Il giallo intenso e profumato delle mimose invade le strade ogni anno. Nei locali si respira un senso di complicità speciale fra donne: festeggiare senza uomini fa bene. Ma la Giornata Internazionale della Donna non è solo una festa di mimose e uscite con le amiche. Le ragazze di oggi sanno da dove nasce la ricorrenza dell’8 marzo? Non tutte vanno nelle piazze a chiedere a gran voce il rispetto dei loro diritti, non tutte si sono documentate. Per colmare il vuoto culturale, per evitare il rischio che il femminismo ‘brand’, quello superficiale da social che sembra a volte un fenomeno di marketing si sostituisca a una più profonda e complessa lettura della realtà, è arrivato in libreria “La lingua bruciata N.Y. 1911” (Il canneto editore). A firmarlo è Laura Sicignano, regista e autrice che tanto ha dedicato alla sensibilizzazione del giovane pubblico teatrale sulle tematiche femminili. E ora, dopo il grande lavoro di documentazione alla base di alcuni suoi spettacoli, racconta la genesi della ricorrenza in un romanzo. Fra gli eventi che hanno dato origine all’8 marzo c’è il rogo della fabbrica di camicette TWC di New York, avvenuto il 25 marzo 1911. Quel giorno in poco meno di venti minuti morirono 146 persone, per la maggior parte giovani e giovanissime operaie giunte “all’America” in cerca di fortuna dall’Italia, dalla Russia e dall’Austria. Sono rimaste intrappolate mentre lavoravano. Nella sede dell’azienda, all’ottavo piano dell’edificio, mancavano le norme più elementari di sicurezza. Non solo: le operaie venivano chiuse dentro. Sicignano parte dall’osservazione di alcune immagini d’epoca per creare un intreccio che, dalla documentazione storica degli avvenimenti, dà voce a vicende personali inventate. Ma verosimili. Ad alcune di quelle donne anonime che sorridono in posa la scrittrice dà nomi e volti immaginari. Cerca di ricostruirne la storia personale, il difficile viaggio Oltreoceano dal paesino italiano di provenienza, il sogno e la paura. E la dinamica di quel tragico giorno in cui le operaie “Cadono, rotolano, si rialzano, si ritrovano in un tremendo calore al centro dell’ottavo piano. Non possono più tornare indietro. Nella caligine intravedono le sagome di alcune ragazze immobili, piegate sulle macchine, raggomitolate a terra tra i tavoli, le gambe all’aria come insetti capovolti”.
Laura Sicignano, perché un libro sugli eventi che hanno condotto alla Giornata Internazionale della donna?
Perché la memoria è importante per capire il presente e costruire il futuro. Il libro è stato preceduto da un mio lavoro teatrale sullo stesso tema, intitolato “Scintille”, prodotto dal Teatro Cargo: uno spettacolo fortunatissimo anche all’estero. In Italia per oltre dieci anni è stato interpretato da attrici del calibro di Laura Curino, Orietta Notari, Annapaola Bardeloni. Dagli scatti che ci hanno trasmesso i volti di alcune operaie sullo sfondo della Grande Mela nel primo Novecento è nato il romanzo.
Cosa dicono quelle immagini?
Esprimono speranza. Ritraggono donne che credono di aver trovato nel Nuovo Mondo la loro fortuna. Alcune sono serie e accigliate, altre sorridono in posa: sono tutte piene di forza. Ritrovare questa memoria sommersa da più di cent’anni è stato emotivamente forte.
Donne dimenticate?
Erano persone svantaggiate per ragioni di genere, provenienza e classe sociale, consegnate all’oblio dalla Storia. Ho provato a restituire loro una voce attraverso le parole scabre e le frasi sgrammaticate che mischiano l’italiano delle classi subalterne degli inizi del secolo scorso e l’inglese abbozzato degli immigrati semianalfabeti. Nella migrazione si perde una lingua, se ne trova un’altra, a volte si crea una contaminazione fantasiosa.
Le loro lotte non avevano eco?
Appartenevano a una classe sociale, quella del sottoproletariato urbano d’immigrazione, silenziata dalla Storia. Le loro lotte per ottenere una giusta paga, la sicurezza sul lavoro, abolire il cottimo, venivano represse con violenza. La tragica parabola delle giovani operaie che reclamano diritti e precipitano dall’ottavo piano dello stabilimento come torce umane ci comunica quanto siano precari i diritti delle donne e quanto sia fondamentale ricostruire e tramandare una genealogia femminista.
Chi sono le protagoniste del romanzo?
Immagino una famiglia, quella di Serafina, Lucetta, Antonia La Loggia, una madre con le sue due figlie che arrivano a New York da un oscuro e indefinito paesino italiano, sperando in un futuro migliore. Gli uomini che le circondano, salvo rare eccezioni, faticano ad inserirsi nel nuovo contesto, o le sfruttano e le opprimono. Le protagoniste arrivano in questa ‘Babilonia’ da una cultura contadina. In piroscafo, ammucchiate in terza classe. Correndo il rischio di morire per tempeste e malattie. La ‘Babilonia’ per loro è anche quella linguistica. Ecco il perché del titolo “La lingua bruciata”: migrare da un continente all’altro implica anche il rischio di ‘bruciare’ la propria lingua e la propria cultura.
Le tre donne hanno modi completamente diversi di reagire.
Serafina, la madre, testa bassa, testa dura, tenta inutilmente di riprodurre le medesime condizioni della sua vita precedente. Riuscirà in fabbrica per via della sua abilità a cucire e della sua docilità al sistema. La figlia maggiore, Lucetta, vive New York come un caleidoscopio di opportunità, uno spazio imprevedibile di libertà: qui finalmente può scegliere chi essere. Nel suo percorso fa un incontro rivoluzionario con una giovane russa, una sindacalista che tiene comizi, organizza proteste, sfida le forze dell’ordine. L’amicizia femminile diventa il grimaldello per la liberazione. La sorella minore, Antonia, invece è terrorizzata dalle novità di New York, dalla fabbrica e dalle sue regole: è la più vulnerabile, perciò cade in un crudele tranello, che non svelerò.
Perché molte di queste donne sono morte?
Lavoravano in mezzo a lampade a gas e materiali altamente infiammabili. Venivano chiuse dentro dai sorveglianti perché non uscissero prima del tempo. Nel grattacielo che ospitava la fabbrica non c’erano sufficienti scale antincendio. Le operaie non erano istruite su possibili piani di fuga in caso di pericolo. Insomma, mancavano le più elementari regole di sicurezza. Le operaie in precedenza avevano protestato per queste condizioni di lavoro ma erano state ignorate. Quando si è scatenato l’incendio qualcuna è riuscita a fuggire, alcune si sono buttate dalla finestra, altre sono rimaste intrappolate.
Un rogo assurdo. Che si poteva evitare.
Il 25 marzo 1911 in 18 minuti sono morte 146 persone, quasi tutte donne, quasi la metà italiane, un dato poco noto. Questo episodio si annovera tra quelli fondanti la Giornata Internazionale della Donna. Ho ricostruito la dinamica dell’incendio a partire da testimonianze, articoli di giornale e carte del processo.
Oggi esistono ancora situazioni cosi?
In tutto il mondo, Italia compresa, ci sono persone - e molte di queste sono donne - che lavorano pressoché in condizioni di schiavitù. Ancora oggi molte nel tessile.
A New York si ricorda ancora il rogo del 25 marzo 1911?
Viene commemorato ogni anno. E’ un evento chiave nella storia degli Usa: ha cambiato la normativa della sicurezza sul lavoro. Ora il grattacielo che ospitava la fabbrica di camicette è sede della New York University.
Quali altri eventi hanno dato origine all’8 marzo?
La Giornata nasce da un insieme di avvenimenti, molti dei quali casualmente accaduti nel mese di marzo, dal 1848 al 1917, in varie città del mondo. E’ stato il periodo in cui le donne hanno cominciato a rivendicare in massa i propri diritti. Per esempio, l’8 marzo del 1917 le donne di San Pietroburgo scesero in piazza, chiedendo pane e pace e segnando l’inizio della Rivoluzione Russa. Ma il rogo della fabbrica di New York spesso viene considerato l’evento più rilevante.
Lei collabora con il Teatro Nazionale di Genova e in questi giorni è a Pesaro, Capitale Italiana della Cultura per un progetto nuovamente dedicato a donne e lavoro. Ha diretto il Teatro Stabile di Catania e il Teatro Cargo di Genova: è riuscita a trasmettere questa memoria alle giovani generazioni?
Ho sempre cercato di equilibrare la presenza femminile nei luoghi dove ho avuto responsabilità e facoltà di assumere, anche scegliendo testi che rappresentassero le donne fuori dagli stereotipi. Per esempio “Donne in guerra” scritto con Alessandra Vannucci, una delle mie regie più note, racconta le donne cancellate dalla memoria storica della Seconda Guerra Mondiale, dalle partigiane alle fasciste. ‘La strega”, tratto dal romanzo ‘La chimera’ di Sebastiano Vassalli, è la storia di una giovane perseguitata dall’Inquisizione come strega. A Catania con ‘Antigone’ di Sofocle e ‘Baccanti’ di Euripide ho voluto mettere in scena alcune delle figure femminili eversive della tragedia classica. La risposta del pubblico, soprattutto dei giovani, è stata molto intensa.
Si sente rappresentata da questo Governo?
Non è rilevante per l’emancipazione femminile la presenza di una premier donna, se non realizza politiche attive a favore delle donne. Oggi in Italia la rappresentazione della donna nel discorso pubblico è a dir poco primitiva.
Cosa direbbe alle ragazze di oggi sull’8 marzo?
Fate domande. Anche alla nonna: le generazioni precedenti ci hanno lasciato dei regali meravigliosi. Pensate alla mimosa come un omaggio a chi ha lottato per noi. Cercate modelli fra le donne che hanno scritto la Costituzione. Non è un tornare indietro, ma un andare avanti.