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Il Travaglio quotidiano del Fatto

  • di Matteo Cassol Matteo Cassol

4 agosto 2021

Il Travaglio quotidiano del Fatto
Il giornale fondato nel 2009 da Antonio Padellaro, nato dichiaratamente per essere di opposizione (nei confronti di Berlusconi, ma pure del Pd) e fiero della propria indipendenza anche economica, negli ultimi tempi sotto la direzione di Marco Travaglio sembra essersi perso e impantanato. Prima ha smarrito la propria autonomia in termini di linea editoriale sposando la causa del Movimento 5 Stelle, poi è diventato filogovernativo quando i grillini sono andati al potere e da allora ha continuato a essere acriticamente (e misteriosamente) una sorta di fanzine di Giuseppe Conte, preferito addirittura allo stesso Beppe Grillo: così ogni legittima e opportuna critica all’ammucchiata capitanata da Mario Draghi, dalla quale peraltro trasuda un livore senza precedenti, difetta di credibilità

di Matteo Cassol Matteo Cassol

C’era un tempo in cui il Fatto era (o poteva essere) tra i primi quotidiani da leggere quando si trattava di cronaca politica. Era un giornale di mastini, sicuramente un po’ (tanto) faziosi soprattutto quando si parlava di Berlusconi (cioè quasi sempre: quanto manca e a quanti, Berlusconi), giusto un pelino manettari, ma efficaci nella pars destruens contro il potere e con parvenza (e rivendicazione) di indipendenza pressoché assoluta. Una rarità, se non un unicum, nel panorama della stampa italiana. Una rarità che ora sembra essere venuta meno, come tende a venir meno la voglia di leggere i pezzi di contenuto anche solo in parte politico del giornale diretto da Marco Travaglio (mentre su altri argomenti c’è poco da obiettare e a riprova di ciò anche a MOW capita di riprendere alcuni di quei pezzi).

Cos’è successo? È successo che nelle sue pagine iniziali il Fatto è diventato o comunque non ha fatto nulla per non dare l’impressione di essere diventato prima un “house organ” del Movimento 5 Stelle (con l’inatteso arrivo al Governo dei grillini che ha costretto per la prima volta Travaglio a venir meno al ruolo di efficace oppositore) e poi, ancor più inspiegabilmente, una sorta di fanzine di Giuseppe Conte: una linea editoriale che stando ai retroscena non ha necessariamente incontrato il gradimento di almeno una parte della redazione.

È vero che anche altri giornali erano smaccatamente e sciaguratamente contiani quando Conte contava qualcosa, ma, avendo come principale e forse unica ragione di vita quella di accarezzare e blandire il potente di turno, nel giro di qualche ora avevano giubilato il sedicente avvocato del popolo (come avevano “dimenticato” delle amorevoli attenzioni riservate a Renzi e a tutti quelli prima di lui) per infatuarsi perdutamente a prima vista del presunto salvatore della patria Mario Draghi.

Sotto questo aspetto, il Fatto è stato coerente, è rimasto (sempre troppo) contiano, ma la coerenza non cura il peccato originale: da giornale indipendente, contiano non lo sarebbe mai dovuto diventare, tanto più perché stiamo parlando di essere fan di Giu-sep-pe Con-te. Non di Antonio, che già ha i suoi limiti, ma di Giuseppe. Uno che secondo Beppe Grillo, quello che ciononostante (o forse proprio per tale ragione?) lo ha fatto diventare presidente del Consiglio, “non ha né visione politica né capacità manageriali”. Uno che uno come Travaglio potrebbe (e dovrebbe) fare giornalisticamente a pezzi usando anche solo un mignolo.

Dopo la cacciata da Palazzo Chigi del personaggio costantemente “assistito” da Rocco Casalino, il Fatto ha assunto una linea percepita come da vedova non solo a lutto, ma pure livorosa. Una linea a causa della quale agli occhi di un lettore neutrale si è persa ogni residua percezione di obiettività. Una volta rimasti con Draghi, i ministri e gli alleati che quando c’era Conte andavano bene per il Fatto sono improvvisamente diventate delle ciofeche, quando non dei criminali (o non è vero, o andava detto prima).

E il palese tifo per Conte scredita anche la meritoria azione di vigilanza giornalistica nei confronti dell’ammucchiata governativa draghiana, quel giornalismo “contro” (o meglio, quel giornalismo e basta, che in quanto tale dovrebbe fare le pulci al potere e vigilare sulla democrazia: si perdoni l’uso di questi paroloni) che mai come oggi sarebbe necessario, essendo latitante da parte di quasi tutte le altre testate. Ma da ogni articolo a contenuto politico del Fatto traspare una maschera filocontiana che mette a repentaglio la credibilità di ogni intervento. Come quello di Travaglio contro Draghi: “Non capisce un cazzo, né di giustizia, né di vaccini, né di sociale”, ha detto. Ok, ma Conte, quello che in cinque secondi sbaglia due congiuntivi, ne capiva o ne capisce?

Professore ordinario nelle Università italiane, già Presidente del Consiglio dei Ministri.
pic.twitter.com/GyTTYmuibS

— Rocco Todero (@RoccoTodero) July 18, 2021

E Di Maio, che è al governo con Draghi, ne capisce? Quando indossi la divisa di una delle due squadre, tra l’altro di quella più scarsa, poi non sei più credibile come arbitro.

Sarebbe ora che Travaglio bruciasse la bandiera del contismo e tornasse a fare giornalismo. Velenoso, aggressivo, quello che gli pare. Ma giornalismo. Non fanzine. Dal giornale di fede contiana al telegiornale di Emilio Fede il passo è breve. Ed è un passo che pare sia già stato fatto dal Fatto. Ma almeno Emilio Fede faceva ridere, mentre scelte come quella recente del fotomontaggio in cui Conte prende a pugni Draghi e la Cartabia più che altro paiono ridicole. E tra Berlusconi e Conte c’è un abisso direttamente proporzionale ai milioni di euro posseduti dall’uno e dall’altro.

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Un fotomontaggio comparso sul Fatto

Fatto, torna quotidiano, tutto è perdonato. Anche la Lucarelli. Anche lo Scanzi. No, dai, non esageriamo.

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