Diciannove è il suo esordio, il film presentato alla Mostra del Cinema di Venezia che racconta la storia di un ragazzo schiacciato dal peso del mondo. Università, relazioni, incertezze. Finalmente un cinema che guarda in faccia i disagi reali, le sfide quotidiane, senza filtri né retorica (ve ne avevamo parlato qui). Un immaginario che richiama inevitabilmente Guadagnino (non a caso tra i produttori) e che, in qualche modo, sembra appartenere anche alla vita del regista, Giovanni Tortorici. Perché come ci ha detto, dentro c'è tutto se stesso. Noi lo abbiamo incontrato per chiedergli se il suo racconto è riuscito a parlare ai suoi coetanei come un tempo faceva Nanni Moretti con Ecce Bombo o Sogni d’oro. E se davvero aveva ragione Pupi Avati quando diceva che il grande cinema italiano nasce dal Sud, perché lì l’Italia esiste ancora, incastonata e vera. Mentre il suo prossimo film...

Giovanni Tortorici. In queste settimane hai presentato Diciannove insieme a Luca Guadagnino (che è tra i produttori del tuo film). C'è stato un commento da parte del pubblico giovane che ti ha particolarmente colpito?
Mi avevano colpito le parole di un sedicenne che mi aveva detto di sentirsi molto turbato dopo la proiezione del film. Mi aveva raccontato che si rispecchiava nel personaggio, che aveva la stessa confusione identitaria, e che dopo aver visto Diciannove aveva avuto una sorta di catarsi, che lo aveva spinto a prendere strade diverse da quelle che stava percorrendo. Mi ha emozionato sapere che, in qualche modo, il film fosse riuscito a cambiare, almeno momentaneamente, la vita di qualcuno. È stato molto bello.
Nel cinema italiano sembra che sia sempre molto difficile raccontare la realtà, i problemi dei ragazzi, quelli veri, come la scelta di una facoltà. Quando hai pensato al tuo film, Diciannove, eri consapevole di questa mancanza?
Onestamente, non ci pensavo tanto. Nel momento in cui scrivevo il film, non pensavo molto a quello che succedeva nel panorama generale del cinema. C’era sicuramente una intenzione molto forte di fare un film realistico, ma non pensavo al contemporaneo. Pensavo molto più a quello che volevo fare io, senza metterlo in relazione con quello che c'è nel cinema. Forse inconsapevolmente sì, ma non era una preoccupazione centrale.
Pensando anche ai film di Moretti, un tempo c'èra una forte identificazione tra i giovani spettatori e i personaggi di film come Ecce Bombo, perché si sentivano davvero rappresentati. Il tuo film in questo ha un’adesione simile, descrive fasi della vita che abbiamo vissuto tutti. Se potessi tornare parlare con il te stesso di 19 anni, che consiglio gli daresti per affrontare il mondo?
Un dialogo possibile tra il me di oggi e quello che aveva diciannove anni è un po' racchiuso nel dialogo finale del mio film. Gli parlerei con affetto con strumenti analitici un po' più pertinenti rispetto a come fanno altre figure autoritarie del film. Penso di aver scritto quel dialogo anche per bisogno di staccarmi dall'intimità del personaggio, per metterlo un pochino a nudo.
In questi anni hai collaborato con Guadagnino. C’è qualcosa della tua esperienza con lui che si è riflesso nel tuo film?
Sì, sicuramente. Lavorare con Guadagnino mi ha impressionato molto, non solo per il valore artistico eccellente dei suoi film, ma anche per il modo in cui lavora sul set. Il punto di vista pratico che possiede. La sua capacità di relazionarsi con i collaboratori e i produttori, aver assistito a come lui lavora con superstar o personalità molto affermate nel settore, tutto questo mi ha trasmesso un grande senso pratico.

Il film Chiamami col tuo nome ha avuto un'influenza su Diciannove?
Direi che a livello diretto no, non c’è stata un’influenza. È un film che ho amato molto e che ha toccato dei punti nuovi nella cinematografia che mi hanno interessato, e che ho approfondito. Non in maniera diretta, ma sicuramente è un film che fa parte del mio immaginario, ed è molto importante per me.
Pupi Avati ha rilasciato un’intervista in cui afferma che il grande cinema italiano venga dal sud perché lì c'è ancora l'Italia. Da giovane palermitano, cosa ne pensi? Confermi?
È interessante. Non mi verrebbe da generalizzare così tanto, non credo che si possa dire che il cinema sia solo al sud o solo al nord. Credo molto nelle singole personalità. La provenienza da Palermo, per me, è sicuramente un valore che arricchisce il mio lavoro.
Dopo Diciannove, che racconta parte della tua storia, hai già in mente una nuova storia? C'è qualcosa di nuovo che stai sviluppando?
Sì, Diciannove è davvero molto autobiografico, c'è tutto me stesso. Dopo aver finito il film, mi è capitato di leggere una vecchia sceneggiatura che avevo scritto a 23 anni, che parlava di sedicenni nel 2012. Rievocava un mondo che avevo un po' dimenticato, alcune dinamiche e mi ha colpito molto questa parte di me che sembrava quasi essersi sgretolata nel tempo. Così ho deciso di riprenderla e scrivere una nuova storia, che parlerà di sedicenni a Palermo nel 2012.

