Come Michel Houellebecq, uno degli scrittori più politicamente scorretti in circolazione, sia diventato un autore inserito nel sistema e premiato dalla gente che conta (addirittura con la Legion d’onore, oltre che con il Goncourt) è uno dei misteri meglio custoditi della nostra epoca. Quale che sia la ragione, la parabola di Houellebecq sembra scombinare un po’ quella standard (almeno per la realtà italica) delineata dal compianto Edmondo Berselli: prima sei brillante promessa, poi solito stronzo, quindi, se il tempo della tua permanenza sulla Terra te lo concede, puoi sperare di diventare venerato maestro. Houellebecq, invece, dopo un passaggio precoce allo status di venerato maestro, da molti è stato degradato a quello di solito stronzo: dopo averlo prima guardato con sospetto, bollato come enfant terrible e poi acclamato come profeta visionario, ora gli rimproverano di scrivere sempre lo stesso libro. Glielo hanno detto anche e soprattutto in occasione di Annientare.
È vero, probabilmente tutto quello che aveva da scrivere Houellebecq l’ha già scritto in Estensione del dominio della lotta, in Le particelle elementari e in Piattaforma (al limite anche in La possibilità di un’isola), ma ciò non significa che non si abbia voglia di rileggerlo in qualche sua variante. Anzi, ce n’è bisogno. Perché Houellebecq racconta la verità, la verità di un Occidente ormai morente, dell’impossibilità dell’amore, del desiderio che consuma senza poter mai essere davvero soddisfatto, della pulsione autodistruttiva della specie umana, del trionfo del capitalismo, della minaccia del fondamentalismo in tutte le sue forme, della prevalenza della sconfitta e della morte.
Verità che non cambiano solo perché qualcuno è stufo di doverle recensire. Verità terribili che Houellebecq ci riversa addosso con un peculiare senso dell’umorismo che rende sopportabile e anzi godibile leggerle. Ripetitivo? Con progressivamente meno mordente? Forse, ma poco importa. Perché Houellebecq è uno degli unici e ultimi punti fermi in questo mondo che, come da lui evidenziato nei suoi romanzi “tutti uguali”, sta andando definitivamente a puttane.
In Annientare, come in Sottomissione, torna la fantapolitica. Siamo nel 2026-27 e in Francia il presidente è una specie di Macron rivisitato. Se il precedente Serotonina aveva descritto l’impossibilità dell’amore e il rassegnato rifugio negli psicofarmaci, a dispetto del titolo Annientare è un torrenziale romanzo (oltre settecento pagine) che per quanto possibile celebra il legame filiale e quello coniugale tra i due protagonisti, Paul e Prudence. Paul è consigliere e amico del ministro Bruno Juge (che assomiglia molto al vero ministro dell’economia Bruno Le Maire, amico di Houellebecq). La Francia grazie a Bruno torna la quinta potenza e tallona la Germania (e l’Europa? Per Houellebecq, e forse non solo per lui, è sinonimo di chiacchiere e normative assurde).
Entra quindi in scena un gruppo terroristico di “ecolo-fascisti-nichilisti” (“se l’obiettivo dei terroristi era annientare il mondo come lui lo conosceva – scrive Houellebecq – Paul non poteva dargli affatto torto”) che in un attentato affondano un barcone coin 500 migranti e sparano sui superstiti. Scattano il cordoglio globale e le cerimonie di facciata (“Almeno è in mare aperto, non ci saranno quelle cazzo di candele”, “Anche Paul all’epoca degli attentati islamici era rimasto disgustato da tutto quello sgocciolio di candele, dai palloncini, dalle poesie, dai Non avrete il mio odio ecc. Pensava fosse legittimo odiare i jihadisti”).
Poi ci sono la malattia e i problemi di salute in famiglia, con un “Comitato di lotta contro l’assassinio degli ospedali” che richiama l’ostilità per Houellebecq nei confronti dell’eutanasia più o meno dichiarata. Ci sono il veganesimo, il neopaganesimo, la prostituzione (part-time), la fecondazione artificiale come moda, “l’ingenua convinzione che l’attrattiva del lucro potesse sostituirsi a qualsiasi altra motivazione umana”, gli ideologi della deep ecology che “predicano l’estinzione dell’umanità perché pensano che la specie umana sia definitivamente irrecuperabile, pericolosa per la sopravvivenza del pianeta”, la Church of Euthanasia che “proclama che i quattro pilastri del loro movimento sono il suicidio, l’aborto, il cannibalismo e la sodomia”. Non mancano i trans, il vero candidato alle presidenziali Eric Zemmour, Greta Thunberg, masterchef, le startup e grandi classici come alcol, salumi e formaggi, psicofarmaci, qualche “cazzo”, “fica”, “tette” e “culo”, ma, rispetto al passato, con moderazione. E, tornando alle verità, c’è che “l’uomo è solo e Dio non può farci granché, o almeno non dà l’impressione di preoccuparsene”, c’è che “Gli uomini si sforzano di mantenere rapporti sociali, e persino rapporti di amicizia, che non gli servono quasi a niente”, c’è che tutta la vita “è più o meno un fine vita”. Speriamo invece che non sia vera la frase di Houellebecq che si trova nei ringraziamenti: “Sono giunto per fortuna a una conclusione positiva; è il momento di fermarmi”. Suona tanto come un addio, almeno per quel che riguarda il romanzo. E per noi animali abitudinari potrebbe essere un grosso problema.