Avete presente Joe Lansdale? Bè, continuate a tenerlo presente. Uno scrittore texano che non è semplicemente “a tutto tondo”, ma è un vero vagabondo della letteratura americana contemporanea. Dal suo romanzo d’esordio del 1980, Act of love, Lansdale ha pubblicato di tutto, dai fumetti alle storie horror, dalle storie criminali a quelle western, di fantascienza e fantasy, in una scrittura orgogliosamente eclettica e senza steccati. Anche nella vita ha fatto di tutto. Come racconta in un articolo del Corriere della sera di tre anni fa: “Le arti marziali? Le ho praticate per quarant’anni: boxe, wrestling, judo, ju jistu e, più di recente, karate e taekwondo. Le insegno anche, nella scuola che ho aperto in Texas. Danno equilibrio. Mi hanno aiutato nella vita. Da ragazzo mi davano sicurezza nelle cose di ogni giorno, ma sono servite anche dopo, da romanziere: ti insegnano a essere bilanciato, semplice e diretto; anche nella scrittura. A tenere un rapporto stretto con il pubblico, un contatto quasi fisico con il lettore”.
Grande poligrafo, ha pubblicato oltre cento libri dei generi più vari; la sua scrittura sconfina spesso nell’eccesso, nella violenza, nella completa scorrettezza politica, al punto che il suo genere è stato definito street literature, per tenerlo separato dalla più nota e “blasonata” letteratura mainsteam. Viene da questo suo spaziare liberamente la capacità di raccontare la società americana guardandola nel profondo delle pieghe e delle sue contraddizioni, dove l’osservazione dei più non arriva. Il bello di Joe Lansdale è che il suo stare ai margini della scena letteraria americana lo porta a considerare la sua ignoranza come un punto di forza nella riuscita artistica. “Non sono nemmeno laureato, la mia ignoranza mi ha aiutato a diventare un autore flessibile, a pensare outside the box, a non farmi rinchiudere in schemi culturali rigidi”. E spesso sono questi gli scrittori che sanno trascinare, che affondano le mani dove i damerini non oserebbero, che non calcolano la correttezza o il facile ammiccamento al lettore, che non intendono sedurre ma piuttosto tirare fuori il demone che li muove e immergersi nel mondo per raccontarlo, come che sia. Fra le tante cose, segnaliamo il ciclo di romanzi di Hap e Leonard, un operaio bianco e un gay nero che ha combattuto in Vietnam, che insieme risolvono casi criminali muovendosi senza compromessi in un sotto-mondo corrotto e violento. Ci sembra un buon viatico che suggeriamo per affrontare l’estate.
Ecco un assaggio da Bad Chili:
“Era metà aprile quando tornai dal mio lavoro in mare e scoprii che il mio buon amico Leonard Pine aveva perso il posto di buttafuori all’Hot Cat Club, perché in un momento di rabbia, dopo aver cacciato un attaccabrighe fuori dal locale, mentre quello era ancora a terra, Leonard aveva tirato fuori l’uccello e gli aveva pisciato sulla testa. Poiché un buon numero di clienti del club era fuori a guardare quella testa di cazzo rimbalzare come una pallina da ping-pong tra le mani di Leonard, e poiché Leonard non era stato neppure abbastanza discreto da voltarsi di spalle, quando aveva deciso di annaffiare la testa del babbeo, la direzione del locale era stata incline a credere che avesse esagerato. Leonard non capiva perché. Anzi, secondo lui era stata un’ottima idea. Disse ai gestori che se si fosse sparsa la voce della sua impresa, i potenziali attaccabrighe si sarebbero detti: – Se crei dei problemi all’Hot Cat Club, ti arriva addosso quel bastardo di un negro frocio, e ti piscia sulla testa. Tenendo conto della generale omofobia e del razzismo della popolazione locale, Leonard considerava che una cosa del genere avesse una capacità deterrente maggiore della pena di morte. La direzione non fu d’accordo. Erano desolati, dissero, ma dovevano proprio licenziarlo.
Se questo non fosse stato abbastanza, piú o meno nello stesso periodo, Leonard aveva perso ancora una volta il suo grande amore, Raul, ed era dell’umore giusto per volermene parlare. Ci dirigemmo verso il campo di un amico a bordo dell’ultimo catorcio di Leonard, una vetusta Rambler bianca con una molla sporgente sotto il culo del passeggero. Una volta arrivati, sistemammo una serie di lattine su un tronco marcio e facemmo un po’ di tiro al bersaglio con un revolver, chiacchierando allo stesso tempo sotto un cielo blu completamente sgombro di nuvole.
Andò cosí: Leonard buttò giú un’intera fila di lattine con pochi colpi ben mirati, e mentre camminavamo verso il tronco per rimetterle su, mi stava raccontando come lui e Raul ultimamente avevano iniziato a litigare spesso (il che non era affatto una novità) e Raul alla fine se n’era andato. Neppure questa era una novità. Ma stavolta non era tornato, e questo sí che era nuovo.
Pochi giorni dopo Leonard aveva scoperto che Raul si vedeva con un tizio tutto vestito di pelle, con barba e Harley Davidson. Erano stati visti nei dintorni di LaBorde, stretti insieme sul sedile della moto. Cosí stretti, spiegò Leonard, che Raul «doveva avere l’uccello infilato nel culo di quel bastardo».
Avevamo soltanto un revolver tra tutti e due, e mentre parlava, Leonard me lo passò. Iniziai a caricarlo, e avevo già sistemato nel tamburo quattro proiettili quando dal bosco emerse uno scoiattolo impazzito, che saltava come un ossesso.
Se non avete mai visto uno scoiattolo arrabbiato, avete visto poco, e udito ancora meno, perché il verso di uno scoiattolo incazzato è qualcosa che non si dimentica. È cosí acuto e forte da farti scappare i coglioni nel buco del culo.
Per un momento, Leonard e io restammo paralizzati dallo stupore e dal rumore. Tutti e due conoscevamo i boschi fin da bambini, e da ragazzo io andavo a caccia di scoiattoli: la mia famiglia li aveva mangiati fritti, stufati, conditi con la senape e con contorno di insalata. Eppure in tutta la mia vita, e sono sicuro che lo stesso valeva anche per Leonard, non avevo mai visto una scena del genere”.