“Faccio un esempio, il Festival di Sanremo per anni non se lo è filato nessuno. Io leggo Repubblica, Ernesto Assante e Gino Castaldo, i due giornalisti che si occupano del Festival, quando ne scrivono sprizzano gioia. Una gioia e uno spazio che non c’è a proposito del cinema quando ci sono i grandi festival”. Così parlò Nanni Moretti durante una sua partecipazione al Festival Visioni Italiane, alla cineteca di Bologna. Durante il medesimo incontro, Moretti, ha parlato di quanto il cinema italiano attuale, contemporaneo, sia brutto, mal scritto e mal interpretato, dicendo in sostanza che la morte della nostra settima arte è autoinflitta, come di chi è la famosa causa del suo mal che deve piangere se stesso.
Non mi occupo di cinema, ma l’idea del Giffuni che, spolier, in conclusione di Boris spiega al Martellone interpretato da Massimiliano Bruno di essere in realtà Pierfrancesco Favino dopo quindici ore di trucco (questa la capisce solo chi ha avuto il piacere di vederlo, e se uno non lo ha ancora visto, mi chiedo, che sta qui a fare?), mi sembra possa in qualche modo fare da sigillo a quanto detto da Moretti, brutti film, mal scritti, sempre dagli stessi sceneggiatori, e mal interpretati, sempre dagli stessi attori. Sempre in una determinata porzione di Roma, vorrei poter dire, così, tanto per fare quello che la sa lunga.
Non mi occupo di cinema, quindi, ma mi occupo di musica, e vorrei provare a spiegare, a chi legge e nello specifico a Nanni Moretti, perché quel che dice non risponde esattamente al vero, andando poi a chiudere, spoiler, su quanto affermato da Enzo Mazza di FIMI in risposta a Morgan che chiedeva nuovamente una legge per imporre musica italiana alle radio, di cui mi sono occupato. L’idea che Enzo Mazza mi legga, per altro non capendo affatto cosa scrivo, mi indurrebbe quasi a passare a fare altro, ma tant’è.
Andiamo con ordine, Moretti pensa, ciao core, che il Festival di Sanremo sia qualcosa cui guardare con entusiasmo, e questo perché, ciao core, lui legge su Repubblica Ernesto Assante e Gino Castaldo che ne parlano felici e contenti. Ora, a parte non aver visto Assante in riviera da tempi immemori, ma magari lui il Festival se lo vede in ciabatte a casa, è plausibile, è concesso, credo proprio che a Nanni Moretti sfugga un passaggio abbastanza fondamentale per capire di cosa stiano parlando con Ernesto Assante e Gino Castaldo quando parlano di Sanremo. Nulla a che vedere con il Festival, va detto in chiarezza, quanto piuttosto una proiezione di loro a cui l’anagrafe, certo in complicità col talento, ha concesso tanto in epoche in cui quel tanto era tanto davvero, ma al tempo stesso ha tolto oggi, l’anagrafe fa così, una prospettiva sulla lunga gittata che vada oltre il minimo e per loro indispensabile. Detto in parole povere, mai fidarsi di due pensionati, di questo stiamo parlando, cui per qualche giorno la vita concede una botta di ormoni, non sto facendo illazioni gossippare, seguitemi, sto metaforizzando. Sanremo, ma anche X Factor, pensate solo alle puttanate scritte da Assante su Casadilego, che non a caso a diciott’anni è già passata a fare l’attrice, è per loro il luogo dove esserci, o meglio esserci ancora. Non che siano scomparsi, quella generazione, vedete ai loro colleghi quotidianisti, non molla manco sotto tortura, tutti lì fuori tempo massimo, detto da uno che sta cominciando già a fare le prove davanti ai cantieri, le mani incrociate dietro la schiena, ma diciamo che sono diventati nel tempo irrilevanti, nessuno legge più la carta stampata, innanzitutto, e chi la legge è a sua volta anziano, e sicuramente poco interessato alla musica, nessuno ha bisogno di recensioni, ora che i dischi lì trovi gratis su Spotify, nessuno, più che altro, ha bisogno delle loro recensioni, lì a parlare di Beatles da quando ancora i Beatles c’erano.
Poi, però, una settimana all’anno, ecco che torna la luce della ribalta, le Domeniche In, l’essere riveriti come venerati maestri, loro che ambivano a essere tutto fuorché i soliti stronzi che sono naturalmente diventati. Lo dico con simpatia, sia chiaro, consapevole che siamo tutti sulla stessa barca. Solo che io, quando Ultimo ha certificato la cosa dando delle merde alla Sala Stampa, dopo che Mahmood gli aveva sfilato di mano il primo posto, quel “ah merde” atto a chiarire, ce ne fosse bisogno, che è vero che esiste una intera categoria che esiste solo in quei frangenti, ecco, io ero altrove, perché di fare quello che si eccita per Sanremo e X Factor non mi va e vorrei evitare di finire a farlo da anziano. A me sembra che questa sia una sorta di Sindrome di Stoccolma, e che l’entusiasmo palesato da Ernesto Assante e Gino Castaldo a beneficio di Nanni Moretti, convinto ora che esiste un rinascimento musicale, e ora arrivo a Enzo Mazza, altro non sia che una forma di gratitudine anche inconsapevole a chi ci dice, per qualche ora, che siamo ancora giovani e belli, manco fosse la spigolatrice di Sapri.
Quanto al Rinascimento, di questo parla a suo modo Mazza, rivendicando un ricambio generazionale e l’occupazione delle classifiche da parte di giovani patrioti, più che un rinascimento è la prova provata che siamo un popolo di analfabeti funzionali, analfabeti funzionali che applicano il loro analfabetismo alla cultura, pure alla cultura popolare. Così ci facciamo piacere la monnezza che ogni settimana svetta in classifica, convinti che quel che passa il convento sia il top di gamma, invece è solo monnezza, per altro scialba imitazione di quanto altrove è già passato di moda da tempo. Ho sempre ammirato Moretti, e mi immalinconisce pensarlo gabbato da un fraintendimento, certo non una truffa come quelle dei manigoldi che provano a rifilare patacche agli anziani, ma comunque sempre di patacche stiamo parlando, ma sappia che il Festival di Sanremo continua a essere una fucina di nulla rivestito aro, raccontato con enfasi da noi pensionati e prepensionati al solo scopo di non sentirvi delle merde. A meno che non torni Ultimo a farvelo notare.