Il 2 febbraio 1922, Sylvia Beach – proprietaria della libreria Shakespeare and Company di Parigi – e il tipografo Maurice Derantière consegnano due copie dell’Ulysses a James Joyce, in occasione del suo quarantesimo compleanno. Parte cent’anni fa la pubblicazione del capolavoro letterario del Novecento che usa la tematica più semplice usando gli artifici più complicati: quel fiume di pagine che racconta una giornata di vagabondaggi per Dublino attraverso una serie di personaggi che compaiono e scompaiono, narratori che raccontano i loro pensieri attraverso monologhi interiori e accessi declamatori, attenti a ogni dettaglio che gira loro nella testa o nel mondo circostante, in un flusso continuo che sembra non voler mai fermarsi. E tutto questo nasce sfidando la censura inglese e americana, con una galassia di dialoghi spinti, bizzarrie verbali, atteggiamenti eccessivi e borderline, anche cose che in un romanzo non ci sarebbero dovute stare – ad esempio andare di corpo – e che qui invece vengono naturali, insieme a passioni e atteggiamenti che si scatenano senza freni. E sembra il linguaggio il vero protagonista, perché è come se Joyce passasse in rassegna l’evoluzione linguistica della tradizione inglese facendone una parodia, dai fasti anglosassoni fino allo slang americano. E lo sfortunato piazzista Leopold Bloom, che entra in scena nel primo capitolo della seconda parte, diventa un eroe maldestro, profano, errabondo e pieno di nostalgie, nel quale vediamo in piena attività le dinamiche della coscienza, in una specie di affresco integrale. Per Joyce i diversi punti di vista valgono tutti, per cui lo stesso individuo può risultare eroe o imbecille a seconda dell’angolazione da cui lo si osserva. Tenendo conto della traduzione di Giulio De Angelis (Mondadori), ecco come viene introdotto:
Mr Leopold Bloom mangiava con gran gusto le interiora di animali e volatili. Gli piaceva la spessa minestra di rigaglie, gozzi piccanti, un cuore ripieno di arrosto, fette di fegato impanate e fritte, uova di merluzzo fritte. Più di tutto gli piacevano i rognoni di castrato alla griglia che gli lasciavano nel palato un fine gusto d'urina leggermente aromatica.
Subito i lettori vennero messi alla prova dagli inevitabili punti oscuri del testo: poco dopo la pubblicazione a cura di Sylvia Beach, Joyce stilò una lista di errori nell’Ulysses che non risultava nemmeno completa, e le edizioni successive andarono di volta in volta a correggerne altri; ma i nuovi editori, nel corso del tempo, cercando di correggere gli errori di stampa finivano spesso per aumentarne il numero. Lo stesso Joyce, quando curava le correzioni, spesso non aveva a disposizione le stesure precedenti da confrontare, così si affidava alla memoria, finendo per eliminare inopportunamente uno o più periodi, oppure creare interpolazioni sostitutive. Così il lavoro di risistemazione del testo, sulla base delle stesure e delle belle copie, è andato avanti per decenni.
Le peregrinazioni di Leopold Bloom in una giornata qualunque, fra le strade piene d’immondizia, i negozi, i ristoranti, i pub, le insegne, diventano peregrinazioni labirintiche nella coscienza, coi desideri repressi, le frustrazioni, le meditazioni sulla morte, con la narrazione che si sviluppa su più piani – reale e simbolico, conscio e inconscio – e assume un insieme di punti di vista che sembrano voler restituire una realtà disgregata, in mutamento, imprevedibile, come accadrebbe in una scomposizione cubista. Lo stesso personaggio diventa frantumato e relativizzato, a più facce, come la realtà che lo circonda. Proviamo a vedere Leopold Bloom a un funerale.
Mr Bloom camminava inosservato per un vialetto lungo file di angeli rattristati, croci, colonne spezzate, tombe di famiglia, speranze di pietra che pregavano con gli occhi al cielo, cuori e mani della vecchia Irlanda. Più sensato spendere i soldi in qualche opera di carità per i vivi. Pregate per la pace dell’anima di. C’è qualcuno che veramente? Piantala e falla finita con lui. Scaricato. Come il carbone giù per una botola di cantina. Poi li ammucchiano insieme per guadagnar tempo. Il giorno dei morti. Il ventisette sarò alla sua tomba. Dieci scellini per il giardiniere. Le tiene sgombre dalle erbacce. Vecchio anche lui. Piegato in due con le cesoie, a tagliare. Vicino alla porta della morte. Che si è spento. Che si è dipartito dalla vita. Come se l’avessero fatto di loro volontà. Buttati fuori, tutti quanti. Che ha tirato le cuoia. Più interessante se vi dicessero chi erano. Il tal dei tali, carrozziere. Io ero rappresentante di linoleum. Io ho concordato con i creditori cinque scellini la sterlina. Oppure una donna con la casseruola. Io facevo un ottimo stufato irlandese. Elegia in un cimitero di campagna dovrebbe chiamarsi quella poesia di chi è Wordsworth o Thomas Campbell. Entrato nel riposo dicono i protestanti. La tomba del vecchio Murren. Il grande medico lo ha chiamato nella sua casa di cura. Be’ questa per loro è la terra consacrata. Bella residenza di campagna. Intonacata e ridipinta a nuovo. Luogo ideale per fare una fumatina e leggere il Church Times. Gli annunci matrimoniali non cercano mai di abbellire. Corone rugginose appese a ganci, ghirlande bronzate. Miglior valore allo stesso prezzo. Però, i fiori sono più poetici. L’altro finisce per diventar noioso, non appassendo mai. Non esprime nulla. Immortelles. Un uccello stava chetamente appollaiato sul ramo di un pioppo. Come impagliato. Come il regalo di nozze che ci ha fatto l’assessore Hooper. Uuu! Non si smuove d’un palmo. Sa che non ci sono fionde per prenderlo di mira. Animali morti anche più tristi. Millina sciocchina che seppelliva l’uccellino morto nella scatola dei fiammiferi in cucina, una coroncina di margherite e pezzetti di collanine sulla tomba.
Quello è il Sacro Cuore: lo mette in mostra. Il cuore in mano. Dovrebbe essere di lato e rosso dovrebbe esser dipinto come un cuore vero. L’Irlanda fu consacrata ad esso o qualcosa del genere. Sembra tutt’altro che soddisfatto. Perché infliggergli questo? Forse verranno gli uccellini e lo beccheranno come il ragazzo col cestino di frutta ma no disse lui avrebbero avuto paura del ragazzo. Apollo si chiamava quel pittore.
Quanti! Tutti questi qua hanno camminato un tempo per le vie di Dublino. Fedeli dipartiti. Come tu sei adesso, eravamo noi un tempo.
E poi come si fa a ricordarsi di tutti? Gli occhi, l’incedere, la voce. Bene, la voce, sì: il grammofono. Mettere un grammofono in ogni tomba o tenerne uno a casa. La domenica dopo pranzo. Metti un po’ su il povero trisnonno. Craaaac! Prontoprontopronto sono felicissimo crac sonstrafelice... strafelice-
rivedervi prontoprontopronto sono feli poprszs.
Ti ricorda la voce come una fotografia ti ricorda un viso. Sennò non ti ricorderesti un viso dopo, mettimo, quindici anni. Chi per esempio?
Per esempio qualcuno morto quando ero da Wisdom Hely.
Rtstst! Stridio di ghiaia. Aspetta. Fermo.
Guardò intento in una cripta di pietra. Qualche animale. Aspetta. Eccolo là. Un obeso sorcio grigio trotterellava lungo un lato della cripta smuovendo la ghiaia. Vecchio volpone: trisnonno: la sa lunga. Il vivo grigio si appiattò sotto il plinto, dimenandosi ci s’infilò dentro. Buon nascondiglio per un tesoro.
Chi vive là? Giacciono i resti di Robert Emery. Robert Emmet fu sepolto qui a lume di candela, vero? Fa le sue poste.
Anche la coda è scomparsa ora.
Rendiamoci conto di cosa poteva significare questa prosa nel 1922, cent’anni fa. Quale sconvolgimento poteva provocare questa roba nelle convenzioni letterarie di allora. Adesso andiamo a quando Leopold Bloom, rincasando di notte, trova nel letto la moglie (infedele) che, tra veglia e sonno, fa il bilancio della propria giornata, non troppo dissimile da quello del marito: il famoso monologo di Molly Bloom.
[…] vorrei che la casa traboccasse di rose Dio del cielo non c’è niente come la natura le montagne selvagge poi il mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d’avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette è questa la natura e quelli che dicono che non c’è un Dio non darei un soldo bucato di tutta la loro sapienza perché non provano loro a creare qualcosa gliel’ho chiesto spesso gli atei o come diavolo si chiamano vadano e si lavino un po’ prima e poi strillano per avere il prete quando stanno per morire e perché perché perché han paura dell’inferno per via della loro cattiva coscienza ah sì li conosco bene chi è stato il primo nell’universo prima che ci fosse qualcun altro che ha fatto tutto chi ah non lo sanno e nemmeno io eccoci tanto vale che cerchino di impedire che domani sorga il sole il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che gli feci fare la dichiarazione sìm prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all’anice e era un anno bisestile come ora sì 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato sì disse che ero un fior di montagna sì siamo tutti fiori allora un corpo di donna sì è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi sì perciò mi piacque sì perché vidi che capiva o almeno sentiva cos’è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finché non mi chiese di dir di sì e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare e pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e Mr Stanthope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevan loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all’elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste la mattina i Greci e gli ebrei e gli Arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d’Europa e Duke street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharon e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all’ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello e vecchio di mill’anni sì e quei bei Mori tutti in bianco e turbanti come re che ti chiedevano di metterti a sedere in quei loro buchi di botteghe e Ronda con le vecchie finestre delle posadas fulgidi occhi celava l’inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gargotte mezzo aperte la notte e le nacchere e la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che faceva il suo giro con la sua lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e geranii e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì.
Una quantità di pagine spropositata, naturalmente: ma preziosa. Da tenere comunque, da aprire, sfogliare, prendere anche a pezzi. L’irruzione nel Novecento dell’uomo moderno.