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“Inventing Anna”: ci dispiace ma i veri cattivi siete voi

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

20 febbraio 2022

“Inventing Anna”: ci dispiace ma i veri cattivi siete voi
La nuova serie di Shonda Rhimes su Netflix fa incetta di spettatori e non cessa di far parlare di sé. E se la protagonista Anna, truffatrice di fama internazionale, non fosse la vera “villain”?

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

In pochi giorni è diventata la serie più vista di Netflix, e suscita, a ragione, dibattito. “Inventing Anna” ha un impatto devastante soprattutto su coloro che devono scriverne. Me le vedo, le giornaliste (e i giornalisti, ça va sans dire), punzecchiate e infilzate dalla serie, magari vista in compagnia di altre giornaliste (sì, e giornalisti, ma non lo ripeto più: le protagoniste sono al femminile, quindi non rompete), mentre vengono inchiodate/i per vermi quali sono. Partono così le (difficili) stroncature a questo capolavoro, i duepallosissimi “distinguo” dietro i quali cercano di nascondersi chi di immagine e moda e arte e tutto quanto piace alla gente che piace (a voi, beninteso). Ma qualcuno, da qualche parte, l’ha fatta la domanda giusta: Anna è una “villain”? È un mostro venuto dalla campagna a fare del male alle brave ragazze e ai bravi affaristi di New York, in stile “Halloween”, “Venerdì 13”, “Non aprite quella porta?”. Ma sì, sì! È la risposta entusiasta! È una “villain” venuta dalla Russia, suo padre fa, tipo, il meccanico; la sua famiglia non la vuole bene, sapete com’è questa gente di campagna; non hanno neanche i mezzi per l’affetto, sono minorati, bestie: Anna è una mente intelligente innestata sul corpo di una bestia, di una villana, di una ragazza di campagna. E invece no, col cazzo.

Anna si fa una semplice domanda, che è quella che ci facciamo tutti: a che cazzo servono le banche se prestano soldi soltanto a chi li ha? E in questa storia piena di parvenu, di arricchiti, di poveri con due stracci addosso che vogliono dettare e moda e stile e influenzare mentre si sente il sudore della povertà e della paura, la vera villain viene mostrata, benissimo, si vede, è lampante, ma nessuno lo dice perché è uguale a voi: è Rachel. La vera arrivista, la vampira, è lei che vuole due suite o che prende la porzione da sei portate perché “con quella da quattro restiamo con la fame”. La serie è girata così bene che si intuisce che le sudano i piedi. E’ Rachel che vuole potere, Anna lo sta soltando sfidando, in maniera ingenua, Anna è un Candide di Voltaire: Rachel è Leatherface.

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E io, voi, ne conosciamo a tonnellate, come Rachel: affamate del potere della parola perché non hanno altro, corteggiate soltanto da chi è più in basso di loro nella scala sociale (nella serie quello sfigatone del reporter) mentre ambirebbero a ben altro, invidiose e vendicative, al servizio di un sistema dell’immagine fatto da Dée alle quali loro sono consapevoli di non potersi avvicinare mai, schiave consapevoli di un sistema che le logora ogni giorno di più e contro il quale cercano di vendicarsi con stilettate, battutine che sanno di scorreggine, aperitivi ikeizzati, parquet tristissimi, viaggi orribili, nascondendo i gadget nelle borse prese chissà dove (non voglio indagare, mi verrebbe da piangere). Mi dispiace: è Rachel la vera villain. Siete voi.

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