Una miniserie non è né una serie che non ce l’ha fatta né un film diviso in parti uguali. È piuttosto una sorta di inchiesta, che deve essere analitica, diretta, sintetica. Non può permettersi di aggiungere particolari inutili, non può evitare di estrarre da una storia tutto.
Adolescence potrebbe essere la miglior miniserie che Netflix abbia mai prodotto e una delle migliori in assoluto. Secondo il Guardian è così. Per dirlo forse di dovrebbero vedere una miniserie al giorno per i prossimi dieci anni, ma fra dieci anni Adolescence potrebbe non essere più in trend o, cosa più probabile, Jack Thorne e Stephen Graham potrebbero regalarci un altro capolavoro persino superiore.
Si tratta di quattro episodi, ognuno con un unico piano sequenza. Dal punto di vista tecnico pare sia difficilissimo, sia per il regista che per gli attori, reggere la telecamera per così tanto tempo e farlo in modo così tragico. Perché questa è una storia che non ha vie di uscita, lato positivi, spiragli di luce.
È proprio come l’adolescenza, ma senza infanzia ed età adulta, un buco nero infinito fatto di ormoni, compagni di classe cattivi, isolamento dal resto del mondo, pessime idee, pessime reazioni. Molta rabbia anche.

Jamie Miller (interpretato dal quattordicenne Owen Cooper) ha tredici anni, sta dormendo sotto le coperte blu con navicelle spaziali nel letto della sua camera quando una squadra di poliziotti fa irruzione, sfondando la porta, e lo porta via con l’accusa di omicidio.
Non serve molto per capire che è colpevole. Durante un interrogatorio gli mostrano il video in cui accoltella Katie, una compagna di classe. La storia copre tredici mesi, quelli prima del processo, e ci si concentra sulle indagini, sul dialogo tra Jamie e una psicologa (donna) e la reazione della famiglia, soprattutto del padre.
In effetti il padre (proprio Stephen Graham) è fin da subito il punto di riferimento di Jamie, che lo vuole con lui nella sala dell’interrogatorio? Spera che gli sia complice, che lo sostenga a prescindere? Una sorta di fedeltà al clan dei maschi? La madre (Christine Tremarco), quando sa che il figlio non ha chiesto di lei, si domanda perché.
Quando Jamie li chiamerà dal carcere minorile per dar loro una notizia fondamentale, lei e la sorella (Amelie Pease) proveranno a dialogare con lui, ma il ragazzo dimostrerà di essere totalmente indifferente, anzi a disagio, al loro tentativo di dimostrare affetto.
Jamie è quello che alcuni chiamano incel? Katie, la ragazzina uccisa, pare pensarlo. Jamie, infatti, veniva bullizzato sui social dalle sue compagne, anche dalla vittima. L’ispettore Luke Banscombe (Ashley Walters) lo scopre grazie al figlio con cui non parla, che lo prende da parte e gli spiega il significato di alcune emoji. Sarebbe uno di quei ragazzi che non piace alle ragazze e sa di non piacere. Fa parte di quell’80% che non troverà una fidanzata, mentre il 20% avrà la strada spianata con l’80% delle femmine. È questo il calcolo perverso, basato sul principio di Pareto, inventato da chi, come Andrew Tate, è diventato il guru dei maschi feriti.

Questo basta a spiegare perché Jamie abbia ucciso con violenza (vari colpi su tutto il corpo, anche quando era ormai a terra) Katie? Perché non ha ucciso nessun’altra ragazza? Katie le piaceva e si sentiva rifiutato? L’ex ragazzo di Katie aveva diffuso delle foto private della ragazza e lui, pur avendole viste, aveva provato a mostrarsi solidale con lei pur di avvicinarla. Tuttavia Katie e le amiche continuavano a considerarlo “inavvicinabile”. Ma anche questa è solo la superficie: la gentilezza di Jamie era genuina o solo una strategia per conquistarla?
La verità è che lui non lo sa e lo dimostra nell’ultima seduta con la psicologa Briony (Erin Doherty): lei cerca di conquistare la sua fiducia con una cioccolata calda e marshmallow, metà del suo tramezzino, e gli chiede di parlare di suo padre, cioè del suo modello maschile. Lui, invece, si mette sulla difensiva e dà di matto. Poi torna la calma, ma non sparisce la tensione. Lei inizia a fargli domande più intime, sul suo orientamento sessuale, sulle sue esperienze con delle ragazze, e lui non capisce se siano domande “concordate” o meno, se lei, cioè, possa farle. Se lo chiede perché non crede siano domande deontologicamente appropriate o perché la dottoressa è una donna?
Adolescence è quel che si dice un “affresco”, ma il termine è stato abusato così tanto che ormai non vuol dire più nulla. Eppure questa miniserie è la cosa più simile alla realtà che vedrete sul tema, anzi i temi, centrali tra i rapporti tra uomini e donne, soprattutto a quell’età, nell’era dei social. Tutte le domande restano aperte e la serie ha il pregio di riuscire a porne alcune anche allo spettatore, il vero protagonista di questa storia.
Quando avete scoperto che Jamie era vittima di bullismo, avete pensato che l’omicidio, per quanto un gesto estremo, andava contestualizzato? Il fatto che Katie lo avesse bullizzato fino a pochi minuti prima vi ha fatto provare odio per la ragazzina o vi ha fatto dire che se l’era cercata? E qual è la colpa dei (vostri) genitori? Del padre soprattutto. Se tutti gli studenti sapevano, perché nessun insegnate ha capito quello che stava accadendo (a voi)?
