Occorrerebbe un istituto parificato di studi antropo-filosofici per risalire alle ragioni profonde che, negli ultimi decenni, hanno fatto sì che "la sinistra" (qui indicata in modo approssimativo-fantasmatico) fosse percepita come detestabile "élite", se non, molto più prosaicamente, a "stare sul cazzo" (cit.) a un'ampia e vivace moltitudine appunto di viventi, poco importa se analfabeti civili o, più sostanzialmente, espressione del qualunquismo neo-plebeo endemico. Credo di avere scritto più o meno così sui miei social nei giorni scorsi, turbato innanzitutto dagli insulti che talvolta pervicacemente giungono a pioggia addosso alla mia persona - pubblica, ovviamente- inutile dire che li ritengo narcisisticamente ingiusti, poiché, non meno narcisisticamente, ho sempre cercato di fare professione di individualità, da monotipo, pezzo unico, cioè d’essere, come ho ripetuto anche a Piero Chiambretti durante un’intervista su un battello che solcava le acque del Tevere sul far della sera, “uno stronzo in proprio”, e non certo “per conto terzi”, tuttavia queste mie parole non sono bastate a dare percezione di unicità sull’ideale atollo del doveroso amor proprio che ogni artista - parlo s’intende da scrittore, meglio, da scrivente - dovrebbe affermare per sé stesso. Bene, se ora per fare luce sul nostro nodo provassi a fare caso agli eventi della macro-politica, ai sommovimenti epocali in atto nel globo mi accorgerei da subito di non avere gli strumenti idonei per giungere, se non a una verità approssimativa, comunque parziale, perfino sintomatica: le difficoltà che sempre la sinistra attraversa nel frangente attuale, tra gli esempi la disastrata Spagna di Sanchez, la Francia senza più un Primo Ministro, gli eredi dei “gilet gialli” che si apprestano a fare ritorno arrabbiati sui boulevard innalzando lo slogan “Blocchiamo tutto”; e sto citando solo una piccola parte della deriva… E qui giunge il ricordo di una manifestazione vista a Parigi, esattamente proprio in place de la République, credo nei giorni che seguivano l’epidemia del covid: un corteo festoso e insieme furibondo che mescolava una sciamante di popolazione politicamente, come dire, varia ed eventuale: vecchi “gauchiste” da immaginare già lì in piazza nei giorni trascorsi del maggio ’68, para-fascisti identitarii, ossesse modello base fissate con ogni possibile complotto, una genia rosso-bruna lì ad avanzare tra tricolori segnati dalla croce di Lorena di memoria resistenziale gollista e un ritratto del comico Coluche che precedeva l’intero insieme della fiumana vociante, quasi come in un celebre, non meno apocalittico e spettrale, quadro di James Ensor dal titolo catartico e grottesco: “L’entrata di Cristo a Bruxelles”.

Nell’insieme ogni bandolo dei confini e dei margini ideologici rivoltava, se non assente, inestricabile, e forse neppure il ricordo delle “jacquerie” sarebbe bastato a connotarlo… Lo so, un tempo, prima che le righe di X e d’ogni altro social diventassero il luogo degli appelli perfino affidato all’osceno Trump trasfigurato ora in Caligola ora in Ubu re, ogni discussione pretendeva riferimenti “alti”, protocollati, nessun cedimento all’irritualità, adesso invece prevale la semplificazione, sa sì, sovente sembra bastare un semplice e immediato “Suca” per tumulare il simposio, metti, sulla “Critica della ragion pura” di Kant o i “Grundrisse” di Marx, dove già il “Suca forte“ appare, perfino quello, di difficile comprensione, decrittazione. E tuttavia la domanda di fondo rimane: perché ciò che per semplicità definiamo “sinistra”, molto semplificando, risulti ormai oggettivamente, utilizzo un termine da piccina conversazione corrente, “antipatica”, detestabile? Quasi rimandi, semplifico ancora di più, a una élite supponente, di garantiti, i “figli di papà” con Clark rosse ai piedi, iscritti alle migliori scuole fin dalle classi primarie, le stesse scuole dove viene dato in dote ai più meritevoli un inarrivabile Muppet con le fattezze di Che Guevara…

Cosciente ormai della mia inadeguatezza, in cerca di un ulteriore bandolo per dare almeno a me stesso uno straccio, se non proprio di risposta, una semplice traccia per uscire dal labirinto del pensiero debole, d’improvviso, quasi patafisicamente, mi giunge in soccorso un post appena letto su Facebook, presente in una pagina che assomiglia a una versione in progress dell’antico “Calendario del giorno dopo” con i suoi santi, le sue ricette, il suo barometro stagionale. Leggo infatti da parte di tale Loredana (il cognome, dubito però possa esserci alcun tratto di parentela, appare lo stesso di uno psichiatra e psicoanalista di nome Elvio che anni addietro, interpellato in una trasmissione “colta” condotta da Alberto Arbasino a giudicare la cifra espressiva che emanava dal film “I fichissimi”, prese a parlare di “comicità oleosa”, ritrovandosi prontamente abbattuto dallo stesso Diego Abatantuono presente in studio, nonché primattore della pellicola in questione), e cito tale episodio mediatico ormai remoto in quanto possibile primo paradigma dell’incapacità delle élite intellettuali di sinistra nel mostrarsi dialetticamente convincenti. Ma andiamo ora direttamente al post della quasi omonima Loredana: “Buongiorno a tutti e buon compleanno a MARIO ADORF che oggi raggiunge i 95 anni! Attore svizzero Mario Adorf ha lavorato assiduamente nel cinema italiano collaborando con registi affermati come Luigi Comencini, Valerio Zurlini, Antonio Pietrangeli, Luigi Zampa, Luigi Magni, Dino Risi, Florestano Vancini, Dario Argento, Fernando Di Leo, Giulio Petroni. A livello internazionale ha acquisito notevole popolarità con pellicole firmate da Siodmak, Wilder, Fassbinder, Chabrol, Von Trotta e altri”.

Cosa rammento personalmente di Mario Adorf? Semplice, come quasi tutti, lo rammento nei panni dello svagato piccolo delinquente che brilla in “Operazione San Gennaro” di Dino Risi, memorabile film succedaneo di un genere nato con “I soliti ignoti”. Proprio Mario Adorf, la sua cifra corpulenta e il volto studiatamente da “tonto”, un po’ meno sempre lui, Mario Adorf, perfetto nel ruolo di un Benito Mussolini trasposto al cinema da Florestano Vancini per “Il delitto Matteotti”. Adorf come compendio di un segmento della storia del cinema trascorso, volto della “commedia all’italiana”, certo, presenza familiare e insieme secondaria, da caratterista “mirabile” secondo alcuni, sebbene non sufficientemente premiato per le sue doti… Ma ecco infatti il commento illuminante che, sempre ai miei occhi, diventa d’improvviso metafora assoluta, sebbene possa ai meno avveduti apparire secondaria, irrilevante, della ormai precaria percezione della sinistra e del suo pensiero critico rispetto al sentire comune: chiosa infatti, sempre a proposito di Mario Adorf, con cura notarile, l’utente di Facebook Alfonso G: “A mio avviso un attore eccelso che passava dallo ‘Sciascillo’ di ‘Operazione San Gennaro’ a Rocco Musco di ‘Milano Calibro 9’. Chiaramente apprezzato in tutto il mondo tranne che dai soliti critici radicali chic italiani. Un vero big !!!!”. In quel testuale “critici radicali chic italiani” vive l’orrore subculturale adesso dominante. I quattro punti esclamativi, marcati con polpastrello sovranista e retrogusto populista che seguono sostanziano, si sappia, ulteriormente la riflessione.
La sinistra, per suo statuto ideale, si sappia ancora, ha l’obbligo di convincere, non le bastano le pulsioni immediate, le bandiere, fosse anche, accanto alle rosse, quelle ormai neo-cristologiche del martoriato popolo palestinese che avanzano nei cortei come i gonfaloni mariani nelle feste religiose comandate, posto che perfino il suo “popolo” è ritenuto espressione di un diportismo ideologico ormai scaduto. Sullo sfondo, come in un film di Buñuel, si pensi a “Viridiana”, nel sentire comune della destra polaroid sembra di ravvisare nel nostro caso proprio Mario Adorf crocifisso dalla supponenza dei “sinistri”, e tutt’intorno, ghignanti, i “mangiapane a tradimento”, anzi, i “comunisti con Rolex” che costituiscono il combustibile, l’oro nero della propaganda qualunquista che nel tempo ha fatto sì che perfino il più semplice “Suca” contro le ingiustizie dei “padroni” non possa più albergare vittorioso e apotropaico sulle labbra dei “compagni”.
