Per chi scrive Il Sogno di Roberto Benigni, andato in onda ieri su Rai1, è stato un incubo. Un immenso e retorico spot a “questa” Europa dissimulato dal racconto ipocrita di ciò che l’Europa dovrebbe essere. Uno show in puro stile midcult, per un pubblico di acculturati o aspiranti tali, adatto a coloro che sovente dicono “non ho capito quello che ha detto, ma come lo ha detto bene!”. L’incubo, invece, è andato in onda per coloro che hanno capito bene le parole dell’ex comico tendente guru; come ha ben scritto Riccardo Canaletti “buono per tutte le stagioni”, modello Giuditta insomma. Non si può parlare bene dell’Europa e al contempo citare il Manifesto di Ventotene, perché se gli autori di quelle pagine avessero visto l’Europa di oggi si sarebbero buttati giù da una scogliera dell’isola. Anche di quell’esperienza al confino su Ventotene è stata fatta carne da macello, oggi viene raccontata (vedere Un altro ferragosto, di Paolo Virzì) come un gruppo di radical chic in un’isoletta, con gli abiti di lino adeguatamente stropicciati, gli occhialini rotondi, ad una adeguata distanza dalle brutture dell’Italia fascista, pensavano, discettavano, si facevano delle domande e si davano delle risposte in attesa dello spaghettino alle vongole.

Dire, o anche solo pensare, che questa Europa abbia a che vedere con l’esperienza di Ventotene è una bestemmia, un sogno andato a male. Questa è l’Europa delle banche. L’unica cosa che la tiene appiccicata, come una sputo sulla dignità dei lavoratori, sono i debiti pubblici, la capacità di stampare denaro (o meglio, di non stamparlo) a prescindere dalle riserve auree, secondo la decisione di tecnocrati cresciuti e allevati dalle stesse banche (d’affari) grazie alle quali poi vengono messi lì a decidere roba come l’unica inflazione a favore degli istituti bancari grazie al cambio lira-euro: una genialata, se il genio fosse unicamente diabolico. Inoltre, attribuire ai confinati a Ventotene la paternità (o maternità, siamo woke) dell’Europa è un falso del quale solo la midcult di Roberto Benigni e del suo pubblico possono bearsi. Il vero teorico dell’Europa, è cosa nota, si chiama Jacques Le Goff, uno storico medioevale, che ha ben spiegato come l’identità europea sia nata nel Medioevo come identità culturale. Quale identità culturale ha oggi l’Europa se non quella della moneta? Una Europa dal braccino cortissimo che si sta apprestando a diventare generosissima con l’industria bellica. E dal “sogno” di Benigni pare che questa sia pure una cosa buona e giusta. Volete sapere cosa avrebbe detto il buon vecchio Benigni dello sventrapapere, il Benigni di Berlinguer, il Benigni che perculava Pippo Baudo e Raffaella Carrà prima di diventare egli stesso la versione bovaresca (da Madame Bovary) dei due? Avrebbe detto: “Sì, riarmiamoci, sono d’accordo, d’accordissimo, imbracciamo i fucili, difendiamo i nostri confini, andiamocene in giro tutti con un coltello alla Rambo tra i denti, non si sa mai. Però, adesso, i soldi per il riarmo dell’Europa ce li deve prestare l’Ucraina. Dove sei Zelensky, firmaci un assegnino!”.
