Il fatto è che, a ridosso dell’uscita di uno dei campioni assoluti del genere, Sfera Ebbasta col suo X2VR, mentre Spotify ha pubblicato i propri wrapped che mostrano come nei primi 10 album più ascoltati ci siano almeno una buona metà di lavori che potrebbero rientrare nella categoria (dal campione Il coraggio dei bambini di Geolier, passando per la numero due, Sirio di Lazza, e poi a seguire La divina commedia di Tedua al tre, Milano Demons di Shiva al quattro, Còra++ere s?ec!@le di thasup al sei, 10 di Drillionaire alla dieci, appunto, come Madreperla di Guè all’otto, comunque limitrofo: per molti Il ragazzo d’oro, album del 2011, è il primo vero lavoro di successo di trap in Italia), è tornato sulle scene anche Ghali, che forse di questo genere è stato uno degli apripista, almeno a livello di mainstream. Il suo nuovo lavoro, Pizza Kebab Vol. 1, uscito a un anno e mezzo dal precedente Sensazione ultra, veste i panni del mixtape, quel Vol. 1 sta lì un po’ come dichiarazione d’intenti, anche se esce a tutti gli effetti come album targato Warner, seppur venduto come album di ritorno alle origini. Le origini, del resto, sono una costante delle canzoni trap. Si indica costantemente un passato di disagio, di emarginazione sociale, di delinquenza atta a smarcarsi da essa, di violenza fisica e psicologica subita, per poi alzare la palla al racconto di un successo incredibile raggiunto grazie al proprio talento, e spesso ai sacrifici di una mamma, nessuno è tanto mammone quanto un trapper, manco un neomelodico, il cash, le ville, i brand, le fighe, la droga che c’era all’inizio unica costante, insieme ai compagni di strada, che il trapper tende a portarsi dietro, permettendo grazie al proprio talento di smarcarsi a loro volta da quello schifo nel quale sono cresciuti.
Nel caso di Ghali, ma non solo di Ghali, le liriche di Simba La Rue, qui presente come ospite, come quelle di Baby Gang, assente, sono chiare a riguardo, come le loro bio: c’è la questione razziale, una seconda generazione che solo grazie al successo, forse, non sempre per altro, riesce a essere accettato e che fa quindi di quell’essere un seconda generazione un ulteriore marchio di fabbrica, un vanto non tanto per questioni di appartenenza ma proprio di rivendicazione, di rivalsa sociale. Pizza Kebab Vol. 1, quindi, è un ritorno alle origini, ai primi brani smazzati prima dell’esordio sulla lunga distanza con Album, tanto quanto X2VR è un ritorno, non a caso con Charlie Charles al fianco (supportato da Drillionaire) per Sfera Ebbasta, le classifiche a dirci se anche sul fronte degli streams i due se la giocano ancora (sempre che se la siano mai giocata davvero). Il risultato, va detto, è assai differente. Prodotte da KIID e Sadturs, con Draganov e Night Feelings, le undici tracce di Pizza Kebab Vol. 1 risultano un deciso passo indietro del rapper di Baggio, ma non un passo inteso o intendibile come un ritorno a casa, le famose radici, quanto piuttosto come un passo falso, un voler rimarcare l’appartenenza a un mondo oscuro, notturno, fatto e sfatto, volgare, che nel tempo era in qualche modo riuscito a lasciarsi alle spalle, addirittura ergendosi a modello alternativo, capace, per dire, di dialogare, seppur frontalmente e con posizioni decisamente avverse, con la politica, una guida, quindi, credibile come una guida deve saper essere, non certo uno che la credibilità la deve trovare tra chi vive in quella zona d’ombra mostrando muscoli coperti per altro da abiti Gucci, non esattamente credibilissimi, quindi.
Musicalmente Pizza Kebab Vol. 1 suona in effetti come un mixtape, quindi sciatto, tirato via, tanto quanto X2VR suonava impeccabile, il terreno di gioco in teoria è il medesimo, pur senza perdere un minimo di coerenza e aderenza alle storie raccontate (simili, per altro, nella sostanza, padri assenti, case popolari, e tutto quel bailamme di droghe, soldi e fighe di cui sopra). Ci sono pezzi più tirati a fianco di altri lenti, fumati, ma il risultato è sempre scarso, un deciso passo indietro rispetto al precedente Sensazione ultra, album maturo e anche a suo modo pesante sul piano antropologico, quell’essere italiano di seconda generazione usato come bussola per orientarsi per il Mar Mediterraneo, come un Ulisse alla ricerca, sì, delle proprie radici, e a partire da quelle radici per provare a raccontarci un oggi sempre più fatto di commistioni, scambi, divergenze e incomprensioni. Tutto quello qui è ridotto all’idea di Pizza Kebab, enunciato già nel titolo, una roba, usiamo il paradosso, che forse neanche Salvini arriverebbe a tirare in ballo senza passare per ridicolo. Capisco la necessità e volontà di togliersi di dosso quello che a lui deve risultare un nuovo stigma, dopo quello dell’essere il “marocchino”, cioè l’essere un artista pop, ma farlo mandando a puttane quanto fatto di buono fin qui appare davvero gesto suicida, di chi si taglia il cazzo per non essere accusato di patriarcato, per tornare ai discorsi iniziali che riguardano la valenza sessista dei testi trap.
Su tutti, ma qui vado sul personale, prendo a esempio il brano più agghiacciante di questa covata di canzoni, Paura e delirio a Milano, che ai miei occhi ha l’aggravante di citare nel titolo e in minimissima parte anche nel testo, il grande classico del gonzo Hunter S. Thompson. Canzone che vede Ghali riuscire nel semimiracolo, dal mio punto di vista una sorta di incubo, di riunire quasi tutta la Dark Polo Gang, Tony Effe, Side Baby e Dylan, un tempo Pirax, a rispondere all’appello, Wayne Santana assente. Una canzone di una bruttezza sconcertante, e dire che il paragone scelto era invece succosissimo, anche a voler fare i fattoni che parlando di droghe e soldi, con flow pasticciati e stopposi, un gergo primitivo che raccapriccia più per lo stile che per i contenuti, comunque da lobotomia d’ufficio. Quindi quella che poteva essere a suo modo una canzone anche storica, per la scena, mica è un caso che il lavoro comincia con una traccia che si intitola Sto, come quel magazine da lui ideato e poi divenuto l’Esse di Dikele, magazine nato da una idea di staccarsi dalla cricca delle major, autarchici, Capoplaza sarebbe partito da lì, il magazine a fare in qualche modo da media espositivo di quella visione a suo modo rivoluzionaria. Magazine una cui stroncatura di Trap Lovers procurò al nostro una sorta di dissing non troppo esplicito proprio da parte dei trapper romani, dissidio cui è seguita una sua rottura con il resto della redazione, nata e cresciuta intorno alla fama dello stesso Ghali, nessuno lo può negare, gli scazzi tra Dikele, che sta facendo di Esse una sorta di house organ degli artisti coi quali lavora, e Ghali lì a promemoria di come anche le idee più belle possano poi andare a puttane. Unico brano a salvarsi, ma lì il campione di Mi sei scoppiata dentro il cuore di Mina ha il suo potentissimo peso, seppur Mina e il rap siano partita già giocata da Mondo Marcio e Marracash, solo per fare un paio di nomi pesanti, Tanti soldi con Geolier, che si prende briga di giocare con le rime e il flow, innalzando per una volta il picco verso il cielo.
Tornando però a Paura e delirio a Milano, e considerate quante chance narrative avrebbe potuto offrire la Milano di oggi, quella che in teoria punta a una svolta green, quella della gendrificazione delle periferie, quella dei grattacieli che stanno occupando una parte dello skyline, della violenza tornata sulle strade, il capo Gabrielli chiamato a vestire i panni del commissario Gordon di questa novella Gotham City, non a caso poi Sala è andato a fare il cameo nel ritorno batmanesco dei Club Dogo, qualcosa di allucinante ma narrativamente decisamente appetibile, il brano finisce per essere una robetta povera povera, senza neanche l’evoluzione coatta di certi poliziotteschi anni Ottanta, solo un vieto cliché di droghe e fattanza senza un minimo barlume di vita, di fascinazione, di interesse. Uno pensa a Hunter S. Thompson che viene ritrovato in un cassonetto con tutte le ossa rotte, scoperto dagli Hell’s Angels coi quali ha passato mesi per poter scrivere il suo omonimo gonzo reportage, o pensa a lui che lascia scritto che dopo la sua morte, avvenuta per essersi sparato un colpo di fucile in testa, cioè che il suo corpo venga ricomposto alla sua scrivania, così che gli amici possano salutarlo, e che poi le sue ceneri, dopo cremazione, vengano sparate in aria tramite apposito cannone da neve, Johnny Depp, amico sin dai tempi in cui ha interpretato il suo alter ego letterario, Dr Duke, nel film tratto proprio da Paura e delirio a Las Vegas, Terry Gilliam alla regia, Benicio Del Toro a interpretare l’avvocato psichedelico Dr Gonzo, Johnn Depp incaricato di fare da maestro di cerimonie del funerale, qualcosa di tanto epico quanto le sue gesta letterarie e non, ecco, uno pensa a Hunter S. Thompson e poi ascolta Paura e delirio a Milano e gli viene voglia di impugnare un fucile e incaricare però il tipo del Milanese Imbruttito e farlo esecutore testamentario, o magari di andare in giro per la città a portare davvero un po’ di violenza alla William Friedkin (si è fatto uso di metafora, lo dico per un qualche analfabeta di ritorno che fosse erroneamente arrivato fin qui, o che magari sia partito direttamente da qui pensando di stare leggendo un manga).
Un lavoro che non riporta Ghali alle origini, se per origini si intendono gli esordi, ma forse lo riporta ai banchi di scuola, l’idea che oggi Charlie Charles stia dietro a X2VR e non dietro Pizza Kebab Vol. 1 lì a riprova che almeno uno col sale in zucca in quell’ambiente c’è, e non è certo Ghali, a occhio. Un’occasione persa, ma forse anche qualcosa di più, un disco brutto uscito nel momento sbagliato, quando cioè la trap di quel tipo è tra l’altro guardata con maggiore diffidenza di sempre, e che ha comunque un livello artistico davvero basso, inaccettabile per chi in fondo era riuscito davvero a portare quel genere, ripeto, fare di tutta l’erba un fascio è esercizio da superficiali, assolutamente deprecabile, fuori dall’ascolto dei ragazzini che ancora frequentano le scuole (o che le dovrebbero frequentare con più dedizione). Un harakiri del Ghali pop che però è al tempo stesso un harakiri anche del Ghali trap. Difficile fare peggio. Ah, no, è anche uscito a ridosso di X2VR di Sfera Ebbasta, il peggio è proprio stato fatto. Ora manca giusto qualche solone delle censure ai testi violenti che gli appiccichi lo stigma del portatore insano di violenza gratuita e di diseducazione sentimentale dei nostri giovani e il gioco è fatto, un colpo di fucile, anch’esso metaforico, sparato in bocca, Paura e delirio a Milano, o meglio, per citare il vero titolo dell’opera, Paura e disgusto a Milano.