In Sicilia la Liberazione non c’è mai stata e anzi ha sancito definitivamente uno stato di schiavitù dei siciliani (aiutata, bisogna dirlo, da una profonda fascistitudine dell’anima ancora più marcata di quella dell’ita(g)liano medio, e anche di quello alto, e anche di quello basso). Qui vicino c’è Cassibile, dove nel ‘43 si firmò l’armistizio, mio padre mi ci portava in visita - ci sono ancora le fondamenta della casetta rurale dove si incontrarono Castellano e Bedell Smith (in altre culture, in altre civiltà, la casetta sarebbe stata ristrutturata, vi si sarebbe fatto un piccolo museo, un luogo della memoria) - e l’unica cosa alla quale mi faceva rendere omaggio era la fine della vergognosa persecuzione contro gli ebrei. Era una gita quasi liturgica, come tutte quelle fatte con mio padre, poche parole che in questa maniera acquistavano importanza e svelavano tutto il resto con il silenzio.
Il motto, in Sicilia, non fu ”arrendersi o perire” pronunciato da Pertini, ma il “non si parte ma indietro non si torna”, con il quale i siciliani si rifiutarono di arruolarsi nell’esercito che combatteva per la liberazione (in Sicilia la lotta fu scaricata sulle spalle degli inglesi). Dovrebbero scrivere questo tutti gli scrittori avvoltolati nei velluti metafisici e polverosi dell’aggattopardamento, che ultimamente fa così chic, come se il siciliano aggattopardato fosse un sofisticato flaneur e non l’imbecille attorniato di cineserie quale effettivamente è. La verità è che il “non si parte, ma indietro non si torna” era il motto perfetto per tenere i siciliani in quella assoluta immobilità che conveniva a tutti. Ai repubblichini che fecero passare il motto come un’adesione passiva alla Repubblica di Salò, dimentichi del “ma indietro non si torna” che sanciva la presa di distanza dal nazifascismo, e fu comodo anche agli alleati, che in Sicilia avevano stretto patti d’oro con la mafia, alleanza che non voleva certo siciliani attivi e svegli e indipendenti e consapevoli. Ed ecco che la Liberazione in Italia sancì la passività nei confronti del nazifascismo (e conseguente orgoglio degli attuali fascisti siciliani) e l’alleanza con la mafia (e conseguente orgoglio di appartenenza mafiosa). Ma che minchia dobbiamo festeggiare?
Oggi il presidente della Regione Sicilia è Nello Musumeci, che nel 1986 scrisse un libro in omaggio alla figura di Filippo Anfuso, forse il più filonazista dei fascisti, e nel 2020 parlando del Ventennio lo descrisse come lo descrivono tutti i nostalgici: “Ci furono momenti di buio ma anche tanti momenti di luce, penso alle infrastrutture e al recupero dell’identità culturale”. E infatti oggi il nostro assessore ai Beni Culturali e tale Alberto Samonà, che a trent’anni – dunque manco tanto adolescente - scriveva poesie in onore delle SS, definiti “monaci dell’onore” e non teste di cazzo. Per dovere di cronaca ricopio anche il post in cui Samonà si difende da questi attacchi (ma quale attacco, lui l’ha scritta la poesia): “Leggo un articolo su Il Fatto quotidiano di oggi che mi dipinge come una sorta di pericoloso post-nazista dei miei anni giovanili. Premesso che il nazismo è stato un orrore della storia e va condannato senza appello, è fin troppo facile creare ‘scoop’ quando non vi è alcuno ‘scoop’. Nell’articolo, pubblicato nell’edizione odierna de Il Fatto quotidiano”, infatti, si fa riferimento a un libro di poesie pubblicato circa vent’anni fa, nel quale avevo inserito, a mo’ di elenco, una carrellata di esempi che in varie epoche storiche avevano rappresentato espressioni diverse di riferimenti storici legati a tematiche esoteriche o metafisiche. Un libro, peraltro, che non aveva niente a che vedere con la politica. Fra questi esempi ce n'era uno sul cosiddetto ‘nazismo esoterico’. Nello stesso testo, però, vi erano poesie che parlavano di Islam, del mago britannico Aleister Crowley, di spiritualità ‘New Age’ anni Settanta, di paganesimo antico, di magia, del mistico francese Louis de Saint Martin e di altri svariati esempi, narrati sempre quali testimonianze storiche relative a quel tipo di dinamica”.
La toppa sembra peggio del buco.
In molti abbiamo visto la serie “Hunters”, con Al Pacino, dove a distanza di decennni si cercano i nazisti che si nascondono sotto false identità per prenderli a calci nel culo. Adesso, non dico che bisogna prendere a calci nel culo Samonà (anche se Nello Musumeci ricorda ancora con affetto gli anni giovanili in cui faceva le risse con gli appartenenti ai comuni vicini per questioni di identità), ma quantomeno non nominarlo assessore ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana (considerando anche il fatto che è in quota leghista)? Il 25 andrò a fare visita ai ruderi di Cassibile, celebrerò in silenzio la fine della persecuzione degli ebrei, e poi, liturgicamente, manderò tutti i siciliani affanculo.