Le polemiche per la pubblicazione di un inedito di Davide Rondoni in un libro di Simone Pillon continuano. Nonostante la risposta del poeta romagnolo sia stata molto netta, abbiamo intervistato il giovane poeta Mattia Tarantino, direttore di Inverso – Giornale di Poesia, autore prolifico e tra le figure più impegnate nel settore tra le nuove generazioni. Il suo ultimo libro si intitola L’età dell’uva (Giulio Perrone Editore, 2021). Ci spiega dove ha sbagliato Rondoni e cosa avrebbe fatto lui. «Se i miei versi fossero piaciuti a uno come Pillon …». Intanto, il libro di Pillon è stato presentato a Roma.
La vicenda di Davide Rondoni è esplosa online per via di un nome, quello di Simone Pillon. Molti altri poeti, anche in passato, hanno scritto per figure controverse. Perché tutto questo clamore secondo te?
Ma cos’ha di controverso, Pillon? Le sue posizioni sono molto chiare. “Tutto questo clamore”… dove? Non mi sembra, in questi giorni, qualcuno si sia preso la briga di scrivere un articolo sui rapporti tra poesia, “gender” e transumanesimo alla luce di questa pubblicazione, né di parlare degli studi e dei volumi che, negli ultimi anni, hanno tracciato o esplorato questo campo. Cento cinguettii non fanno un dibattito.
La critica non si è mai concentrata sul testo in questione, ma solo sui rapporti di amicizia di Rondoni. Pillon, Salvini… Il problema è il rapporto tra poeta e politica?
Ancora una volta: quale critica? Ho letto qualcosa solo sulle vostre pagine, e quel che ho letto non era critico: era un tentativo di legittimazione, diciamocelo. A ogni modo, non mi sembra sia lì, il problema. La poesia è un modo come un altro – ovviamente con le proprie peculiarità – di produrre discorso. Come in ogni campo di discorso, anche nella poesia ci sono meccanismi di contrapposizione, di adiacenza, di verifica, di rottura. Una critica che badi solo al testo è una critica che dovremmo augurarci scompaia, e in fretta. Certo, il testo è il presupposto. Ma un testo, una volta pubblicato, si installa in un campo, lo delimita, lo contrassegna. Non è solo ingenuo pensare un’opera sia assoluta, svincolata: è una precisa presa di posizione. Abbiamo il privilegio di poter parlare in pubblico, e spesso senza dover lottare per ritagliarci questa opportunità. Non solo: abbiamo il privilegio di avere, davanti a noi, qualcuno che ci ascolta. Che ci ascoltino in due o in duemila, non possiamo fingere le nostre parole producano od occupino uno spazio autonomo, svincolato dal resto: produciamo discorso, per l’appunto. Altrimenti non avrebbe senso neanche pubblicarlo, un libro.
Ci sono molti poeti di sinistra, che hanno anche prestato la loro voce a manifestazioni come il Gay Pride. Se lo fanno loro va bene, se lo fa Rondoni no?
Anche in questa occasione, devo dirti che non penso sia qui, il problema. Ognuno ha le sue idee. Ma delle proprie idee, e dei propri lavori, bisogna assumersi la responsabilità. «Io sono libero di pubblicare dove cazzo mi pare e se Pillon, come chiunque altro, mi chiede un contributo, io glielo do». Ecco, il problema è qui: abbiamo l’opportunità di scegliere. Nessuno è fuori dal tessuto sociale, dal centro, se esiste, ai margini, fino a tutto quanto sta fuori addirittura da questi. Non c’è niente, proprio niente, di neutro. Dare un contributo a Pillon è dare un contributo a Pillon, darlo a un Gay Pride è darlo a un Gay Pride. In entrambi i casi è legittimo, chi lo nega? Ma bisogna riconoscere di aver scelto un campo, di aver contribuito a delinearlo, e non fingere che ci siano elementi di neutralità, zone franche nelle nostre scelte.
Si è parlato di potere culturale e di legittimazione, come se Rondoni spingesse il suo pubblico a condividere le idee di Pillon. Che ne pensi?
Se accetto di far pubblicare un mio testo in un libro, di partecipare a un volume, come posso pensare non sia così? Lo ripeto: siamo liberi di schierarci. Purché si riconosca di farlo. Non prendiamoci in giro, che lo vogliamo o no di zone libere dal politico non ce ne sono, dall’alimentazione al sesso alla morte. Figuriamoci quando pubblichiamo ciò che scriviamo.
Nella nostra intervista Rondoni ha detto che chi vuole fare politica «faccia politica e non poesia». Tu vedi più poeti o più politici nell’ambiente letterario?
Non capisco. Anche se parlo d’amore produco un discorso politico. Anche il modo in cui amo qualcuno costituisce un punto di installazione, innesto, rielaborazione ed estrazione del politico. Senza questa consapevolezza possiamo tranquillamente scrivere un diario e tenerlo nel comodino. Non dico che sia bello, ma dire il contrario è insostenibile.
Tu pubblicheresti una poesia nel libro di un politico?
Tutti i miei libri sono libri politici. Ti dirò, se un giorno dovessi scoprire che i miei versi piacciono a qualcuno come Pillon lavorerei duramente per cambiare qualcosa nel mio pensiero e, più in generale, nel mio modo di stare al mondo. Per fortuna so che piacciono di più alle persone che incontro ai Pride. Ma questo sono io: a qualcun altro può far piacere il contrario e parlerebbe con la stessa radicalità di questa mia posizione. D’accordo, parliamone. Purché ce ne si assuma la responsabilità, però. Si dica: “Mi fa piacere stare in quel campo, ne condivido a grandi linee le idee, e alcune fino ai particolari. Nessuno mi ha puntato una pistola alla tempia per prendere parte a questo libro o a questa iniziativa; l’ho fatto felicemente, con piacere”. Altrimenti ci prendiamo in giro, e ogni ulteriore discorso è impossibile. Anche se, torno a dirlo, quel tipo di discorso è già una presa di posizione. Sappiamo da dove proviene, come si è sviluppato e come si articola. Ho scelto di rispondere a questa intervista proprio per ribadirlo. Più in là si parlerà dei testi, dei versi, magari saranno anche belli. Per ora spero che dopo queste parole qualcuno affronti questi temi e metta in circolo del dibattito critico gli studi che li trattano. E che, permettimi un’opinione di parte, schieratissima, hanno contribuito a darci un po’ di anticorpi e a farci indignare dei discorsi che limitano, squalificano, disprezzano e tentano di governare le libertà degli altri.