretta su ClubHouse o un’intervista per la Rai. Certo se al me del 2017 qualcuno avesse raccontato quello che sta succedendo oggi… beh non ci avrei creduto.
C’è gente che è in politica o pensa di scendere in campo con molto meno. Ne sei consapevole?
(ride, nda) Non scenderò in campo e mi guardo bene dal creare contenuti politici. Come diceva Michael Jordan voglio stare fuori sulla politica e stare concentrato sul basket. Il mio basket sono i fumetti e non voglio fare la morale a nessuno.
Scherzi a parte mi domando sempre cosa succede nella testa delle web star davanti a certi numeri. Pensi di essere cambiato?
Eh bella domanda. Ci stavo pensando proprio recentemente e credo che la risposta sia sì. Sono cambiato. Sono cambiati i miei valori. Ora disegno, uso quattro social, tante persone mi seguono, ho dei rientri economici interessanti e tutto acquista un differente valore. In primis il tempo.
Che è diventata una risorsa…
Prima non ero così fissato col tempo e con l’ottimizzazione del lavoro, mentre adesso cerco di non perdere nessun attimo. Ho diviso le giornate in fasce: la mattina faccio le cose creative, il pomeriggio quelle più ripetitive e la sera le cose tranquille. Sono diventato, come dice Montemagno, imprenditore di me stesso (ride ndr).
Sei il primo freelance che sa organizzarsi il tempo! Praticamente un unicorno…
Ci vuole volontà e abitudine. L’abitudine a volte lavora per te.
Un successo editoriale, il tuo, di cui si parla sempre troppo poco. Vendi come i grandi del fumetto italiano, ma non hai lo stesso riscontro mediatico. Come te lo spieghi?
Sono nato velocemente e sostanzialmente da solo, sui social, senza avere un mondo dietro che mi ha spinto e accompagnato. I primi due libri sono andati bene, il terzo sta andando benissimo, la gente inizia a notarmi, ma sinceramente ancora mi sento un outsider e sono felice di considerarmi tale.
Traducendo: ci vai coi piedi di piombo. Perché?
Mi fa strano vedermi accostato a grandi nomi come Zerocalcare o Leo Ortolani. Mi accostano spesso anche a Sio.
La dinamica tipica degli sketch che crei (video o fumetto) è più o meno sempre la stessa. Introduzione, assist involontario, freddura, faccia perplessa.
È una matrice che uso spesso, questa. La faccia perplessa la uso spesso per distaccarmi dalla freddura. Un modo per dire: se non vi fa ridere io non c’entro nulla!
Nei tuoi lavori nasce prima il fumetto o l’animazione?
Penso sempre in termini di fumetto. Poi lo adatto all’animazione. Perché poi anche le animazioni per me sono dei fumetti animati e non dei veri e propri cartoon.
Quanto ti aiuta nella costruzione del fumetto la tua formazione da grafico pubblicitario?
Tantissimo. Perché riesco a dare il giusto peso a tutti gli elementi che compongono la vignetta. Ho lavorato otto anni a Milano come grafico pubblicitario e avevo come clienti molte aziende del lusso, lì vige la regola del minimalismo.
A chi ti ispiri?
Leo Ortolani, su tutti. La mia espressione persa nel voto, in un certo senso riprende quella di Rat-Man. Ho letto tutto di lui e mi sono accorto che il mio stile assomiglia molto al suo, sperando che non legga l’intervista e si arrabbi. Poi attingo dalla comedy americana dai Simpson ai Griffin passando per How I Met Your Mother. Le serie tv americane e Ortolani sono i mattoni che mi compongono.
Ti domandi mai cosa farà ridere la gente nel futuro?
Ci penso spesso. E sono arrivato alla conclusione che più che domandarci cosa farà ridere, ritengo più utile domandarsi dove bisognerà essere per far ridere la gente quando questa vorrà divertirsi.
Dove?
Digitale più di qualsiasi altra cosa.
Cos’è l’umorismo?
È talmente difficile risponderti che ti do una risposta banale: l’umorismo è quando fai ridere.
Rendiamo la risposta meno banale?
È una questione di tempi. La stessa cosa detta con dei tempi differenti può sembrare sciocca e inutile o divertentissima. Per fare bene questo lavoro occorre però partire da un presupposto: non puoi far ridere tutti.
Domani squilla il telefono: dall’altro lato ti propongono di costruire da zero la linea comica di un personaggio dei fumetti. Chi scegli?
Spiderman. Sfigato, antieroe, una persona comune coi problemi di tutti. Uno Spiderman che dice freddure, e poi sconfigge i cattivi farebbe ridere. Sarebbe bello da leggere.
Stai già lavorando alle prossime cose?
Posso dire poco, ma con la Tunué siamo già al lavoro.