Il prossimo Nobel datelo a Ove Knausgård. Lo scrittore di Oslo (ormai mezzo londinese e mezzo svedese) che gioisce per la recente vittoria di Jon Fosse, forse non sa di essere migliore di lui. Knausgård ha un talento che hanno in pochi: scrivere romanzi lunghi perché quei fottuti romanzi devono essere lunghi. Non è un modo di darsi spessore, è che le cose vanno così. Scrivi un libro sulla tua vita? Ne diventano sei. Li intitoli La mia battaglia (tutto Knausgård è pubblicato in Italia da Feltrinelli). Diventano un’opera monumentale, non sono per la mole ma per il senso. È come leggere le Confessioni di Sant’Agostino, ma dal punto di vista di un nordico senza redenzione. Anzi, è come leggere la trascrizione dell’interrogatorio di Sant’Agostino a Knausgård. Insieme a Le quattro stagioni (altri quattro volumi), La mia battaglia è il motivo per cui vincerà il Nobel. Per cui deve vincerlo. Ma dieci anni di distanza torna, dopo la Pandemia, con un libro completamente diverso, un trattato sull’Apocalissi, La stella del mattino (Feltrinelli, 2022) a cui seguirà, nel 2023, I lupi nel bosco dell’eterno, un dittico fatto di profezie narrate e sedute di pugilato con l’immobilismo delle cose eterne. SI parla di morte, di stasi, di attesa, di inevitabilità. Si parla di tutto quello che oggi sembra intangibile, inspiegabile. E che viene oggi completamente trascurato, tanto da privilegiare il resto del mondo a ciò che, quel mondo, lo inghiotte. Ove Knausgård mette dei granchi nel bosco, una sfera di luce, “la stella del mattino”, in cielo e personaggi disorientati (una pastora luterana che crede il suo matrimonio sia finito, un marito che deev accudire i figli nella casa delle vacanze mentre la moglie, lì con loro, soffre di una gravissima malattia e così via) sulla terra. Gioca a fare Dio e lo fa bene, per quanto possa riuscirti il Suo lavoro se sei un uomo, se sei uno scrittore.
A reggere l’intero romanzo è un senso di inquietudine dovuto alla sensazione di essere rinchiusi, in prigione, pur consapevoli che la stella del mattino arriverà anche per noi, ci riguarderà. Il fatto che il libro sia stato scritto per un terzo prima del lockdown aggiunge un carattere profetico ulteriore al libro, perché Knausgård, il covid, sembra averlo previsto. Ma la stella del mattino è Gesù. La stella del mattino è il Diavolo. È un nome che vale per l’estremo bene e l’estremo male, le due estremità tese della corda dell’universo. E la tensione produce aurore boreali, spettacoli di luce che sembrano mute, silenziose, sembrano bloccare la realtà e la vita. È quello che fa Knausgård nei suoi romanzi e soprattutto in questo. Tutto si prende una pausa, perché sta per accadere qualcosa di grosso. Non si sa cosa sia, non lo sa neanche lui, ma è lì, gonfio sopra le nostre teste, un destino, un senso, una teoria del tutto che solo gli scrittori sanno offrirci. Ce la offrono senza dircela, la confondono con la vita, come deve apparire a loro e come deve essere in sé, la verità. “So cosa vuol dire quella stella. Signifca che è cominciato”.