Bernardo Zannoni è stato, più o meno consapevolmente, dipinto come l’enfant prodige della letteratura italiana. Classe ’95, Premio Campiello (forse il più giovane di sempre) per la sua opera prima, I miei stupidi intenti (Sellerio, 2021). Un romanzo apprezzato da molti, una favola intinta di quel dilettantismo tipico dichi fa del minimalismo con qualche spruzzo di “lucido pessimismo” un modo per sembrare profondi. Aveva colpito molti, inspiegabilmente, l’idea di trasporre i turbamenti umani sugli animali, nonostante mancasse nel libro un vero appiglio letterario per premiarlo (in quanto romanzo, non come prodotto editoriale decisamente azzeccato). Tanto che Missiroli lo consiglierà in un modo talmente banale e sentito, da risultate sgualcito, consunto, di modo: “Leggetelo, leggete questo romanzo in stato di grazia”. Ma la Grazia è altro e altrove.
Ora esce il nuovo romanzo, stavolta con protagonisti umani. Si chiama 25 (Sellerio, 2023), perché immaginare un buon titolo era troppa fatica. Si racconta di una settimana abbastanza sfortunata di un personaggio, Gero (Gerolamo), venticinquenne e dunque al confine tra due vite, un ragazzo che vive appresso alla sua bassa autostima, nonostante le buone parole di zia Clotilde, che crede in lui. Un uomo, che ancora non si è scoperto tale, che si crede destinato a fallire. Un protagonista per cui provare simpatia se si hanno venticinque anni, un buon numero di fallimenti alle spalle e la convinzione data dalla statistica che se ne presenteranno presto altri. Nonostante questo lo scrittore fa di tutto per non farci affezionare alle maschere che porta in scena. E il motivo è uno solo, il virus degli stili involuti. Stili che, per non rischiare di sembrare fintamente barocchi, diventano fintamente o genuinamente costipati.
C’è chi, sui giornaloni, ha definito la scrittura “densa e intensa”, forse confondendo uno stile secco e elementare con uno oracolare, profondo, magari poetico. E invece, purtroppo, stile e storia sembrano essere esclusivamente il frutto di obblighi editoriali (un contratto pluriennale con la casa editrice?). Anzi, di questo e di un certo compiacimento che avrà portato Zannoni a pensare che, fatta franca una volta, replicare la lingua cambiando soggetto animale fosse un buon modo di restare a galla. E il problema quasi sicuramente non è suo. Sellerio è una casa editrice rodata e raffinata, che poteva permettersi di puntare su uno scrittore emergente che alla sua prima volta aveva convinto quasi tutti e che ora, anche per colpa della fretta, sembra aver perso consensi. Questo battere la fiacca in letteratura (che è in proporzione inversa con il battere la fiacca in termini contrattuali; visto che avrà sicuramente soddisfatto i suoi obbligo con l’editore) ormai viene accettato come prassi comune. Non ci si aspetta più uno Sciascia, o qualsiasi altro grande scrittore dotato di brevitas.