Kamala Harris è nata a Oakland, in California. Figlia dell'America, del concetto stesso degli Stati Uniti: radici ovunque e in nessun posto, grandi sogni, enormi ostacoli, duro lavoro. Nella sua storia c'è spazio per i grandi principi ma anche per l'incoerenza, gli errori grossolani, i successi strabilianti. Nella sua autobiografia Le nostre verità, edito in Italia con La Nave di Teseo, si coglie questo: che Kamala Harris assomiglia agli Stati Uniti.
Assomiglia ai cambiamenti sociali che hanno attraversato il paese negli ultimi 50 anni, al successo del grande sogno americano, alle difficoltà di una nazione che vuole - partendo dalla sua costituzione - fondarsi sul diritto di poter sognare, ma che si scontra con la vastità di culture che attraversano un popolo eterogeneo.
Kamala ha affrontato il busing - pratica per l'integrazione razziale diventata popolare negli 70 in America al fine di portare i bambini neri fuori dai loro distretti, obbligando (spesso dolorosamente per gli afroamericani) le scuole ad accettare la diversità etnica - ha affrontato le ingiustizie razziali, di genere, ideologiche e sociali. Ma le difficoltà, si coglie nell'autobiografia, hanno forgiato il carattere della vicepresidente, trasformandola nella donna che oggi affianca Joe Biden alla Casa Bianca.
Kamala si pronuncia comma-la, e significa fiore di loto, un simbolo importante nella cultura indiana. Il nome lo scelse Shyamala, la madre, una scienziata e oncologa indiana emigrata negli Stati Uniti a 20 anni, nel 1960, per studiare all'università Berkeley. Lì conobbe quello che sarebbe diventato il padre di Kamala, Donald J. Harris, un economista giamaicano. Entrambi attivisti, entrambi emigrati negli Stati Uniti alla ricerca di quel sogno tanto promesso.
In nessun altro luogo al mondo la storia di Kamala Harris, la vita di Kamala Harris, sarebbe stata possibile.
Una indiana e un giamaicano che nel pieno degli anni 60 fondono culture e radici dando vita a una famiglia che non è afroamericana (se con America intendiamo gli Stati Uniti e non il continente americano), che è difficile da definire, da chiudere in una scatola etnica. Ma che rappresenta l'essenza del paese, con le radici ovunque e in nessun posto.
E qui, il nome della vicepresidente, che sembrava già indicarle un destino: "Il loto cresce sott’acqua - scrive la Harris nella biografia - e il suo fiore esce dalla superficie quando le radici sono ben piantate nel fondale del fiume".
Quella raccontata nel libro è una storia fatta di grandi sfide - come lasciare la più facile carriera come avvocato e lanciarsi come Procuratrice, prima Distrettuale a San Francisco e poi generale in California, un ruolo di enorme responsabilità all'interno di un mondo governato quasi esclusivamente da uomini, per giunta bianchi.
Tutte le sfide affrontate dalla Harris servono però per tracciare un filo conduttore nella vita della donna che oggi è vicepresidente americana, un insegnamento di fondo che va oltre i singoli successi e insuccessi personali: Kamala fonda la propria politica sull'ascolto e la comprensione, in un mondo in cui si viaggia invece su binari fissi, che sembrano irremovibili a causa delle ideologie e i retaggi culturali che ognuno porta con sé.
Lampante l'esempio della politica contro le assenze a scuole, durante il suo periodo da Procuratrice Distrettuale di San Francisco: punendo le famiglie che trascuravano l'istruzione dei figli, è riuscita a ridurre notevolmente i crimini giovanili nella città.
Capire il problema nel particolare, per poi poter agire e far cambiare realmente le cose. Questo è il modus operandi di Kamala Harris, un fondamento mai abbandonato e una base su cui poter far aderire le proprie radici, esattamente come un fiore di loto nel fiume.