La rassegna stampa di Radio Radicale si è trasformata in uno spettacolo teatrale tragicomico, quando Flavia Fratello, giornalista de La7 che fa parte del selezionato gruppo che si alterna alla conduzione di “Stampa e regime” (storico programma del compianto Massimo Bordin), ha dovuto fare i conti con un pezzo di Michela Murgia. Un pezzo che, oltre ad avere dei contenuti non necessariamente condivisibili, era ricolmo di “ə”, ossia di quei simboli chiamati “schwa” che alcuni (quasi sempre alcune) hanno cominciato a utilizzare come alternativa all’asterisco o alla “u” come declinazione al neutro dei plurali misti (ossia, per esempio, “tuttə”, “tutt*” o “tuttu” al posto di “tutti”). Uno dei problemi di questa neolingua (che non essendo la lingua italiana uno non si aspetterebbe di trovare utilizzata su un giornale italiano quale La Stampa) è l’essere impronunciabile e dunque pure illeggibile. Se n’è accorta la povera Flavia.
I problemi sono cominciati già nell’analisi del preoccupante incipit dell’articolo intitolato “Quel razzismo sistemico che fa vergognare le vittime”: “Così come da femminista non sopporto di sentire che non tutti gli uomini sono maschilisti – ha scritto Murgia sul quotidiano diretto da Massimo Giannini – non comincerò questa riflessione dicendo che non tutti i bianchi sono razzisti, perché è una frase che minimizza l’esperienza di chi è discriminato e nega la realtà: dove il razzismo è sistemico e istituzionale tuttə dobbiamo fare i conti col nostro”.
“Murgia – il commento della Fratello – ha un attacco e una premessa al ragionamento che faccio veramente fatica a condividere. Perché […]? Tutti gli uomini secondo lei sono maschilisti […]. E leggendo questo attacco l’impressione che ho avuto è di una specie di Davigo in sedicesimo (il riferimento è a quando l’ex pm disse sostanzialmente che non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti, ndr): insomma, se non ti sei ancora comportato da razzista è semplicemente perché non ti è capitato di farlo, ma vedrai che lo sei sotto sotto. Magari no eh, non è che perché sei bianco sei per forza razzista, però questa è la sua impostazione, tant’è che infatti non rinuncia, nonostante sia stato negato anche dalla famiglia, a coinvolgere il ragazzo suicida (Seid Visin, ndr) in questo ragionamento”.
Dopodiché parte la gragnuola di “ə”, con la conduttrice costretta a parlare togliend’ l’ultim’ vocal’ all’ parol’, come Cattivik (che a quanto pare ha inventato la neolingua inclusiva già nel 1965, e perlomeno limitandosi a usare un segno comprensibile come l’apostrofo): “Non è semplicissimo leggere il pezzo di Murgia – dice la Fratello – perché a un certo punto Murgia comincia a fare largo utilizzo della “schwa”, quel segno grafico […] che ci è stato spiegato dovrebbe essere letto come una troncatura della parola, che però dà un’intonazione a metà tra il calabrese e il campano […] che rende devo dire veramente un po’ complicata la lettura”.
A un certo punto, nel finale, dopo essersi scusata per le difficoltà causate dalla Murgia, Flavia Fratello sembra doppiata da Antonio Cassano, quando deve leggere “Se sei nerə, sei un parassita da mantenere, ma se ti mantieni da solə, stai rubando le opportunità a un italianə. Se ricevi asilo devi ringraziare l’Italia che ti ha offerto un’occasione, ma se vieni respintə è perché comunque finiresti nelle mani dello sfruttamento o della criminalità. Noi ti facciamo un favore anche quando ti cacciamo. Noi bianchə che concediamo, generosə o prudenti. Noi bianchə, così tanto migliori di te”.
Stremata, Flavia conclude con “Mmm, no… Non siamo migliori, però le schwe veramente rendono improbabile tutto ciò”.
Peraltro c’è il timore che la Fratello possa ricevere una ramanzina dai fanatici della materia pure per aver sbagliato il genere dello “schwa”, che risulterebbe essere maschile. Almeno per ora.