“Il sol dell’avvenire”, quest’ultimo “atteso” film di Nanni Moretti, si conclude con un corteo festante di bandiere rosse. Immaginifiche, luminose. Un magnificat degno dell’entrata di Cristo a Bruxelles raffigurata altrove dal pittore visionario James Ensor. O magari rivisitata da un Fellini, assunto come segretario di cellula comunista romana. Così lungo i Fori Imperiali. il Colosseo laggiù, sfondo. Un corteo che avanza oniricamente verso il compimento della Storia, il Comunismo. Dall’iniziale addirittura maiuscola. Diversamente dalla cruda verità storiografica, l’Italia, nell’immaginazione di Moretti, sembra avere infine raggiunto la più felice, assolata e ridente delle Utopie. Si sogna, appunto, che nelle tragiche giornate del 1956, quando i sovietici assassinarono nel sangue la rivolta ungherese di Imre Nagy, Palmiro Togliatti si schieri con gli insorti… Appare anche proprio Togliatti, “il Migliore”, nella fiumana che avanza lungo le vestigia della Roma imperiale e mussoliniana, il Vittoriano un passo oltre, assorto e circonfuso, accanto ai volti estatici degli attori, gli amici, le amiche, i familiari stessi che hanno reso possibile l’intero racconto cinematografico di Moretti. Un rosario, mandala di faccine che mostra, tra gli altri, Renato Carpentieri, Mariella Valentini, Jasmine Trinca, Alba Rorhwacher, Anna Bonaiuto… Peccato manchino Edo Monaci Toschi, il genio custode della scuola “Marilyn Monroe” di “Bianca” e ancora Giorgio Viterbo, che sempre lì ci faceva dono di un’elegia dedicata al “Cielo in una stanza” davanti al jukebox, oppure Eugenio Masciari, arbitro di linea in “Palombella rossa”. C’è invece, almeno questo, Fabio Traversa. Su un elefante troneggiano invece Silvio Orlando e Barbora Bobulova, protagonisti, intenti a baciarsi. Coniugi, amanti, felici. Ma soprattutto nella scena avanza un ritratto di Trotsky, l’antagonista di Stalin, il “profeta disarmato”, il teorico della “rivoluzione permanente”, simulacro iconico di chi, nell’agosto del 1940, troverà la morte sotto un colpo di piccozza scagliato sul cranio da un sicario di Mosca. Nel suo esilio di Coyoacán, sobborghi di Città del Messico. Assassinato, paradossi della storia, da Ramón Mercader, cugino di Maria Mercader, l’amata mamma del nostro Christian De Sica.
Necessaria prosaica digressione: da anni vive in rete un meme dedicato proprio al divo dei cinepanettoni a commento di un bizzarro destino: “Mio padre ha inventato il neorealismo, mio zio ha ucciso Trotsky, io faccio ridere con le scuregge”. Bene, se adesso volessimo in breve raccontare l’“eresia” del trotskismo con la sua Quarta Internazionale, che si opponeva alla Terza denunciando la burocratizzazione del sistema sovietico, in nome invece della rivoluzione mondiale, niente di meglio delle battute del primo incontro tra Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Quando l’operaio meridionale politicamente grezzo si accosta alla ragazza torinese, lei, Mariangela, si dichiara proprio trotskista, donandoci l’unica possibile immaginifica definizione del movimento: “Sinistra della sinistra”. Anche Nanni Moretti, si narra, da ragazzo pare essere stato rapito dalle stesse sirene, insieme a Paolo Flores d’Arcais e altri ancora. Perfino Achille Occhetto, da segretario della Federazione giovanile del Pci, sul giornale “Nuova generazione”, volle pubblicare una foto di Trotsky, in anni in cui sul personaggio pesava ancora il sospetto, lo stigma stalinista che fosse un “agente dei nazisti”. In verità, il personaggio della foto non era esattamente Trotsky, bensì Sverdlov, forse chi mise in pagina l’immagine pensò che baffi e pizzetto dell’uno valessero anche per l’altro. Tuttavia l’idea che con Trotsky l’intero sistema comunista sarebbe stato ben altra ammirevole cosa, si infrange già nel 1921, come gli anarchici più di altri sanno bene, quando proprio il fondatore dell’Armata Rossa, giunse a reprimere la rivolta dei marinai della base di Kronstadt, sul Baltico, che in nome dell’assemblearismo libertario si erano ribellati al potere centralista dei soviet di Mosca. Moretti, nel film, diversamente da ciò che asserisce Gramsci, dice che la storia si può fare anche con i “Se”.
“Se”, appunto, Togliatti, benché compromesso con lo stalinismo in quanto vicesegretario del Komintern, implicato addirittura nella decimazione degli anarchici, e soprattutto proprio dei trotskisti del POUM nella Spagna della guerra civile del 1936, lì presente come emissario con il nome di “Alfredo”, se appunto, vent’anni dopo, nel 1956, si fosse schierato con gli insorti ungheresi contro i sovietici, rompendo così con i successori di Stalin, i domani avrebbero finalmente cantato… “Les lendemains qui chantent…”, pronunciano infatti i versi della più celebre canzone della Comune di Parigi. Dunque, Trotsky ovvero della purezza rivoluzionaria ritrovata. Il personaggio, sia detto per inciso, custodiva anche passioni letterarie, assunse la difesa, con acume da critico, del poeta Esenin, accusato di essere un “controrivoluzionario” spiegando che quest’ultimo apparteneva all’anima profonda contadina russa, diversamente dalla concitazione epica di un Majakovskij. E sempre lui, Trotsky, ormai laggiù in esilio in Messico, accogliendo lo scrittore André Breton, sarà tra i firmatari del Manifesto del surrealismo. Moretti ne “Il sol dell’avvenire” non si concede all’invettiva volgare, liberatoria, bandito è ogni turpiloquio, in nome forse del moralismo perbenista e sessuofobico proprio dei probiviri di sezione comunista… Se invece avesse letto le memorie di Jean van Heijenoort, segretario di Trotsky nella casa fortificata di Città del Messico, saprebbe, non stupisca, che l’uomo, il rivoluzionario, fra molto altro, era fissato con le donne. Proprio “nun se dorme su la fregna”, direbbero liberando un sorriso nei baretti del Quarticciolo, luogo evocato nel film. “In esilio con Trockij”, Feltrinelli, 1980, il testo citato; per chi non volesse credere alle nostre parole.
È noto che l’uomo scopasse Frida Kahlo, con immenso disdoro familiare. Esiste perfino una foto di gruppo, presente anche Diego Rivera, dove il volto di Frida appare violato da una punta di matita, segno della rabbia di Natalia Sedova, compagna di vita e madre dei suoi figli. Racconta ancora il suo segretario che, nonostante il timore di attentati, Trotsky, bugiardo, ottenebrato dalla brama di sesso, giunse perfino a pretendere delle “prove di fuga”, che insomma una scala dovesse essere posta sul muro di cinta posteriore della casa per ogni occorrenza. In verità, l’attrezzo gli occorreva per raggiungere nottetempo una signora vicina con la quale a sua volta fornicare. Probabilmente gli spettatori feticisti di Moretti, magari i medesimi che vanno in estasi per gli edificanti ditalini letterari della scrittrice Chiara Valerio, presente nel film con un cameo, che spiega altrove risibilmente il valore della “tenerezza” citando non meno impropriamente Che Guevara, che per nulla tenero si pose con i dissidenti cubani, non fanno caso alla verità del racconto storico e politico, piuttosto piangono sulla promessa mai pienamente dal regista mantenuta di realizzare un musical sulla storia di “un pasticcere proprio trotskista nell’Italia conformista e stalinista degli anni cinquanta”. Vai dunque a fidarti dei rivoluzionari permanenti e di chi, nel corso del “secolo breve”, ha visto nell’ucraino Lev Davidovič Bronštejn, suo vero nome, una luce candida e davvero rivoluzionaria. La possibilità di altre umane sorti per la bandiera rossa e la falce e martello accompagnata dal numero “4”, così a indicare una “nuova” Internazionale che avrebbe restituito purezza planetaria al sogno di Marx. Per chi lo ignori, il titolo del film di Roberto Benigni, vincitore Premio Oscar, “La vita è bella”, giunge dal “testamento” del vecchio “Leone”. Così: “Natalia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile e l’ha aperta in modo che l’aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell’erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al di sopra del muro, e sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore”. Peccato davvero che Nanni Moretti non abbia immaginato nel corteo del socialismo infine trionfato anche un cameo proprio di Christian De Sica, da affiancare a tutti gli altri volti rassicuranti, così spezzando, oltre a quelle del dominio capitalistico borghese, anche le catene dell’amichettismo.