Ci ha lasciato mezzo secolo fa di Jim Morrison. Il 3 luglio 1971 il cantante dei Doors era stato trovato morto nella vasca da bagno dell’appartamento di Parigi che divideva con Pamela Courson, la sua storica compagna. Aveva soltanto 27 anni, un’età che ha tragicamente condiviso con Jimi Hendrix, morto nel settembre dell'anno prima, e di Janis Joplin, scomparsa nell’ottobre del 1970. Il cosiddetto Club 27, al quale si aggiungeranno in seguito come Kurt Cobain e Amy Winehouse.
A distanza di tanto tempo, non solo ci si ricorda di lui per gli anniversari, ma la sua figura è sempre più centrale e non soltanto nella musica. Non a caso, proprio oggi il festival Popsophia, che si sta svolgendo nella Piazza del Popolo di Pesaro, gli ha dedicato interamente la serata finale. Carlo Massarini ne ripercorrerà la vita e la carriera e insieme ai filosofi Cesare Catà e Lucrezia Ercoli, ricercheranno le radici culturali del leader dei Doors per capire come l'artista abbia provato a raggiungere le porte della percezione. Nella stessa serata interverranno l’autrice radiofonica Noemi Serracini, che indagherà il rapporto tra musica e spiritualità, e il filosofo Simone Ragazzoni che interverrà sul concetto di ebrezza. Un appuntamento, in collaborazione con The Doors Italian FanClub con la presenza del co-fondatore Massimo Piscaglia.
Per capire come mai il “Re lucertola” possa ancora smuovere le coscienze, abbiamo chiesto proprio alla direttrice del festival, la filosofa Lucrezia Ercoli, che ci ha spiegato le «forze contrastanti e ipnotiche che scorrono in lui e che richiamano l’antico culto di Dioniso».
Perché una serata dedicata a Jim Morrison in un festival di filosofia?
Jim Morrison non è solo un’icona del rock. La sua biografia è spesso diventata l’agiografia di un santo luciferino: si affastellano storie e testimonianze che ricostruiscono i pochi anni fulgenti di una figura carismatica che, soprattutto post mortem, ha assunto per tanti il ruolo di filosofo, di vate e di sciamano. Un Dioniso del rock. Morrison è stato oggetto di infiniti saggi e tesi di laurea intenti ad analizzare i riferimenti culturali presenti nella sua produzione. E soprattutto, in un’infernale legge del contrappasso, è diventato ciò che non voleva: un’innocua icona pop da citare sui social network, l’autore dei più astrusi aforismi perfetti per un meme su Facebook.
Qual è la sua importanza dal punto di vista poetico-filosofico?
Morrison è stato un vorace lettore e i suoi riferimenti culturali sono poliedrici, vanno dal beat americano ai maudits francesi, da Jack Kerouac ad Arthur Rimbaud; dalla filosofia alla poesia romantica, da Friedrich Nietzsche a William Blake. Lo testimoniano i libri presi in prestito dalla biblioteca e le annotazioni sul suo diario, in cui scrive febbrilmente appunti e poesie da cui prenderanno vita molte delle future canzoni. Tutti quei riferimenti costruiscono la sua poetica.
Senza dimenticare le influenze più spirituali.
Nella figura di Jim Morrison scorrono forze contrastanti e ipnotiche che richiamano l’antico culto di Dioniso; un disordine dell’animo che evoca la dinamica duale tra pulsioni erotiche e pulsioni distruttive raccontate dalla psicanalisi freudiana. Ma c’è qualcosa di più, qualcosa di nuovo, qualcosa di perturbante che affascina e spaventa, che seduce e inquieta. I versi oscuri e le interpretazioni ipnotiche di Morrison parlano senza censure di amore e morte, degli eccessi della natura umana e dell’incomprensibilità del mondo.
Personalmente, che cosa la colpisce di più di questa figura?
Per comprendere Morrison non basta leggere le sue poesie e ascoltare le sue canzoni: bisogna vedere le sue performance live. Sul palco non usa solo la voce, ma tutte le energie crudeli ed erotiche del corpo. La sua danza dionisiaca, la sua straniante immobilità, i suoi movimenti ebbri, la sua energia bacchica, i suoi versi animaleschi, le sue smorfie malinconiche. I concerti – in sei anni di carriera, Morrison si esibisce poco più di 200 volte dal vivo – sono puro “teatro”, nel senso più antico del termine, un rituale sacro, un sacrificio violento e purificatore. Jim Morrison, più o meno scientemente, risponde a un originario bisogno dell’anima: come dice il nome stesso del gruppo, aprire The Doors of Perception, Le porte della percezione.