Nanni Moretti è un regista che ha sempre voluto dire qualcosa nei suoi film. Non ha mai voluto proporre opere barocche per strabiliare gli spettatori con effetti superflui. Nanni voleva “dire” e il cinema era l’unico mezzo con cui poterlo fare. Sempre esplicito in critiche e analisi della contemporaneità italiana. Sempre, profondamente, politico. Perché all’estetica deve sempre accompagnarsi un’etica, a meno che l’arte non voglia diventare ornamento di una realtà che sembra poterne fare a meno. Oggi Nanni Moretti compie 70 anni. Viene da chiedersi, a questo punto della sua carriera, se esiste qualcuno tra i nuovi volti del cinema italiano che potrà raccoglierne l’eredità. Probabilmente Nanni non vuole lasciare nessuna eredità, o quantomeno non la sua in quanto individuo. Nanni è a sua volta erede di un’idea di futuro. Il figlio di un’utopia che ha voluto trasporre nel suo ultimo film, Il sol dell’avvenire, e che spera che i giovani registi, ma anche tutti “i giovani fino a 65 anni”, possano interiorizzare e fare loro. Nella loro vita così come nell’arte. Per ridiventare politici. Per dire cose di sinistra. La questione, dunque, non è: “Chi dopo Nanni?”. Piuttosto: “Chi si farà carico dell’eredità della sinistra? Come si realizzerà l’intreccio tra arte e ideologia quando Nanni smetterà di fare cinema?”. La faccenda è più strutturale. Non è scontato che ci sia davvero qualcuno che voglia farsi carico di un simile compito, specialmente visto lo sfrangiamento delle forze che compongono il campo progressista. Domenico Procacci, fondatore della casa di produzione Fandango, in un’intervista a Fanpage.it ha parlato di Pietro Castellitto come di un possibile candidato. Il giovane attore e regista, figlio di Sergio, ha già ottenuto alcuni importanti riconoscimenti al Festival di Venezia e al David di Donatello, dove ha vinto rispettivamente il premio Orizzonti come Miglior sceneggiatura nel 2020 e miglior regista esordiente nel 2021, entrambi per il suo film I predatori. Ad ogni modo, lo stesso Procacci nell’intervista ha sottolineato come Nanni Moretti sia un artista unico, la cui imitazione difficilmente garantirebbe gli stessi risultati dell’originale.
C’è però un altro nome che potrebbe soddisfare l’identikit del “regista di sinistra” dell’epoca post-morettiana e di mestiere fa il fumettista. Zerocalcare, infatti, con il successo delle due serie targate Netflix, Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, ha tutte le carte in regola per dire la sua anche al cinema. Oltre alle due serie, ha ideato la sceneggiatura de La profezia dell’armadillo (tratto dall’omonimo fumetto del disegnatore romano), in cui recitava, tra l’altro, proprio Pietro Castellitto nei panni di Secco. Zero sta ancora prendendo le misure con la settima arte ma l’inizio è promettente. Può essere, dunque, proprio lui, proveniente da una dimensione artistica differente dal cinema (ma che con il cinema ha più di qualche punto in comune), il prossimo riferimento all’interno del panorama filmico italiano? Poca simpatia per il PD e un background di partecipazione a realtà movimentistiche di sinistra; se volessimo identificare il suo pubblico tarandolo sul risultato delle ultime elezioni, potremmo dire che Zerocalcare rappresenta una figura che soddisfa sia coloro che semplicemente non votano più, vista la totale estraneità dai soggetti politici attualmente disponibili, sia da qualche moderato che non ha il coraggio di spingersi più in là per diventare (almeno un po’) più radicale. Al Salone del libro del 2023 ha parlato di una destra che cerca di raggiungere l’egemonia culturale riempiendo gli spazi di opinione, piazzando “i suoi” nei posti dove la cultura dovrebbe essere di casa. Un lavoro sottile, portato avanti “fuori dai radar”. La sinistra, al contrario, non ha saputo reggere il confronto e si è rifugiata nelle sue chiese, accanto ai suoi altari, idoli ormai privi di qualsiasi sostanzialità. “Non parlare più il linguaggio delle persone comuni” è quasi un cliché. Nelle sue opere, comunicando con le immagini oltre che con le parole, Zerocalcare prova a fare di meglio. Lui non dispensa buoni consigli e una morale avvizzita, residuo di un’idea di superiorità che ormai le elezioni smentiscono impietosamente. Zerocalcare parla di questioni reali, dei luoghi dove la vita si manifesta nella sua forma più “vera”, priva di filtri. E racconta le persone, coloro che si sforzano di mantenere vivibile un mondo che incattivisce e che costringe a guardare “l’altro da sé” come un pericolo.
Nel novembre del 2020 fece discutere la copertina dell’Espresso in cui il fumettista veniva definito come “l’ultimo intellettuale”. Lo stesso autore fu restio ad accettare un simile incasellamento. Lui parla della vita e non di politica. Le due cose, però, si sovrappongono irrimediabilmente. Gli artisti sono sempre consapevoli del loro ruolo? O è forse il pubblico che modifica la parabola della loro estetica? Probabilmente la verità sta nel mezzo. Zerocalcare non è un intellettuale nel senso puro ma è, allo stesso tempo, una voce da tener presente. Un intellettuale nella sua funzione prima ancora che nell’essenza. Quest’anno, al Festival di Cannes, Nanni Moretti disse di apprezzare “i film che costano poco e che non sono modaioli”. Zero di certo non è modaiolo e sicuramente non si spaventerebbe di fronte a una produzione che non facesse follie per la sua opera prima. Chissà, dunque, se Michele Rech si cimenterà davvero con un film di animazione. Da regista oltre che da sceneggiatore. Per ridare voce a chi la voce l’ha persa, tracciando una nuova direzione per un’arte che non può fare a meno di essere politica.